La capacità banalizzatrice di Matteo Renzi è qualcosa di solare.
Sta agli antipodi di quella di Silvio Berlusconi. Il fondatore di Forza
Italia era in grado di banalizzare qualsiasi cosa, e in questo non
sarebbe certo solo, ma anche di renderla, in questo processo, originale.
Renzi per quanto si sforzi di aggrapparsi a libri, citazioni colte,
autori riesce solo a svalutare quello che dice. Anche il tipo di
ambiguità furba, di quelle che devono cogliere subito l’affare, che
porta come tratto caratteriale, in Renzi finisce per svalutarsi
velocemente.
C’è una frase attribuita a Heidegger su George Trakl, che riguarda la poesia, che parla di “ambiguità ambigua”.
Si adatta, svalutandosi, a Renzi. Il quale mostra un’ambiguità talmente
ambigua, reiterando in modo industriale le caratteristiche della
doppiezza, da svalutarsi, perdendo ogni tratto di originalità persino
nell’essere ambiguo. Fuor di metafora: persino su Marte si è
capito che Renzi, con le sue finanziarie spot, se vuol restare nel club
europeo da presidente del consiglio deve pagare, o meglio farci pagare,
il conto: una quarantina di miliardi in due anni,
sempre se i tassi di interesse sui buoni del tesoro non si impennano,
augurandosi che l’entrata in vigore del fiscal compact (la cui versione
dura porta diversi miliardi l’anno per vent’anni) venga ammorbidito di
parecchio.
Renzi così non si può permettere di votare nel 2018.
La manovra del suo governo fotocopia (Gentiloni) sarebbe immediatamente
attribuita a lui e una campagna elettorale basata sull’Italian Dream da
Rignano finirebbe troppo presto per rivelare la sua natura di truffa ai
danni del consumatore. Per cui Renzi ha bisogno di forzare la mano nel
partito, e nella politica istituzionale, per ritrovare un ruolo. Votare prima possibile e, dopo la festa elettorale, concordare la legge di stabilità.
Per tornare, in qualche modo, nel grande club della politica e nutrire
la propria corte di clienti, mediatori d’affari, imprese. Allargandosi a
nuove conoscenze e orizzonti di mediazione d’affari. In questo senso le
nomine pubbliche di aprile, che farà il governo, non possono essere
fatte, secondo quello che pensa Renzi, con un ruolo debole dell’attuale,
ancora per poco, segretario del Pd.
Renzi
sa poi benissimo di essere entrato in disgrazia presso quei poteri,
istituzionali, che ne perorarono la causa di presidente del consiglio
tre anni fa. Infatti Renzi dopo aver promesso un’Italia ormai
pienamente decisionista e liberista, riformata nella costituzione, nella
legge elettorale, nell’approccio alle privatizzazioni a casa dei poteri
istituzionali che contano ha portato davvero poco. La bocciatura della
corte costituzionale va infatti letta non tanto, o non solo, come una
stroncatura di una legge scritta male, e pensata peggio, ma anche come
la spia di un rapporto in crisi tra l’ex presidente del consiglio e i
rami alti delle istituzioni e dell’amministrazione dello stato.
Meglio quindi anticipare gli avversari. Scalare
subito, e di nuovo, il Pd, nelle intenzioni di Renzi, rappresenterebbe
l’inizio di un percorso che dovrebbe riportarlo definitivamente al
centro della politica italiana. Certo sognare non costa nulla, o
meglio costa al Pd un processo di disgregazione continua che può anche
volgere verso il peggio, e per adesso Renzi non si cura del fatto che si
sta preparando a dire le solite cose di sempre. Quelle che lo hanno
portato a perdere sonoramente il referendum del 4 dicembre. Certo, Renzi
è convinto di poter dire le stesse cose – che un’idea da workshop
Ambrosetti della innovazione del paese è vincente e che lui è in grado
di incarnarla (“scaldando i cuori” naturalmente) – in modo diverso. Ma i
suoi sentieri di scalata al potere, quello che conta, paiono interrotti.
Di sicuro tutte le difficoltà, poste da questi sentieri interrotti, verranno abbondantemente spettacolarizzate dal mainstream. Per
noi che non abbiamo fatto nulla di male per essere bombardati da scene
trash che, nelle intenzioni, vorrebbero essere coinvolgenti.
Come quella dell’inizio della direzione del Pd, al suono dell’inno
nazionale, con Renzi in posa da calciatore, unico a cantare come se
fosse alla partita. Un potere autoritario, come quello a cui allude
Renzi ogni volta che parla di democrazia, richiede sempre un certo
stile. Se uno guarda la scena dell’inno di ieri capisce che il disegno
autoritario di Renzi non si chiuderà mai. Renzi è materia per Crozza. Non per il futuro di questo paese.
Redazione, 14 febbraio 2017
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