È possibile che la lotta di classe, espulsa dal linguaggio e dalla
prassi di partiti e sindacati (ex)socialdemocratici europei, riacquisti
diritto di cittadinanza proprio in quell’area angloamericana da cui le
controrivoluzioni di Reagan e Thatcher – e dei loro epigoni di destra e
di “sinistra” – sembravano averla definitivamente bandita? Non
vorrei sembrare troppo ottimista, ma pare che dalla scena
politico-sindacale di Stati Uniti e Inghilterra arrivino segnali
incoraggianti in tal senso.
Partiamo dagli Stati Uniti. Dopo che le leggi punitive nei confronti
del diritto di organizzazione e di sciopero e le pratiche antisindacali
delle imprese avevano ridotto quasi a zero il tasso di sindacalizzazione
dei dipendenti privati e pubblici, da qualche anno stiamo assistendo a
una vivace ripresa di lotte per ottenere aumenti salariali, ritmi di
lavoro meno stressanti e un parziale recupero dei diritti sociali
massacrati dalle politiche anti welfare.
I protagonisti di questa ondata non sono né quel che resta della
classe operaia industriale, falcidiata dalle delocalizzazioni, né quei
“lavoratori della conoscenza” che i teorici postoperaisti insistono a
considerare come l’avanguardia del proletariato globale. A smuovere le
acque di una società ingessata dalla disuguaglianza fra super ricchi e
working poor (la massa di coloro che non guadagnano a sufficienza per
vivere dignitosamente) sono soprattutto gli addetti ai servizi: catene
commerciali, logistica, ristorazione, servizi di cura, ecc.
Molti sono giovani, afroamericani o immigrati (moltissimi i latinos)
che hanno imparato a creare nuove, combattive organizzazioni sindacali,
mentre i loro interessi appaiono spesso in conflitto con quelli della
middle class (vedi le proteste dei conduttori degli autobus che portano
al lavoro i nerd della Silicon Valley, o quelle degli abitanti di
quartieri colonizzati e “gentrizzati” dai quadri della New Economy). E
cominciano a ottenere risultati significativi: dall’aumento del salario
minimo in alcuni importanti Stati e città, alla recente sentenza
del National Labor Relations Board che stabilisce un principio
importantissimo: quando negoziano con imprese che svolgono attività di
subappalto, i sindacati possono coinvolgere nella trattativa le società
appaltatrici. In settori dove il franchising è la regola, la decisione è
destinata ad avere notevole impatto (non a caso è ferocemente
contestata da lobby, associazioni imprenditoriali e politici di destra).
Gli effetti del cambiamento di clima sindacale sono venuti a sommarsi
a quelli delle mobilitazioni del movimento Occupy Wall Street , il
quale – finché è durato – aveva tentato di saldare le lotte di questi
strati sociali con quelle di una massa studentesca indebitata e senza
prospettive di mobilità sociale, contribuendo al successo della campagna
elettorale di Bernie Sanders, che potrebbe diventare il primo candidato
socialista a sfiorare la nomination Democratica.
All’ascesa di Sanders fa riscontro quella di Jeremy Corbyn, l’anziano
esponente della sinistra laburista che potrebbe fra poco diventare il
nuovo segretario del partito. Corbyn non si afferma grazie a una nuova
ondata di lotte, ma è a sua volta espressione di crescenti tensioni
sociali che potrebbero invertire la dinamica che ha trasformato i
laburisti in neoliberisti di centro. La base sindacale e la struttura
territoriale dei militanti, esasperati da decenni di politiche filo
padronali, privatizzazioni, tagli al welfare, ecc. condotte con la
complicità o con l’avvallo esplicito del loro stesso partito, hanno
trovato in Corbyn il campione di una rivoluzione “restauratrice” (come
la definiscono i media mainstream). Se il colpo riuscisse,
interromperebbe quella logica del “pendolo”, in base alla quale, dopo la
sconfitta elettorale di un leader “di sinistra” come Miliband,
s’imporrebbe un ritorno alle posizioni della destra blairiana.
Se Corbyn la spuntasse regalerebbe nuove vittorie ai Conservatori, ammoniscono i media inglesi, ai quali fa eco Paolo Mieli in un recente editoriale sul “Corriere”,
in cui fustiga il “masochismo” delle sinistre radicali (i fuorusciti
di Syriza, la Linke tedesca, gli oppositori di Renzi e lo stesso Corbyn)
che “fanno il gioco” delle destre, impedendo l’affermazione di una
sinistra “moderna” (leggi liberista!). Ma l’inedita lezione che oggi ci
viene da Occidente è che la sinistra non rinasce puntando a governare
(né Sanders né Corbyn realisticamente ci arriveranno) bensì ricostruendo
la rappresentanza degli interessi di classe.
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