di Ascanio Celestini
Gli zingari! I tremendi Casamonica!
Ce li ho davanti tutti i giorni, li vedo da quando sono nato, stanno nelle stesse strade della borgata nella quale vivo da sempre. I più ricchi girano con macchine eclatanti, i più poveri rovistano nei cassonetti.
Una volta morì una zingarella giovane e riempirono una strada di petali di fiori. Siamo andati a vedere la carrozza coi cavalli bianchi. Ci siamo andati in bicicletta, con la Graziella.
C’è da dire che la mia famiglia non va in chiesa. Dio ci interessa quanto noi interessiamo a lui. Cioè poco o niente, ma va bene così. Per Lui la morte è un inizio, per noi soltanto una fine. Punti di vista, punti di vita.
Eppure quella strada infiorata aprì un buco nella testa di tanti ragazzini come me, come ero io tanto tempo fa.
Gli zingari ricchi sono trucidi e panzoni, capelloni e strillanti, ma non mi fanno schifo come lo fanno a tanti commentatori sui giornali, nella rete o nelle televisioni. Quelli che si indignano per la loro mafiosità, per la loro panza antiestetica, per i loro soldi che pare che puzzano più di quelli che la panza ce l’hanno ben levigata, ma rubano tanto di più e tanto meglio.
Quei zozzoni zingari non hanno la bomba atomica come gli americani o i cinesi. Non sono padroni del gas come i Russi. Non si inventano genocidi come i nazisti o gli Hutu. La maggior parte delle volte lavorano, spesso rubacchiano, certe altre si fanno le villette con le colonne di travertino e i leoni di marmo sul cancello.
Sono fatti così. Non conoscono Philip Starck e forse pure Ikea gli sembra un po’ poverella nello stile.
Hanno fatto un casìno a Don Bosco, poche centinaia di metri da casa mia. L’hanno fatto con un elicottero e una carrozza che, pare, abbia portato al camposanto pure Totò.
E tanti si sono schifati perché è gente che ruba e spaccia, gente che se ne frega delle regole e trasforma un funerale in una manifestazione di piazza.
Devo dirlo? Lo dico: io sono contro di loro. Io rispetto tutte le regole e pago le tasse. Io e tutta la mia famiglia.
Produco energia elettrica che regalo al gestore che me la rivende senza ridarmi i soldi del mio lavoro. Sono legale anche con gli illegali. Mi faccio derubare a rate dallo Stato. Ma questo non è l’oggetto del discorso.
L’oggetto è un altro: perché nessuno si è chiesto perché lo fanno?
Perché prendono la morte e la rovesciano in un fatto scandaloso?
Nessuno si è chiesto cosa è ancora la morte per noi.
Cosa è la morte di mio padre o di mio figlio. Del mio e del vostro.
Tutti si sono igienicamente lavati le mani e allontanati da quel casìno.
Forse è l’estate sgomenta nella quale accadono un po’ di cose nascoste sotto il tappeto (leggi che leggeremo tra qualche anno, ma saranno applicate subito) e tante altre senza importanza.
Ma qualcuno si è interrogato sul significato della morte?
Qualcuno ha guardato oltre le panze e i capelli di quei ciccioni per chiedersi cosa è la morte per noi senza panza e capelli?
Anche per me è stata una manifestazione trucida, ma dopo il primo sentimento contrastato mi sono ricordato che dietro alla manifestazione colorita ci stava la morte. La morte di un fesso, un criminale, un padre di famiglia, un assassino, un brav’uomo, un pezzente, un riccone paperone, un nulla, un tutto.
E proprio di tutto abbiamo parlato davanti a quel sarcofago scortato dalla musica del Padrino di Coppola. Lo abbiamo fatto senza sapere cosa è il lutto per quelle persone ciccione. Facciamo sempre così. Pensiamo a quello che sta nel nostro cervello credendo che sia il meglio, ma ce ne freghiamo del cervello e della cultura degli altri. Quelli rubano e allora sono cattivi. Noi avveleniamo la nostra vita sul pianeta, ma lo facciamo mentre andiamo in palestra. I nostri glutei sono solidi come scolpiti da Canova, loro si mangiano il grasso fritto e sono trogloditi.
Ci sentiamo forti perché le altre culture ci sembrano stupide. E quando le vediamo sfilare in quel modo storpio e riccastro ci sentiamo ancora più forti.
Tutti si schierano contro di loro, la quasi-destra e la quasi-sinistra, il partito-contro-tutti e il partito-con-tutti.
E parliamo, parliamo, e scriviamo e scriviamo.
Discorriamo di tutto, tranne che della morte.
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