In una recente intervista su Micromega,
sollecitato sulla crisi della Grecia, lo stimato scrittore Erri De Luca
ha dichiarato: "Non c'era piano B all'infuori di un ritorno alla
dracma, una sospensione dall'euro che avrebbe subito dimezzato il potere
di acquisto, dunque affondato la Grecia nell'abisso argentino di anni
fa". Ed ha quindi aggiunto: "Non esiste alternativa all'euro e nemmeno
all'Europa".
C'è stato un tempo in cui, quando le
discussioni arrivavano a lambire l'economia politica e la sua
critica, gli artisti e gli scrittori impegnati avevano l'accortezza
di tacere o di documentarsi prima di intervenire. Oggi purtroppo non è
così. Nel deserto di pensiero critico in cui tutti versiamo, anche un
intellettuale di rango come De Luca, da sempre impegnato nelle lotte
sociali, sollecitato a intervenire su una questione che evidentemente
non padroneggia si ritrova a fungere suo malgrado da megafono della
vulgata, e quindi in ultima istanza dell'ideologia dominante.
Nell'intervista De Luca commette due errori grossolani.
In primo luogo confonde svalutazione e
inflazione, cioè scambia le stime sul deprezzamento di una eventuale
nuova dracma per una previsione sull'erosione del potere d'acquisto
delle retribuzioni che deriverebbe da un'eventuale uscita della Grecia
dall'euro. In realtà si tratta di due cose completamente diverse:
attendersi che una eventuale nuova dracma possa svalutarsi del cinquanta
percento non implica affatto prevedere che il valore reale dei salari
si dimezzi o si riduca anche solo del dieci percento. La storia
delle uscite da regimi monetari ci dice che la relazione tra
svalutazione e potere d'acquisto dei salari cambia profondamente, di
intensità e persino di segno, a seconda che le politiche economiche
adottate nella transizione siano pro o contro i lavoratori.
In secondo luogo, riguardo al caso
dell'Argentina, De Luca confonde le cause con gli effetti. La crisi
infatti raggiunse il suo culmine quando il peso argentino era ancora
agganciato al dollaro, e la ripresa iniziò quando la parità con la
moneta statunitense era già stata abbandonata.
Erri De Luca non può averne idea,
ma alcuni studiosi in questi anni hanno duramente lavorato per
tentare di superare le banalizzazioni propagandistiche dei
pasdaran pro-euro à la Renzi, da un lato, e degli ultras anti-euro à
la Salvini, dall'altro. Questi economisti hanno proposto
un'accurata analisi della crisi dell'eurozona, secondo quella che un
tempo si sarebbe definita una prospettiva "di classe".
Penso che De Luca trarrebbe giovamento
dalla conoscenza di questa letteratura critica. Ad esempio, sui
possibili effetti salariali e distributivi di un'eventuale uscita
dall'euro, mi permetto di suggerirgli di leggere un articolo
recentemente pubblicato sullo European Journal of Economics and Economic Policies. Oppure, se preferisce l'italiano, potrà esaminare un analogo lavoro apparso sulla Rivista di Politica Economica.
Sono certo che, dopo essersi adeguatamente documentato, De Luca non
commetterà più l'ingenuità di confondere svalutazione e inflazione. E
soprattutto, Erri si renderà conto che dentro l'euro, dal 2009 ad
oggi, i lavoratori greci hanno visto crollare il loro potere d'acquisto
in misura superiore a quella registrata in tutti i casi di uscita da
regimi valutari che abbiano interessato paesi avanzati nell'ultimo
trentennio.
La crisi del progetto europeo è quella
che i marxisti un tempo avrebbero definito una "tendenza oggettiva" [1].
Chi sostiene che l'abbandono dell'euro rappresenti in quanto tale una
panacea commette un grave errore. Ma chi pensa che la difesa dell'euro
corrisponda in sé alla difesa degli interessi di classe prende un
abbaglio ancor più grande, e soprattutto rende ancor più ostica
l'impresa di costruire un argine all'avanzata di quella nuova destra
montante, al tempo stesso liberista e xenofoba, che sulle macerie
dell'attuale eurozona è già pronta a posare il tallone di ferro della
sua futura egemonia politica.
[1] Cfr. E. Brancaccio, Il monito degli economisti, un anno dopo (in "L'Euro: un destino segnato?", dibattito su Critica Marxista 5/2014).
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