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26/08/2015

Fuori l’Europa dalla Costituzione? Come stanno le cose

Giulio Tremonti ha presentato un disegno di legge costituzionale che prevede la modifica degli articoli 97, 117 e 119 della carta Costituzionale riferiti alla questione del vincolo di pareggio. Subito sono comparsi articoli con titoli allarmati del tipo: “Tremonti vuole cancellare l’Europa dalla Costituzione”, che fanno pensare all’ennesima mutilazione del testo costituzionale. Le cose non stanno affatto così e mi spiego. Il testo originario della Costituzione non contiene alcun riferimento all’Europa e, tantomeno, alla Ue. L’attuale formulazione è assai recente ed è un’eredità del governo Monti di infelice memoria. Esso fu la conseguenza dell’accordo intergovernativo del 2012 meglio noto come accordo del “Fiscal Compact”, che determinava l’introduzione del pareggio di bilancio obbligatorio e l’obbligo di chiedere l’autorizzazione delle Camere in caso di deviazione dall’obiettivo. La prima modifica riguardò l’art. 97 nel quale venne introdotto un brevissimo comma iniziale:
Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.
Il che, in buona sostanza, significa che le decisioni delle pubbliche amministrazioni, ed ovviamente in particolare in materia fiscale, sono subordinate ai dettami Ue e, qualora il responsabile di una di esse (di qualsiasi livello) dovesse decidere in modo difforme, potrebbe anche vedersi chiamato dalla Corte dei Conti a rispondere di “danno erariale”. Il richiamo alla Ue è poi ribadito da un inciso nell’art 117 ed un altro nel 119. Da questo poi scaturì la legge applicativa 24 dicembre 2012 n. 243 che rende esecutive le norme fissate a partire dal 2014.

Tutto questo va poi letto insieme alla trasformazione dell’art. 81 deciso sempre con legge di revisione costituzionale dell’aprile 2012.

La stesura originaria dell’art. 81 si limitava a prevedere, nell’ultimo comma, l’obbligo di copertura di ogni ulteriore legge di spesa oltre il bilancio annuale. Peraltro, questo obbligo nei fatti non fu mai osservato troppo scrupolosamente.

Poi nel 2012, a seguito dello sciagurato accordo cui abbiamo fatto cenno, l’articolo venne riformulato come segue:
Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.
Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.
Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei princìpi definiti con legge costituzionale.
Dunque, occorre mettere in relazione le norme che legano il pareggio di bilancio ed i limiti di oscillazione possibili con le direttive Ue. Di fatto, quella modifica costituzionale diventa, in questo modo, il “catenaccio” che garantisce l’accordo intergovernativo del fiscal compact e rende non aggirabili i limiti al disavanzo, neppure nelle fasi economicamente sfavorevoli come questa.

Detto in soldoni: se il Governo volesse “sforare” i limiti fissati, non potrebbe farlo contro le indicazioni Ue, perché basterebbe un intervento della Corte dei Conti a bloccare tutto. Ma se anche la Ue (o la Merkel, per essa), in un accesso di benevolenza, autorizzasse l’Italia a discostarsi dai limiti concordati, così come Renzi ha chiesto vanamente nella sua visita berlinese, ugualmente il Governo non potrebbero far nulla, perché a legargli le mani resterebbero le procedure costituzionali.

Di fatto si tratta di un combinato di norme assolutamente micidiale che vincola la politica economica del nostro paese alle decisioni Ue ed il punto più pesante (di cui in questa campagna elettorale proprio non si sta parlando nemmeno per cenni) è quello che riguarda il rientro del debito. Gli accordi da cui è nato l’Euro, prevedono che ogni paese non possa avere un debito superiore al 60% del suo Pil, mentre il nostro debito era al 120% prima del governo Monti e, dopo i sacrifici, è salito al 130%. La Ue ci ha imposto il rientro della quota eccedente entro 20 anni. Questo significa un onere di circa 40-60 miliardi l’anno (la cifra è solo stimabile perché variando il Pil occorre calcolare anno per anno la cifra in assoluto da reperire) che si aggiunge agli interessi.

Anche tagliando brutalmente le spese oltre ogni tollerabilità ed inasprendo la tassazione ordinaria, è materialmente impossibile fare fronte all’impegno. E le strade che restano non possono essere che due: l’alienazione di beni pubblici (le privatizzazioni ovviamente in termini di svendita) ed un prelievo forzoso. Insomma: gli italiani entrino nell’ordine di idee che ci aspetta un prelievo forzoso sui risparmi in banca e, con ogni probabilità, una patrimoniale sulla casa. E neppure è detto che questo basti.

E dire che gli accordi iniziali che hanno preceduto il fiscal compact – prima che Monti svendesse il nostro paese prevedevano clausole ben più favorevoli per l’Italia, a cominciare dal criterio di calcolo sul debito. Da un punto di vista giuridico, peraltro, è vero che l’Italia consente limitazioni della propria sovranità, ma in condizioni di parità (art. 11 Costit.), mentre qui siamo gli unici ad aver messo mano alla Costituzione.

Ed allora, concludendo, qui si fa sul serio: vogliamo il superamento dell’attuale ordine monetario come sostiene il M5s? Vogliamo una “Europa diversa” che rifiuti l’austerità del fiscal compact come vuole la Lista Tsipras? Vogliamo anche solo una politica di bilancio più elastica, come predica Renzi? Per fare tutto questo il passaggio obbligato è eliminare quelle modifiche costituzionali volute da un governo al servizio dei poteri forti stranieri. Ristabilire la sovranità nazionale è il passo preliminare e qui si vede chi fa sul serio e chi no: Hic Rhodus, hic salta.

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