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21/08/2015

L’insegnante nella sua “funzione animale”

Il vergognoso ricatto, cui sono sottoposti oggi gli insegnanti precari, si può comprendere alla luce della celebre affermazione di Marx sulla condizione alienata del lavoratore: “ne viene quindi come conseguenza che l’’uomo (l’operaio) si sente libero soltanto nelle sue funzioni animali, come il mangiare, il bere, il procreare e tutt’al più ancora l’abitare una casa e il vestirsi, e invece si sente nulla più che una bestia nelle sue funzioni umane. Ciò che è animale diventa umano, e ciò che è umano diventa animale”. In verità, a mille e trecento euro di stipendio, per un padre o per una madre che devono spostarsi dalla Sicilia o dalla Sardegna, anche solo “l’abitare una casa”(in molti casi diventerebbe, per ragioni oggettive, una seconda casa) sarebbe problematico.

Il modo di presentare questi insegnanti, che lo stato è costretto ad assumere a causa della sentenza della Corte europea del novembre 2014 dopo averli sfruttati per decenni, è ben rappresentato dalla trasmissione “Agorà” del giorno 19/08/2015,  nella quale un celebre giornalista dell’Unità apostrofa l’insegnante precaria Marcella Raiola, autrice di una scomoda lettera a Repubblica in cui la stessa insiste sul trasferimento forzato degli insegnanti da una regione all’altra, con un “Vattene a lavorare”.

Quel “Vattene a lavorare” restituisce, con tracotanza, la condizione di alienazione del lavoratore odierno. Il lavoro perde la sua natura di vero e proprio diritto, cessa di essere espressione dell’essenza umana e si rovescia in un coartante dovere assoluto: con un gigantesco passo del gambero siamo tornati indietro di oltre due secoli, se pensiamo che già la Costituzione francese del 1793, pietra miliare del pensiero democratico e radicale, sanciva invece il “diritto al lavoro”.

La funzione mistificatrice della narrazione mainstream che enfatizza, con toni miracolistici, la portata dell’assunzione dei precari, è utile all’occultamento delle vere questioni che non riguardano esclusivamente il mondo della scuola. Flessibilità, bassi salari, demansionamento, sono tutti strumenti funzionali al capitale, per piegare tutti i lavoratori, renderli facilmente sostituibili e duttili a fronte di qualsiasi esigenza del  profitto.

Grave sarebbe oggi separare la condizione di vita e di lavoro dei precari della scuola da tutte le altre forme di sfruttamento del lavoro: il modello Marchionne per l’industria, il modello Ikea per la grande distribuzione, lo sfruttamento aberrante nel campo della logistica o il sistema vessatorio-punitivo adottato nei confronti dei precari, rappresentano le molteplici facce opache di un prisma che si chiama mercato.

In fondo la “Buona scuola”, con la sua matrice aziendalistica, verticistica e autoritaria, rappresenta il laboratorio nel quale vengono sperimentati, prodotti e replicati, i meccanismi di potere e di sfruttamento. È proprio in questo sistema di potere che il docente finisce con l’essere strumento asservito, consapevolmente o meno, a logiche che penalizzano l’esercizio del libero pensiero e della libertà d’insegnamento, con ovvie ricadute sugli studenti e sul modello di società futura.

La parcellizzazione delle lotte ci porta oggi, come l’esperienza dimostra, di sconfitta in sconfitta. Più che un auspicio, l’unione delle lotte di tutti i lavoratori si afferma oggi, prepotentemente, come necessità.

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