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20/02/2017

Ecuador. Domenica le elezioni. Che vinca Lenin?

Domenica 19 febbraio in Ecuador si svolgeranno le elezioni presidenziali e legislative. In esse competono otto forze politiche. Senza Rafael Correa, la Alianza-País, al governo, vuole radicare maggiormente la Rivoluzione Cittadina, e la destra vuole interromperla.

Il politologo argentino Atilio Borón ha scritto che le elezioni in Ecuador erano come la battaglia di Stalingrado. Forse è stato un paragone un po’ esagerato, ma ha il merito di richiamare l’attenzione su quello che c’è in gioco lì per gli ecuadoregni e per il resto dei latino americani.

Nell’esempio portato da Borón non c’erano terze posizioni: solo la vittoria dell’URSS di Giuseppe Stalin o quella del Terzo Reich di Adolf Hitler. E neanche a Quito c’è una terza posizione, anche se può dissimulare una polarizzazione perché si presentano 8 liste. Anche lì è valida l’opzione binaria: o trionfa la Alianza-País di Correa, con Lenín Moreno, o lo fa una delle liste dell’opposizione, con l’ex banchiere Guillermo Lasso, del partito CREO, o la neoliberista Cynthia Viteri, del Partito Social Cristiano.

Gli aspiranti Paco Moncayo, dell’Acuerdo Nacional por el Cambio (basato su Izquierda Democrática, socialdemocratici e persino marxisti contrari a Correa, come il PC-ml -E); Dalo Bucaram, di Fuerza Ecuador; Iván Espinal, di Compromiso Social; Washington Pesández, dell’Unión Ecuatoriana e Patricio Zuquilanda, di Sociedad Patriótica, non hanno chance.

I sondaggi concordano sul fatto che è in testa la doppietta Moreno-Jorge Glas, con il 34 % d’intenzione di voto; e si disputano la possibilità di arrivare a un ballottaggio Lasso, che ha il 22 % e Viteri, con il 12.

Secondo la legge, per definire tutto alla prima tornata, il vincitore deve ottenere il 40 per cento più un voto, con il 10 per cento di differenza rispetto al secondo, oppure il 50 per cento più uno. L’oligarchia si starà lamentando della divisione tra i suoi candidati perché questo apre la possibilità che Moreno li sconfigga. Quelle classi dominanti invidiano la compattezza che hanno costruito i loro colleghi imprenditori in Venezuela, dove – insieme all’ambasciata statunitense e all’agenzia AID – sono riusciti con parto podalico a partorire la Mesa de Unidad Democrática (MUD) con la candidatura unificata di Henrique Capriles e poi con liste per l’Assemblea Nazionale. E così hanno propinato al governo di Nicolás Maduro una dura sconfitta a dicembre 2015, quando hanno fatto piazza pulita nell’Assemblea Nazionale.

In Ecuador quell’unità non è stata possibile. La destra potrebbe illudersi che lo stesso può fare il colpaccio, perché ha portato a casa le presidenziali dell’Argentina nel 2015, quando anche Mauricio Macri e Sergio Massa non hanno potuto mettere insieme una lista unica, e in ogni caso sono riusciti a sconfiggere il kirchnerismo e sloggiarlo dal governo dopo dodici anni.

Che c’è in gioco

Si sceglie la presidenza e la vice-presidenza dell’Ecuador per quattro anni, e pure i 137 scranni parlamentari dell’Assemblea Nazionale e 5 per la comunità andina, convocando al voto circa 12 milioni de ecuadoregni.

Se si sta ai precedenti, è favorita la Alianza-País. Dalle votazioni di novembre del 2006, quando ha vinto la presidenza Rafael Correa, in poi, questo governo ha trionfato dieci volte.

Oltre ai profondi cambiamenti politici e sociali che ha introdotto, deve essere valorizzata anche la nuova Costituzione promulgata nel 2008 a seguito della convocazione di un’assemblea costituente. Non tutti i governi progressisti hanno osato fare quel passo. Hugo Chávez, Evo Morales e Correa lo hanno fatto; Kirchner e Lula da Silva-Dilma Rousseff no.

Anche se tutti i sondaggi mantengono in ogni caso Moreno come favorito, nessuno può negare assolutamente che ci sarà necessità del ballottaggio. E, se così fosse, si aprirebbe una bella opportunità per l’opposizione di destra legata ai settori economici concentrati che si sentono lesi dalle diverse misure d’inclusione sociale e sviluppo nazionale adottate in questo decennio.

Una circostanza differente, rispetto alle vittorie precedenti del governo: è la prima occasione in cui non c’è Correa come candidato. Ha governato per tre mandati e ha rifiutato di competere per il quarto dicendo che nessuno è imprescindibile, e che Moreno e Glas potranno vincere e governare molto bene. Moreno è stato suo vicepresidente tra il 2007 e il 2013, quando ha lasciato il posto all’attuale vice, Glas.

Lenín è un professionista dell’amministrazione laureato all’Università Centrale dell’Ecuador e, dopo aver svolto il compito di vicepresidente, ha rivestito un incarico nell’ONU, a Ginevra, nell’ufficio che si occupa delle persone con disabilità. Lui è diventato paraplegico per uno sparo del quale è stato vittima in un assalto nel 1998 e si muove in sedia a rotelle. Con moltissima cattiva fede, che gli argentini chiamano “mala leche”, la destra ha fatto campagna mediatica facendosi domande sul suo stato di salute, con lo scopo di negare che sia capace di governare.

Un punto da tenere in considerazione per le elezioni: Moreno avrà lo stesso livello di voti e adesioni dell’ormai comprovato Correa? Forse sì, ma bisogna convenire che questo non era il momento migliore per sperimentare cambiamenti a quel massimo livello, sia per le avverse circostanze interne, sia per le difficoltà specifiche della regione e l’arrivo dell’uragano imperialista Donald Trump.

Problemi in casa

Questa elezione è molto complicata perché nel 2015 e 2016 ci sono stati problemi e regressi nell’economia dell’Ecuador, in comparazione con gli avanzamenti del decennio iniziato il 17 gennaio 2007 con Correa al Palacio de Carondelet.

La caduta dei prezzi internazionali del petrolio è stato un durissimo colpo alle entrate fiscali. Siccome la sua moneta è il dollaro, eredità maledetta che non è stata cambiata dal correísmo, il suo apprezzamento ha lasciato l’Ecuador in condizioni meno competitive per l’esportazione, rispetto ai prodotti peruviani e colombiani. Quella combinazione ha avuto lo stesso risultato di minori entrate e attività economica per un paese che cominciava a prosperare.

In Argentina si dice “come se non bastasse, ha partorito pure la nonna!”. Nel caso ecuadoregno, al calo del PIL del 2015 si è aggiunto il terribile terremoto di aprile del 2016, che ha provocato molte perdite umane e distruzione materiale e spese. il PIL è caduto del 3,5 % nel 2016. Le conseguenze negative del fenomeno non sono state troppo gravose per i più umili perché Correa ha adottato misure per proteggere la loro entrate, con programmi di solidarietà e maggiori imposte ai settori più ricchi.

Questo governo, opposto fin dal vertice al neoliberismo, era nemico della teoria del “goccia a goccia” e invece di aspettare che i settori più privilegiati lasciassero cadere alcune briciole verso i poveri, li ha gravati d’imposte sulla successione, sulla rendita, etc. Se n’è fregato della “teoria della goccia”, che non aveva alcun appiglio con la scientifica legge di gravità.

L’economia ha fatto alcuni passi indietro, benché limitati nel loro impatto sulle classi popolari. Fino a che punto influenzerà negativamente il voto? Sarà sufficiente a Lasso o Viteri per frustrare una vittoria di Moreno alla prima tornata?

Campagne sporche

Il governo ha fatto moltissimo per migliorare la situazione del paese e delle maggioranze popolari, sia in situazioni “normali” come in quelle eccezionali come la ricostruzione dopo il terremoto dell’anno scorso.

Con i proventi della rendita petrolifera ha incrementato notevolmente il budget dell’Istruzione e della Sanità, ha investito in infrastrutture e piani abitativi, ha dotato gli umili di fondi per scolari, madri, anziani, etc. Ed è stato così che il PIL ecuadoregno è aumentato dai 46.802 milioni di dollari del 2006 ai 110.000 milioni del 2016; l’economia è cresciuta con una media annua del 4,5 per cento.

E anche se questi benefici sono stati generali, la cosa notevole è che hanno tolto dalla povertà 2 milioni di persone, abbassando la disoccupazione fino al 4,5 per cento.

Le classi dominanti, in cambio, sono rabbiose per quei successi e per l’emergere dalla povertà, con una politica “populista” condizionata dal Washington Consensus e dai copioni del FMI e della Banca Mondiale, il cui rappresentante a Quito è stato espulso da Correa appena assunto.

Lasso e Viteri, facendosi portavoce dell’establishment, hanno incluso la promessa di derogare 14 imposte di Correa. Questo mira a togliere finanziamenti allo Stato, come ha avvertito Moreno, con conseguenze negative sui programmi dello Stato e dell’occupazione.

Con lo scopo di frapporre ostacoli alla campagna di Alianza-País, i mass media legati alla destra, a Miami e alla Società Interamericana della Stampa, hanno creato agitazione e denunciato senza prove il governo. Per esempio, hanno denunciato il vicepresidente Glas di firmare contratti con Odebrecht.

Questo è accaduto per ripotenziare una raffineria, ma non c’è stata finora alcuna prova che l’ingegnere, allora ministro, avesse ricevuto una mazzetta. Lo sputtanano come se ci fossero delle prove come quelle che ci sono contro l’ex presidente peruviano Alejandro Toledo e senza gli elementi portati contro il capo della AFI dell’Argentina, Gustavo Arribas.

Ciò che questi media non perdonano all’Ecuador è la sua nuova legge sulle Comunicazioni, simile alla legge dei media in Argentina, con un proposito di pluralismo e antimonopolio della limitata 26.522.

Domenica si saprà se l’Ecuador continuerà il suo cammino vittorioso, in aggiunta a quello recente del Nicaragua, o se proseguiràa quello delle sconfitte popolari in Argentina e delle legislative del Venezuela e del referendum della Bolivia.

https://www.rebelion.org/noticia.php?id=222937

Traduzione di Rosa Maria Coppolino

Fonte

Nel mentre Moreno è finito al ballottaggio contro Lasso.

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