Adesso tutti vogliono andare a bombardare in Siria. L’opinione pubblica è ormai sufficientemente coinvolta, prima dall’impatto degli “orrori dell’Isis”, poi dalle immagini dei profughi siriani arrivati nel cuore dell’Europa con la foto del bambino morto su una spiaggia turca a fare da immagine-simbolo, ma anche come bulldozer mediatico per mettere a tacere ogni riluttanza e ogni capacità di discernimento. Si va a bombardare in Siria dunque, ma chi e per fare cosa? Dalle dichiarazioni ufficiali si conferma ormai che l’Isis è solo una sorta di spauracchio a uso e consumo del consenso intorno all’intervento militare, che ha come vero obiettivo la destabilizzazione finale del regime di Bashar Al Assad il quale, contrariamente ai pronostici e alla guerra civile scatenata dal paese dalle potenze occidentali e dalle petromonarchie del Golfo, negli ultimi quattro anni è riuscito a rimanere in piedi in una parte del paese.
La Francia starebbe riflettendo sull'ipotesi di
compiere operazioni aeree contro lo Stato islamico in Siria, che
potrebbero concretizzarsi tanto in raid aerei che in voli di
ricognizione. A riferirlo è il quotidiano Le Monde,
che però non ha ricevuto conferme ufficiali, ma intanto gestisce le
notizie su questo fronte come una sorta di bollettino in aggiornamento,
sia per quanto riguarda la Francia che la Gran Bretagna.
L'Eliseo ha annunciato in ogni caso che il
Presidente si esprimerà lunedì sulla questione nel corso della sua
conferenza stampa semestrale. "L'esodo massiccio di siriani, il
fallimento della coalizione nel far retrocedere l'Isis in Iraq o ancora
la maggiore presenza militare russa sul campo, stanno facendo lentamente
cambiare la posizione francese", scrive il quotidiano. La Francia già
partecipa con alcuni aerei alle operazioni in Iraq della coalizione
diretta dagli Usa contro l'Isis. Ma non vuole fare altrettanto in Siria,
per non aiutare in questo modo il regime di Bashar al Assad. Parigi
invece potrebbe intervenire militarmente in Siria "per questioni di
sicurezza interna" e "in tutta indipendenza", avrebbe spiegato una fonte
governativa al quotidiano.
Anche il governo britannico esprime l’ intenzione di lanciare attacchi aerei in
Siria, secondo fonti ufficiali rese note dal Sunday Times. Cameron
vuole ottenere il via libera del parlamento ai raid in un votazione ai
primi di ottobre. Il cancelliere britannico Osborne ha affermato che "una
Siria più stabile e in pace" si raggiunge con la lotta al "malvagio
regime di Assad e ai terroristi Isis". Ad
agosto, il presidente statunitense Barack Obama aveva dato
l'autorizzazione alle forze Usa per compiere raid aerei in difesa dei
gruppi di ribelli siriani addestrati dagli Usa nell'ambito della sua
strategia anti-Isis, ma anche se ad attaccarli fossero state le forze del presidente siriano Bashar al Assad.
La risposta della Russia a questa direttiva di Washigton non si era fatta attendere. I
possibili raid aerei Usa per proteggere l'opposizione siriana, secondo
il Cremlino, potrebbero destabilizzare ulteriormente la situazione in
Siria facendo il gioco dell'Isis. ''Mosca ha sottolineato ancora una
volta che l'assistenza, tanto più con mezzi finanziari o tecnici all'
opposizione in Siria, porta all'ulteriore destabilizzazione del Paese'',
aveva dichiarato Dmitri Peskov, portavoce di Putin. ''In sostanza
questo porta ad una situazione nel Paese di cui possono approfittare i
terroristi del cosiddetto Stato Islamico perchè è in questo modo che
la dirigenza indebolita perde il suo potenziale per combattere
l'ulteriore espansione dello Stato Islamico''.
Su questa frenesia da bombardamento, contro l’Isis
ufficialmente, ma contro le forze di Assad più probabilmente, si innesta
l’emergenza profughi con la decisione della Germania di aprire le porte
ma solo ai rifugiati siriani. Un dettaglio che, a questo punto, si
presta a interpretazioni molto diverse da quelle del diritto di asilo e
dell’aiuto umanitario.
Il massiccio afflusso in Europa di rifugiati dalla Siria e dal Nord Africa rappresenta "un enorme problema", con cui bisognerà probabilmente fare i conti "per i prossimi venti anni" ha dichiarato nei giorni scorsi il generale Martin Dempsey, il capo di stato maggiore uscente delle forze armate Usa. Nella logica di Dempsey il raccordo con precedenti campagne umanitarie ai fini dell’intervento militare è quasi spontaneo. “Ricordo che il mondo si fermò e puntò gli occhi su Sarajevo“, ha aggiunto il capo di Stato maggiore. "Oggi, mentre siamo qui seduti, ci sono 60 milioni di rifugiati nel mondo, 42mila famiglie al giorno secondo le Nazioni Unite, e l’impressione è che non ci sia il livello di interesse per la situazione come accadeva invece con l’incidente di Sarajevo di venti anni fa“. “Il mio personale giudizio su questo“, ha detto Dempsey in una intervista alla Abc, “è che dobbiamo guardare a queste situazioni sia unilateralmente che con gli alleati come un problema generazionale e organizzare noi stessi e le nostre risorse a un livello sostenibile per affrontarle per i prossimi venti anni”. L'emergenza immigrati, secondo Dempsey, è stata «l'argomento più importante» discusso dai leader militari di Washington e della Nato nei loro incontri gli scorsi mesi. Dempsey ha parlato con la “libertà” che deriva dal fatto che il suo incarico scade il prossimo 1 ottobre, quando verrà sostituito al Pentagono dal generale Joseph Dunford.
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