Martedì mattina, alle 6.30, hanno sgomberato Degage, studentato
occupato ormai più di due anni fa da un gruppo di giovani studenti,
lavoratori e disoccupati, che si erano uniti nel bisogno di trovare
insieme una casa. Degage era nato così, a partire da un gruppo di
studenti dei collettivi universitari che, tra chi non voleva più pagare
l’affitto perché non più disposto a dare 500 euro per una stanza e chi
voleva uscire di casa senza rinunciare allo studio per un lavoro
sottopagato o in nero, si erano uniti e avevano dimostrato che
organizzandosi e lottando contro le contraddizioni della nostra città
una soluzione, un’alternativa, è ancora possibile. Questo gruppo così
eterogeneo, sia politicamente che soggettivamente, ha dato sin da subito
una spinta e un’accelerazione decisiva alle lotte cittadine, nonchè a
quell’insieme di compagni e “situazioni” che ancora ci ostiniamo a
chiamare “movimento”, magari augurandoci che attraverso la ripetizione
sragionata di un termine si giunga infine alla fatale reificazione.
Sin da prima dell’occupazione la nostra amicizia umana e politica con
i compagni che poi avrebbero preso il palazzo ci aveva portato a
seguire il percorso prima e ad occupare lo stabile poi, convinti che
l’esperimento politico immaginato fosse una salutare boccata d’ossigeno
per il movimento romano. Un movimento che aveva esaurito la spinta
propulsiva della stagione dei centri sociali per ritrovarsi senza idee
né prospettive, costretto tra le due sponde del rientro nei canoni del
politicamente accettabile (accordi con Sel, col Pd, con le liste
civiche, con la peggiore mondezza della città insomma) e la costrizione
delle lotte microterritoriali, di quartiere, un quartiere che costituiva
– e costituisce tutt’oggi – più una gabbia dalla quale non si riesce ad
uscire che una risorsa sociale da sfruttare. Un movimento dei “soliti
noti”, che attraverso continui riposizionamenti continuano a determinare
la politica cittadina di movimento dagli anni Settanta ad oggi. Di
sconfitta in sconfitta, senza alcuna vittoria finale però. Degage
costituiva il tentativo di rispondere a questa crisi politica del
movimento romano. Ad operare questo tragico e necessario ricambio
generazionale, non legato esclusivamente all’età anagrafica dei
militanti, ma al ricambio delle idee e degli orizzonti politici. Degage è
stato tante cose: un palazzo che rispondesse alle esigenze di
precarietà abitativa dei suoi occupanti; uno studentato e luogo di
ritrovo per gli studenti della Sapienza; ma anche, inoltre, un luogo in
cui si faceva politica, con iniziative, presentazioni, dibattiti,
eccetera. Una scommessa azzardata, soprattutto per la collocazione in un
quartiere benestante e distante anni luce dalle esigenze di quei
compagni, ma una scommessa che andava fatta. Nonostante la difficoltà di
intraprendere un percorso senza punti di riferimento, la scommessa di
Degage ha portato in città un diverso approccio alla politica.
Ovviamente, come in ogni esperienza politica originale, le difficoltà di
concretizzare un obiettivo di tal portata sono subito emerse, a volte
sottotraccia a volte più manifeste, ma oggi è importante rilevarne gli
stimoli positivi e propositivi, che ci portano a dire che la scommessa
di Degage costituisce la direzione verso cui sperimentare nuove forme
della militanza politica per gli anni Duemila, e oggi costituisce un
esempio da seguire, e siamo certi che i compagni che animavano lo
studentato continueranno sulla stessa rotta. Non sarà certo lo sgombero
di un palazzo il freno all’obiettivo politico indicato, un obiettivo che
ha avuto la forza di mandare in soffitta anni di accomodamento
riformista. E’ per questo che oggi noi siamo al fianco dei compagni di
Degage, convinti che questa sarà solo una battuta d’arresto di un
percorso avviato e in fase di stabilizzazione.
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