di Michele Paris
La definitiva vittoria di Benoît Hamon nel secondo turno delle
primarie presidenziali, tenute nella giornata di domenica in Francia,
rischia di spaccare un Partito Socialista (PS) già nel pieno di una
gravissima crisi provocata dalle politiche di destra perseguite da
François Hollande e dai governi che si sono succeduti a Parigi negli
ultimi cinque anni.
Il successo dell’ex ministro dell’Educazione è
stato ancora più netto di quanto prevedevano i sondaggi. Il 59% dei
consensi ottenuti, contro il 41% dell’ex primo ministro Manuel Valls, ha
confermato l’esistenza di un fortissimo malcontento popolare nei
confronti dei vertici socialisti. Malcontento che si è materializzato
anche con una bassa partecipazione al voto, fermatasi come al primo
turno a circa due milioni, cioè la metà rispetto alle primarie della
destra gollista (Les Républicaines) organizzate nel mese di novembre.
Lo
schiaffo a Valls rappresenta così un’autentica umiliazione per il suo
partito e, in particolare, per l’ala destra del PS che ha sostenuto
Hollande e i suoi governi nell’attacco ai diritti democratici e dei
lavoratori. Hamon, da parte sua, ha evidentemente beneficiato di questa
situazione, proponendo una campagna basata su misure come l’istituzione
di un reddito minimo universale e l’abrogazione delle odiate “riforme”
del lavoro implementate da Hollande e Valls.
Alla chiusura delle
urne, Hamon, ha celebrato la possibile rinascita della sinistra francese
dopo gli anni di Hollande, con il quale aveva rotto proprio sulle
politiche economiche dei suoi governi. Il 49enne deputato del
dipartimento di Yvelines ha inoltre fatto appello ai candidati alla
presidenza del Partito di Sinistra (PG), Jean-Luc Mélenchon, e dei Verdi
(EELV), Yannick Jadot, per costruire quella che ha definito “una
maggioranza governativa sociale, economica e democratica”.
La
proposta politica di Hamon è però illusoria e destinata al fallimento.
In primo luogo, quali che siano gli sviluppi delle prossime settimane,
il candidato all’Eliseo del Partito Socialista finirà per incassare una
pesante batosta nel primo turno delle presidenziali di aprile. Inoltre,
qualsiasi iniziativa che implichi un aumento della spesa sociale è
fortemente avversata da una larghissima maggioranza della classe
politica francese, compresa quella rappresentata dal Partito Socialista.
La
coalizione di “sinistra” che Hamon ipotizza con i Verdi e il “Parti de
Gauche” è stata poi in sostanza alla base anche del successo di misura
di Hollande su Nicolas Sarkozy nel 2012, quando l’allora candidato
socialista prometteva anch’egli una rottura con le politiche liberiste
del presidente in carica. La strategia del male minore e delle pressioni
da “sinistra” non ha portato a nessun risultato positivo, ma ha in
qualche modo avallato la deriva liberista del PS sotto la guida di
Hollande e di fatto disarmato l’opposizione pure presente nel paese.
Anche
nell’eventualità di un miracolo che portasse Hamon all’Eliseo, è più
che probabile che quest’ultimo finirebbe per operare una voltafaccia
simile a quello di Hollande o, quanto meno, si troverebbe a fare i conti
con un PS e con un parlamento decisamente ostili.
Il programma
di Hamon, oltretutto, presenta a ben vedere aspetti tutt’altro che
progressisti. Ad esempio, l’istituzione di un reddito minimo garantito
s’inserisce in una visione disfattista della situazione economica
francese, nella quale sembra accettare come dato irreversibile il
declino e la deindustrializzazione, così che l’unica prospettiva che
resterebbe per milioni di persone non sarebbe altro che povertà e
disoccupazione permanenti.
In campagna elettorale, Hamon ha anche
sostanzialmente appoggiato le politiche reazionarie di Hollande sul
fronte estero e della sicurezza nazionale. In altre parole, mentre in
ambito sociale il candidato del PS dovrebbe percorrere una strada
teoricamente progressista, senza apparenti contraddizioni sotto la sua
guida verrebbero confermate sia la compressione dei diritti democratici
in nome della lotta al terrorismo sia le sanzioni contro la Russia e le
operazioni militari in vari paesi per la promozione degli interessi
della classe dirigente d’oltralpe.
Uno degli aspetti più
significativi della vittoria nelle primarie di Hamon, come già
anticipato, è ad ogni modo il riflesso che essa avrà sulle dinamiche
interne al Partito Socialista. Già dopo i risultati del primo turno, che
lasciavano intravedere la disfatta di Valls, molti leader socialisti
avevano iniziato a mobilitarsi per rendere chiara la loro netta
opposizione all’adozione da parte del partito anche solo di una retorica
vagamente di “sinistra”. Questa tendenza ha visto un’inevitabile
accelerazione una volta ufficializzati i risultati del ballottaggio di
domenica.
Lo
stato di degrado del PS francese è tale infatti da avere spinto
numerosi deputati, ex ministri e amministratori locali a dichiarare la
loro intenzione di sostenere nelle presidenziali della prossima
primavera il candidato “indipendente” e “pro-business” Emmanuel Macron,
ovviamente senza nessuno scrupolo per l’opinione espressa nelle primarie
dagli elettori del partito.
Il 39enne banchiere e ministro
dell’Economia dal 2014 al 2016 nel governo Valls qualche mese fa aveva
lasciato il Partito Socialista per lanciare un proprio movimento – “En
Marche !” – e la sua candidatura all’Eliseo, precisamente nella speranza
di raccogliere consensi al centro strappandoli a un PS sempre più
screditato dalla presidenza Hollande.
Nella realtà, attorno alla
candidatura di Macron si è compattata quella parte dei grandi interessi
economici francesi che, pur non tollerando un allentamento delle
politiche anti-sociali e di austerity perseguite da Sarkozy e Hollande,
vede con timore il crescere del sentimento anti-europeista e populista.
Dando
ormai per certo il rovescio elettorale del PS sia nelle presidenziali
sia nelle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale a giugno,
questa sezione della classe dirigente transalpina scommette su Macron
per impedire lo sfondamento del Fronte Nazionale (FN) e l’approdo
all’Eliseo di un candidato di centro-destra – François Fillon – che ha
già mostrato possibili tendenze filo-russe e (relativamente)
anti-americane.
Molti giornali e siti di informazione in Francia e
non solo hanno proclamato lunedì proprio Macron il vero vincitore della
consultazione interna a un PS che sembra diretto sempre più verso una
possibile spaccatura nel prossimo futuro.
Ancora a favore di
Macron è da registrare infine un’altra vicenda che sta scuotendo il
panorama politico francese. Con un tempismo perfetto, la settimana
scorsa il candidato favorito alla presidenza del principale partito di
centro destra è stato coinvolto in una vicenda che minaccia seri guai
legali e, verosimilmente, la fine della sua corsa all’Eliseo.
Il settimanale satirico Le Canard Enchaîné
aveva cioè rivelato che la moglie di nazionalità britannica di Fillon
aveva incassato compensi pari ad almeno 600 mila euro per impieghi di
assistente parlamentare che non avrebbe invece mai svolto.
Tra
gli incarichi per cui Penelope Fillon aveva ricevuto denaro pubblico
c’era quello di assistente di Marc Joulaud, il deputato del dipartimento
di Sarthe, nella regione Paesi della Loira, che aveva occupato il
seggio del marito dopo che quest’ultimo era diventato ministro. I
giornalisti di Le Canard Enchaîné hanno intervistato un altro
assistente di Joulaud, il quale ha affermato di non ricordare di avere
mai lavorato con la signora Fillon.
La nomina di famigliari di
politici per svolgere incarichi parlamentari più o meno reali è pratica
piuttosto comune in Francia come altrove. Il caso che riguarda Fillon,
particolarmente delicato viste le ambizioni presidenziali e la
promozione di un’immagine di politico non corrotto a differenza anche
dei colleghi del suo stesso partito, è tuttavia sospetto.
Come
già ricordato in precedenza, Fillon prospetta una serie di cambiamenti
degli orientamenti strategici di Parigi in caso di elezione a
presidente. Cambiamenti che sono visti con sospetto da molti
nell’establishment francese. Forse non a caso, l’emergere della vicenda
dei pagamenti alla moglie è coincisa con una sua visita in Germania e il
rilascio di interviste nelle quali metteva tra l’altro in discussione
la linea dura dell’Europa nei confronti della Russia.
Allo stesso
modo, Fillon criticava gli interventi occidentali in scenari di crisi
come Siria e Ucraina, mentre auspicava la formazione di una sorta di
asse con Berlino per contrastare l’agenda nazionalista della nuova
amministrazione di Donald Trump negli Stati Uniti.
L’affondamento
della candidatura di Fillon potrebbe essere perciò un obiettivo dei
poteri che operano dietro le quinte della politica francese, assieme
alla promozione di Emmanuel Macron. Il rischio concreto, tuttavia, è che
simili manovre finiscano per gettare ancor più nel discredito la classe
politica d’oltralpe, favorendo ulteriormente l’ascesa dell’estrema
destra del “Front National”.
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