Avevo intenzione di scrivere una recensione al libro di Gigi Borgomaneri “Li chiamavano terroristi. Storia dei Gap milanesi”
Unicopli, Milano 2015 appena uscito e lo farò ben presto, ma
curiosamente sono costretto a parlare prima di una imbarazzante, ma
interessante polemica che esso ha suscitato.
Infatti, Silvia Pinelli, che ha
partecipato alla presentazione del libro (fatta a Scienze Politiche
dall’autore e da Antonio Carioti e dal sottoscritto l’11 novembre scorso)
ha innescato una polemica subito ripresa da Tiziana Pesce che postando
su facebook sostanzialmente ha accusato Borgomanesi di fare del
revisionismo storico:
“lo chiamano revisionismo,
spesso è falsificazione della storia” così affermava mia madre. Dedicato
a chi scrive libri e vuol far passare i gappisti per terroristi, che
incutevano terrore nella popolazione. Chi incuteva terrore nella
popolazione erano ben altri! Le azioni dei gappisti erano azioni di
guerra, (si perchè c’era la guerra) né più né meno. Non erano
azioni “a sangue freddo”: “sangue freddo” è uccidere un uomo messo al
muro: il boia agisce a sangue freddo, il torturatore. Il partigiano che
colpiva il nemico non agiva a “sangue freddo”, quel che faceva era:
attaccare per primo. Attaccare per primo, tra l’altro, chi era più forte
e meglio armato. Quando colpivano, colpivano gli agenti dell’esercito
occupante. Colpivano all’improvviso e sparivano, come si fa sempre
quando le forze in campo sono disuguali. Cosa avrebbero dovuto fare,
dichiarare battaglia alla Wehrmacht in piazza del Duomo?
La polemica è imbarazzante perché sia
Silvia Pinelli che Tiziana Pesce sono amiche (tanto di Gigi Borgomaneri
quanto mie) sia perché portano due nomi importanti della sinistra
milanese. Però interessante, perché basata su un equivoco e su un
atteggiamento psicologico che meritano di essere commentati, anche nella
speranza di diradare la tensione che si è accumulata.
Vorrei poter chiudere questa polemica con una battuta: “Ma
come vi viene in mente che Gigi, figlio di un partigiano fucilato, che
sin da prima del sessantotto ha sempre avuto un’ininterrotta e
chiarissima militanza di sinistra, che ha dedicato quasi 40 della sua
vita a studiare la Resistenza, in particolare milanese, sempre impegnato
contro il revisionismo della destra, possa voler fare ora lui del
revisionismo anti partigiano?”.
Infatti certe cose (i gappisti che
avrebbero agito per terrorizzare la popolazione e che avrebbero colpito
come assassini ecc.) non solo non ci sono assolutamente nel libro, ma non
le ha neppure dette nella presentazione oggi sotto accusa (ed avendoci
partecipato, posso testimoniarlo, ma potete verificare voi stessi, vedendo o ascoltando la registrazione dell’evento).
Il fatto dipende tutto da un equivoco
terminologico: l’uso delle parole terrorismo e terroristi. Gigi usa quel
termine in senso “neutro” cioè per designare una forma di lotta basata
su attentati individuali destinati a “terrorizzare”, appunto, il nemico.
Ma parla di azioni compiute su bersagli nemici precisi e mai contro la
popolazione. Ed in questo senso il termine fu usato anche da Pietro
Secchia in un pezzo del 1943 (che Gigi cita) nel quale si legge
testualmente “E’ venuta l’ora del terrorismo” proprio per invitare alla
formazione dei Gap. Né, tantomeno, Gigi sostiene che le azioni dei Gap
fossero illegittime, perché erano azioni di guerra, esattamente come
scrive Tiziana Pesce (se a sangue caldo o freddo non mi pare che sia
affatto rilevante). E tutti tre i relatori a quella presentazione hanno
sostenuto la perfetta liceità militare, morale e giuridica di quelle
azioni. Quindi non c’è nessun dissenso sulla questione. Ma solo un
equivoco, che dipende dalla modificazione del significato della parola
che, soprattutto dalla metà degli anni settanta in poi, si è caricata di
un giudizio di valore negativo, per culminare negli ultimi venti anni,
nel senso di “attacco indiscriminato ai civili”. E la coincidenza con
gli attentati dell’Isis certo non aiuta a dissipare l’equivoco. Di qui
la deduzione che, se i Gap erano terroristi, vuol dire che
terrorizzavano la popolazione con attacchi indiscriminati, finendo con
il mettere addosso ai gappisti le tuniche nere di quelli dell’Isis. E
questo è il malaugurato equivoco.
Poi c’è lo stato d’animo ed il
retroterra culturale della sinistra. Da oltre un quarto di secolo c’è
una aggressione della destra contro la Resistenza che si cerca di
criminalizzare (in particolare nel caso dei Gap). Questa aggressione si
nutre di falsificazioni, ricostruzioni tendenziose, manipolazioni delle
fonti più o meno abili ma, nel complesso ha mancato il suo obiettivo di
delegittimare la Resistenza. Questo tentativo ha indotto i settori della
sinistra più sensibili all’identità resistenziale a chiudersi a riccio,
rifiutando ogni riconsiderazione della vulgata affermatasi.
Personalmente non credo che sia possibile sovvertire il giudizio sulla
positività, e legittimità morale, politica e giuridica della Resistenza,
quanto sulla verità storica del tentato genocidio ebraico; questo però
non significa né “imbavagliare” chi sostenga il contrario e le cui tesi
vanno esaminate e confutate su base documentale, né che la vulgata
esistente non possa avere variazioni anche importanti che, senza
peraltro accettare i tentativi di criminalizzare i partigiani, possono
cambiare altri aspetti della ricostruzione storica.
Uno storico vero è sempre revisionista,
perché cerca sempre risposte a nuove domande. Poi c’è il revisionismo
fatto bene, sulla base di documenti e con metodo storiografico rigoroso e
quello cialtrone, siamo d’accordo, ma allora si entra nel merito. E da
questo punto di vista il mio parere è che il libro di Gigi sia un
eccellente prova di buona storiografia che, peraltro, non intacca
affatto il valore della Resistenza, ma, anzi lo accresce aggiungendo uno
spaccato umano che rende più comprensibile anche l’aspetto politico.
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