Nella Grecia che si avvia alle elezioni anticipate – mentre si svolge il rito degli inutili tentativi di formare un governo da parte del capo dell'opposizione, Evangelos Meimarakis – c'è un fatto nuovo rilevante. La sinistra di Syriza ha rotto gli indugi e formato un nuovo gruppo parlamentare, forte per ora di quasi una trentina di deputati (la cifra oscilla tra 25 e 29), abbastanza da farne il terzo incomodo dopo la stessa Syriza e i conservatori di Nea Dimokratia.
L'incertezza sui numeri è indicativa di un travaglio doloroso che percorre i 43 “ribelli” che hanno detto in vario modo “no” al terzo piano di salvataggio deciso dai creditori e accettato da Alexis Tsipras. Un fatto del tutto fisiologico per un movimento, più che un partito, cresciuto nel corso di cinque anni di conflitto sociale contro l'austerità e infine scopertosi inerme davanti al feroce potere finanziario che non era preparato a combattere. Della lista, per il momento, non fanno parte due dei più noti critici del “nuovo Tsipras”, ovvero l'ex ministro delle finanze Yanis Varoufakis (a cui tutti dobbiamo la conoscenza delle dinamiche reali all'interno dell'Eurogruppo, compresa l'illegalità totale di questa “istituzione”) e la presidente del Parlamento, Zoe Kostantopulou.
Il gruppo prenderà probabilmente il nome di Unità Popolare (Leiki Anotita, Lae) e in linea teorica, tra due giorni, il suo coordinatore – l'ex ministro dell'energia Panagiotis Lafazanis – potrebbe ricevere l'incarico impossibile di formare un nuovo governo. La costituzione ellenica prescrive infatti solo tre giorni di tempo per tentare di formare un governo, dopo di che l'incarico passa al leader della forza politica con più seggi in Parlamento. Come anticipato con un po' di ottimismo da Kostas Isichos, uno dei parlamentari di Unità Popolare: «E' ovvio che ci daranno il terzo mandato esplorativo, esauriremo tutte le opportunità per illustrare il potenziale dell'abolizione del memorandum». Scontata l'impossibilità di raggiungere l'obiettivo di formare un governo, insomma, quei tre giorni sarebbero utili alla nuova formazione per illustrare alla popolazione con chiarezza quali prospettive il paese si trova davanti dopo la terribile esperienza di una speranza di cambiamento schiacciata dai rapporto di forza.
Sarebbe la soluzione preferita da Tsipras, che potrebbe sfruttare la popolarità di cui ancora gode prima che si sentano con chiarezza gli effetti sociali delle “riforme” imposte dalla Troika e approvate in Parlamento con i voti dell'opposizione, togliendo ai suoi critici di sinistra una importante finestra mediatica.
Del resto, quello che sta avvenendo ad Atene sembra sia stato deciso ai più alti livelli dell'Unione Europea. Per il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, le dimissioni di Tsipras “non sono state una sorpresa”. E parlando a Brasilia con Dilma Roussef, nel corso di una visita diplomatica e commerciale, Angela Merkel ha spiegato che «Le dimissioni non fanno parte della crisi, ma della soluzione. Tsipras ricostruirà il suo governo, per questo ha rinunciato». Naturalmente un governo senza più il peso della sinistra interna e con l'appoggio stavolta esplicito del “fronte europeista” e reazionario (Nea Demokratia, To Potami e resti del Pasok).
Del resto, fin dalle prime schermaglie conflittuali di febbraio, la posizione di alcuni esponenti di punta dell'Unione Europea era stata chiarissima: "Il vero problema della Grecia è che ha il governo sbagliato". Ora il regime change è stato ottenuto, anche se non è affatto detto che possa tranquillamente produrre una soluzione "efficiente".
La novità rappresentata da Unità Popolare, però, non sta soltanto nel fatto che ora ha finalmente assunto corpo fisico la “sinistra di Syriza”, ma soprattutto nella prospettiva che è andata assumendo durante il conflitto con i “creditori”. E che Lafazanis ha riassunto così nelle prime interviste da leader di Lae: “Per sbarazzarci dei memorandum, siamo pronti anche ad uscire dall'euro in maniera controllata. Non c'è l'inferno fuori dall'eurozona. Noi raccoglieremo l'energia della campagna per il No al referendum. Quel No è stato trasformato in Sì dal governo, ma non rappresenta il popolo”.
È la prima volta che la rottura con l'Unione Europea e con la moneta unica viene apertamente indicata, da una formazione di sinistra radicale presente in forze in Parlamento, come soluzione possibile per i problemi di un paese Piigs. Si sente, in questa svolta strategica e politica, l'influenza di Kostas Lapavitsas, deputato ed economista, ma anche apprezzato docente professore di economia alla SOAS (School of Oriental and African Studies, Londra).
Vedremo molto presto gli sviluppi, a cominciare ovviamente dai risultati elettorali a breve, ma almeno a noi diventa chiarissimo come la prospettiva della “rottura dell'Unione Europea” sia passata ormai dalla fase delle posizioni teoriche a quella della pratica politica reale. Sarebbe il caso che anche in Italia se ne prenda finalmente atto, uscendo dalle nebbie oppiacee del "sonno europeista".
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