di Michele Paris
I colloqui tra i
rappresentanti della Corea del Nord e della Corea del Sud sembrano
avere dato alcuni frutti nella giornata di lunedì, fermando l’escalation
delle tensioni tra i due paesi rivali, riesplose la settimana scorsa in
seguito ad alcune presunte provocazioni da parte del regime di
Pyongyang lungo la cosiddetta Zona Demilitarizzata che segna il confine
nella penisola dell’Asia nord-orientale.
Le due parti si erano
incontrate nella serata di sabato per un primo round di negoziati per
poi riprendere le discussioni nel pomeriggio di domenica. Il vertice era
avvenuto alla scadenza di un ultimatum emesso dalla Corea del Nord per
imporre entro 48 ore lo stop alla diffusione di materiale audio di
propaganda da altoparlanti situati appena oltre il confine meridionale.
Quest’ultimo
provvedimento era stato preso dal governo di Seoul per la prima volta
in undici anni in seguito all’esplosione il 10 agosto scorso di alcune
mine lungo un percorso di pattugliamento nella zona di confine. Il
posizionamento dell’esplosivo era stato attribuito alla Corea del Nord e
aveva causato il ferimento di due soldati sudcoreani. Settimana scorsa,
poi, erano stati registrati scambi di colpi di artiglieria, sia pure
senza vittime.
Pyongyang, da parte sua, aveva respinto ogni
responsabilità in relazione alle esplosioni del 10 agosto e pretendeva
la fine delle trasmissioni di propaganda dalla Sud Corea, minacciando
possibili azioni militari. Lo scorso fine settimana, la Corea del Nord
aveva inoltre dichiarato un “semi-stato di guerra”.
Nei colloqui e
nelle dichiarazioni ufficiali da Seoul, il governo sudcoreano aveva
chiesto al regime di Kim Jong-un le scuse ufficiali per l’accaduto. A
ribadirlo era stata anche la presidente, Park Geun-hye, la quale lunedì
aveva minacciato “misure adeguate” e il proseguimento della diffusione
di materiale propagandistico tramite altoparlanti se dal nord non
fossero giunte scuse e la promessa di astenersi da ulteriori
provocazioni.
La stampa delle due Coree ha alla fine annunciato
il raggiungimento un’intesa, con il Nord che avrebbe accettato di
scusarsi per il ferimento dei due soldati di Seoul e il Sud che fermerà
le trasmissioni di propaganda a partire da martedì. Ulteriori colloqui
bilaterali sono poi previsti a breve e andranno in scena nelle due
capitali.
L’esito del più recente conflitto è arrivato dopo che
Seoul aveva fatto forti pressioni sulla Corea del Nord, in particolare
attraverso ripetuti comunicati di esponenti del governo e dei vertici
militari sulla presunta mobilitazione delle forze armate di Pyongyang.
Lunedì,
ad esempio, fonti militari sudcoreane avevano segnalato il movimento di
una decina di mezzi anfibi da sbarco nordcoreani, diretti verso una
base navale situata a una sessantina di chilometri dalla “linea di
confine settentrionale” che separa i due paesi nel Mar Giallo.
Il
giorno precedente, invece, un altro esponente delle forze armate di
Seoul aveva avvertito che più di 50 dei 70 sottomarini in dotazione alla
Corea del Nord avevano abbandonato le proprie basi, mentre era
raddoppiato il contingente di truppe di artiglieria posizionate lungo il
confine di terra, con il comando in stato di massima allerta.
Le
mosse di Pyongyang e le minacce, puntualmente indirizzate verso Seoul
durante i momenti di crisi, sono in realtà in larga misura vuote e hanno
l’obiettivo di far guadagnare al regime un qualche vantaggio nei
colloqui. Esse finiscono tuttavia per offrire alla Corea del Sud e agli
Stati Uniti l’opportunità di imporre la propria versione dei fatti
all’opinione pubblica locale e internazionale, così da dipingere la
Corea del Nord come unico “aggressore” e come “minaccia” a un governo al
contrario interamente animato da sentimenti pacifici come quello di
Seoul.
Le iniziative vere o presunte di Kim Jong-un, così come
quelle dei suoi due predecessori, sono per lo più determinate dalla
situazione quasi disperata in cui si trova la Corea del Nord sia dal
punto di vista strategico che economico, a causa principalmente della
concreta minaccia americana e sudcoreana.
Le provocazioni dei due
paesi alleati risultano evidenti, nonostante siano generalmente
riportate in una luce positiva dalla stampa occidentale e sudcoreana.
Seoul e Washington sono infatti nel pieno della massiccia esercitazione
militare annuale - anche se sospesa qualche giorno fa - che si tiene nel
periodo estivo e che vede impegnati ben 80 mila soldati. Inoltre,
sabato scorso quattro aerei da guerra americani F-16 e altrettanti F-15K
sudcoreani avevano volato nei pressi del confine con la Corea del Nord
simulando un bombardamento.
Secondo la stampa sudcoreana, infine,
Seoul e Washington stavano discutendo il dispiegamento di un
bombardiere B-52 e di un sottomarino nucleare in Corea del Sud,
ufficialmente come “deterrente” anche se evidentemente volto a provocare
la reazione di Pyongyang e a giustificare ulteriori misure per la
militarizzazione della penisola di Corea.
Gli Stati Uniti avevano
d’altra parte già agito in un modo simile nel 2010 e nel 2013, quando
avevano rispettivamente inviato in Corea del Sud la portaerei nucleare
George Washington e bombardieri B-2 e B-52 nel corso di precedenti
situazioni di crisi.
Da parte nordcoreana, peraltro, la retorica
bellicista nasconde la volontà di raggiungere un qualche accomodamento
con Washington, alla luce soprattutto delle gravi difficoltà economiche
che minacciano la stabilità del regime.
Non
a caso, malgrado lo scontro con Seoul, Pyongyang non aveva decretato la
chiusura, sia pure temporanea, del complesso industriale di Kaesong,
situato in territorio nordcoreano ma operato da aziende del Sud. Questi
impianti permettono infatti al regime di ricavare preziosa valuta estera
a fronte del quasi totale isolamento internazionale del paese.
Gli
Stati Uniti persistono però nel mantenere una linea dura nei confronti
della Corea del Nord e, di fatto, nell’impedire la ripresa dei colloqui
con le altre potenze regionali, incoraggiati invece da Pechino, ovvero
il principale se non unico alleato del regime. L’accordo siglato lunedì
non offre in ogni caso alcuna garanzia di distensione tra i due paesi,
visti i precedenti e le implicazioni strategiche della crisi tra le due
Coree.
Le ragioni del perenne stallo nella penisola di Corea,
così come del periodico riesplodere delle tensioni tra Seoul e
Pyongyang, sono in sostanza da ricercare nelle manovre strategiche degli
USA in Estremo Oriente. Nel quadro della cosiddetta “svolta” asiatica,
l’amministrazione Obama intende cioè continuare ad alimentare ogni
rivalità o motivo di scontro, in modo da mantenere alto il livello di
pressione esercitata sulla Cina.
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