Il boom della candidatura di Corbyn alla leadership del Partito Laburista britannico ha suscitato, giustamente, grande interesse sul nostro sito poiché si tratta di uno sviluppo largamente imprevisto, dato il contesto in cui si sta improvvisamente sviluppando - la patria del cosiddetto neoliberismo, assieme agli Stati Uniti d’America.
Nei giorni scorsi, in risposta ai detrattori che lo accusano di essere “anti-business” tout-court, Jeremy Corbyn ha aperto un nuovo sito internet denominato “Corbyn for business”, in cui, appunto, delinea le sue proposte in tema di economia.
Sono da sottolineare proposte radicali quali quelle raccolte sotto la voce “incrementare il reddito disponibile”, ovvero, in primo luogo, alzare il salario minimo ed imporre costi più bassi per gli alloggi, “in maniera tale da aumentare il reddito disponibile nelle tasche dei consumatori”. In secondo luogo, la creazione di una banca nazionale per gli investimenti, che dovrebbe finanziare la nazionalizzazione dei settori-chiave. Particolare attenzione è riservato al tema dei trasporti, usciti disastrati dalla stagione delle privatizzazioni, che ha portato alla distruzione di alcuni collegamenti mentre ha reso “elitari” alcuni altri per via dell’incremento delle tariffe.
“La privatizzazione delle ferrovie ha frammentato i nostri collegamenti su ferro ed ha significato la più confusionaria e costosa struttura tariffaria d’Europa”, ha affermato Corbyn, che poi, ancora più enfaticamente, ribadisce: “I nostri collegamenti ferroviari soffrono di massicci disinvestimenti, recentemente tagliati ancora dall’attuale governo, mentre continuano livelli di profitto da rapina. Dobbiamo ricostruire collegamenti ferroviari integrati di proprietà pubblica, diretti dal popolo per il popolo. E’ importante per la nostra economia, la nostra società, il nostro ambiente, che le ferrovie vengano dirette nel pubblico interesse, non per i profitti privati. Sotto la mia leadrship il Labour si impegna alla nazionalizzazione sotto la direzione dei passeggeri, dei lavoratori e del governo”.
Altri campi esplicitamente indicati come destinatari di investimenti pubblici produttivi sono quelli delle energie rinnovabili e dell’infrastruttura digitale.
Non mancano le misure direttamente o indirettamente sociali, come il rafforzamento delle autorità giudiziarie che si occupano di diritti dei lavoratori per sradicare il lavoro nero e la sotto-occupazione, l’aumento delle tutele sociali per i lavoratori individuali (ovvero le moderne "partite Iva individuali", di fatto lavoratori a cottimo) “per portare il loro livello di sicurezza sociale a quello dei lavoratori dipendenti”; nonché “un’inversione nella tendenza a tagliare l’istruzione per adulti e un servizio nazionale di istruzione per produrre una forza lavoro più dotata di competenze”.
Altre misure (proposte, naturalmente) sono indirizzate al sostegno delle piccole imprese, le quali, si dice espressamente, devono essere poste in condizione di competere con le multinazionali attraverso un decremento della tassazione (a cospetto di “modesti incrementi” nei confronti delle grandi corporazioni), il rafforzamento delle agenzie governative presso cui si registrano le imprese, al fine di evitare l’elusione fiscale da parte delle grandi industrie, e gli affitti calmierati dei locali commerciali.
Come si vede, si tratta di un programma economico tutt’altro che rivoluzionario, che nell’”epoca keynesiana” del capitalismo europeo, ovvero da dopo la ricostruzione post-bellica fino ai primi anni ’80, sarebbe stato pienamente interno alle logiche anche dei partiti centristi moderati, a quel tempo diretta espressione del capitale imperialista.
Tuttavia, nell’attuale fase di sviluppo del capitalismo europeo esso si presenta come radicalmente alternativo all’agenda politica imperante. Anzi, quasi tutti i punti salienti erano completamente fuori dalla discussione pubblica, prima della vittoria del governo Syriza in Grecia, perché in contraddizione aperta con i concetti di competitività ed efficienza per come ci vengono propinati quotidianamente. Tanto basta, dunque, per far rivolgere a Corbyn le accuse e gli epiteti di cui abbiamo già parlato.
Se ciò è vero, la prima considerazione politica da fare è che questo programma, allo stato attuale, rappresenta esclusivamente una bandiera (ne sia consapevole o no lo stesso Corbyn), completamente inapplicabile all’interno delle compatibilità date che Corbyn, per il momento, non dichiara di voler intaccare. Va inoltre a violare esplicitamente le regole dell’Unione europea in materia di libero mercato e ruolo dello Stato in economia. E appare infine completamente utopistico pensare di poter porre le piccole imprese al livello di competitività delle multinazionali (se è vero, com'è vero, che il mercato è un’arena dove valgono solo i rapporti di forza, per cui i più grandi vincono sempre sui più piccoli e manipolano a loro immagine anche la base “sovrastrutturale” del mercato stesso, ovvero le norme che tentano di regolarne il funzionamento).
Pertanto, anche ammesso che si volesse cementare un blocco storico composto da lavoratori, piccola borghesia e piccola impresa - come si allude con questo programma - ci sarebbe bisogno di molto di più rispetto a qualche passaggio elettorale vincente, come ha dimostrato, dolorosamente, la vicenda greca. Il livello di scontro che si innesta con le istituzioni del grande capitale imperialista (la troika), quando si afferma una soggettività "riformista", è talmente alto da richiedere mobilitazione popolare permanente a proprio sostegno, nonché grandi competenze teoriche e pratiche e lo sviluppo di un sistema di alleanze internazionali che controbilancino gli attuali rapporti di forza sfavorevoli.
L’ascesa politica di Corbyn, pur essendo accompagnata da un certo entusiasmo da parte della base storica tradunionista del Labour e di molti giovani, non avviene per ora in clima contrassegnato da grandi mobilitazioni. Oltretutto, si può sicuramente ritenere che la macchina burocratica del Partito Laburista e quella statale del Regno Unito, per via del peso specifico che hanno nell’ambito dei circuiti finanziari internazionali, saranno molto più efficienti rispetto quella malandata della Grecia nel tentativo di disinnescare l’anomalia interna per tempo, al di là dei risultati elettorali formali.
Ciò significa che l’esito di questa campagna politica ci è indifferente? Assolutamente no. Quanto più i fatti mettono in evidenza che le dinamiche reali del grande capitale imperialista e, di conseguenza, il comportamento delle istituzioni e dei partiti sotto il suo controllo, divergendo in modo sempre più evidente da qualsiasi meccanismo formale di democrazia, tanto più la sua egemonia ideologica sugli strati popolari va in crisi e la contraddizione fra il suo modo di rappresentarsi (come portatore dello stato di diritto e della democrazia) e i fatti si palesa agli occhi di milioni di lavoratori.
Pertanto, possiamo provocatoriamente (ma non tanto) sperare che Corbyn vinca il passaggio elettorale e che si mettano in moto, anche in Inghilterra, contraddizioni e mobilitazioni - sociali e politiche - tali da far saltare la consolidata governance. Ma, soprattutto, è augurabile che l’entusiasmo popolare che sta accompagnando questa campagna elettorale di Corbyn diventi solo un primo tassello verso la reale saldatura del blocco sociale popolare che possa innescare un processo politico e sociale di lotta di classe in contrapposizione con le compatibilità dettate dal grande capitale multinazionale. Proprio in una delle sue basi più solide.
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