Intervista ad Antonella Marras, candidata di “Chiamami Genova”
Antonella Marras è una abitante della Val Polcevera, in prima fila nelle lotte che hanno caratterizzato questa porzione di territorio genovese.
Questa zona è stata segnata prima dall'industrializzazione, poi dall’invasività di una ristrutturazione produttiva che ha privilegiato i grandi centri commerciali, senza risolvere alcune criticità ambientali precedenti ed è e sarà attraversata da Grandi Opere in costruzione o a venire, prima di tutto il TAV-Terzo Valico e la Gronda di Ponente.
Ha deciso di candidarsi con la lista “Chiamami Genova”, il cui candidato sindaco è Paolo Putti, ex capogruppo del consiglio comunale per il M5S nonché candidato sindaco, alle precedenti amministrative, per il Movimento da cui è uscito alcuni mesi orsono.
Circa un anno orsono c’è stata, in seguito ad una rottura di condutture, la fuoriuscita di una notevole quantità di materiale comburente della raffineria IPLOM che si è riversato nel fiume Polcevera poi arrivato in mare. Che passi avanti concreti sono stati fatti per la messa in sicurezza? In generale puoi illustrarci gli elementi di maggior criticità ambientale di questa parte del Ponente Genovese e le possibili soluzioni che intravedi?
Il 17 aprile 2016 intorno alle ore 19.30, un abitante della zona dopo essersi accorto della rottura di una tubatura dell’oleodotto che dal Porto Petroli di Multedo trasporta petrolio verso la raffineria di Busalla, compone il numero verde indicato sulla palina e non riceve risposta, quindi chiama i vigili del fuoco che in brevissimo tempo arrivano in loco e salvano la situazione. Circa 700 mila litri di petrolio si son riversati nell’alveo dei rivi Pianego, Fegino nel torrente Polcevera e poi anche in mare. Dopo una prima fase di MISE (messa in sicurezza di emergenza) in cui si è provveduto ad asportare la parte superficiale del prodotto fuoriuscito, c’è stata una lunga fase di blocco delle operazioni, la legge ambientale prevede varie fasi nei casi come questo.
La redazione di un piano di caratterizzazione del territorio, seguita dall’apertura della conferenza dei servizi dove avviene il contraddittorio tra gli enti e l’azienda, infine la determinazione o meno del tipo di bonifica da effettuare, l’eventuale relativo appalto e l’inizio della bonifica stessa. Il primo piano di caratterizzazione presentato da Iplom ha visto Arpal apporre delle prescrizioni ulteriori, poiché le analisi presentate erano imprecise e in particolare si considerava il Polcevera zona industriale quando invece è residenziale, quindi con parametri di riferimento per l’individuazione del tipo di inquinamento prodotto, meno stringenti.
In risposta a questo Iplom ha tentato di portare la regia di tutte le operazioni a Roma, ma il Ministero ha deciso dovessero rientrare tra le competenze delle amministrazioni locali.
E’ stato evidente il fatto che l’azienda provasse a by-passare la bonifica magari attraverso un accordo per una mera sanzione pecuniaria. Attualmente Iplom ha ripresentato il piano di caratterizzazione accettando tutte le prescrizioni che gli erano state richieste, siamo in fase di conferenza dei servizi che vedranno un contraddittorio per le analisi tra Iplom, Arpal e città metropolitana.
Purtroppo la bonifica vera e propria non è ancora iniziata, cosa che anche a detta di ISPRA, nei giorni successivi allo sversamento sarebbe dovuta avvenire al più presto, proprio per evitare che il petrolio fuoriuscito invecchiasse e fosse più difficile l’asportazione.
Come comitato abbiamo presentato un esposto che va nell’ottica di riuscire a dare alla magistratura tutte le informazioni che le sono necessarie, per poter aprire un capo di imputazione per inquinamento ambientale, visto che non pare facile dimostrare il disastro ambientale. Il problema maggiore sta nel fatto che la legge Seveso non pare potersi direttamente applicare alle infrastrutture, un evidente vuoto normativo che sarebbe da colmare. L’oleodotto non viene quindi ricompreso nel piano di emergenza esterno – in corso di revisione da parte della Prefettura – considerando che quanto accaduto a Fegino poteva accadere ovunque in città: il percorso delle tubature, seppur secretato per ragioni di sicurezza, attraversa tutta Genova e oltre il capoluogo ligure.
Le criticità ambientali del Ponente Genovese sono molteplici a partire dalle 12 aziende a rischio incidente rilevante soggette alle tre direttive Seveso, al gran numero di tubature che trasportano idrocarburi, al traffico di mezzi pesanti. In questa porzione di città esistono depositi di container sparsi proprio all’interno dei centri abitati il cui accesso è decisamente impattante per la mole di camion che li raggiungono. Un discorso a parte va fatto per i lavori in atto per il terzo valico dei Giovi, la TAV genovese, e tutto quello che comportano: presenza di amianto nelle terre di scavo che vengono tranquillamente trasportate in giro per la città sui camion, spesso scoperti, gli edifici post industriali abbandonati e decadenti, magari con presenza di amianto sui tetti, aree industriali dismesse mai veramente bonificate, oltre al congestionato traffico veicolare.
Le soluzioni che intravedo rientrano in quella che considero una “grande opera” necessaria, ossia un progetto di riconversione e rinaturalizzazione del territorio, obbligando nel contempo le aziende impattanti al rispetto di precise prescrizioni a tutela di salute e ambiente ed a prevedere nel futuro una dimensione produttiva e di approvvigionamento energetico differente, che riporti ad una economia del territorio. Penso anche all’economia agricola che dovrebbe essere incentivata recuperando terreni abbandonati e comunque, incentivando politiche rurali finalizzate ad una agricoltura ecologica e naturale ed anche questo sarebbe un modo per prevenire dissesti idrogeologici; incentivare le produzioni artigianali, sostenere la strategia dei “rifiuti zero” per creare delle nuove opportunità di lavoro.
Il “mondo dei comitati”, tranne alcune lodevoli eccezioni, dopo la delusione patita con Doria rispetto alla mancata attuazione del programma sulla partecipazione ed in generale una sostanziale sordità dell’amministrazione cittadina rispetto alle richieste avanzate, non sembra che abbia “metabolizzato il lutto” e che abbia proceduto all’avanzamento di un progetto politico alternativo. Puoi farci una panoramica della situazione di questa comunque importante risorsa di partecipazione popolare, partendo dalla tua specifica situazione territoriale?
I comitati cittadini nascono proprio nel momento in cui cittadini che hanno preso consapevolezza della necessità di far rispettare propri diritti, qualità della vita, tutela dell’ambiente e del territorio, si accorgono che non esiste altro modo che quello della mobilitazione, proprio perché la mancanza di vera partecipazione riversa sulle nostre vite decisioni prese dall’alto senza che chi vive i territori possa avere voce in capitolo.
Il nostro comitato è nato spontaneamente circa 5 anni fa, al tempo in cui l’amministrazione dovendo eseguire i lavori di messa in sicurezza idraulica del torrente Chiaravagna, ha riversato centinaia di TIR in senso unico di marcia Sestri P. – Rivarolo, creando una situazione di estremo disagio, pericolo e danno alla popolazione.
Tutto questo senza mai interpellare i residenti e chi su quel territorio lavora.
A seguito dello sversamento di Iplom abbiamo deciso di regolarizzarlo legalmente per poter meglio gestire l’esposto ed eventuali altri atti giuridici per il caso in questione.
Si è persa in parte quella spontaneità iniziale, visto che essendo così riconoscibili, le responsabilità personali diventano pesanti, ma certo questo non ci ha impedito di continuare le mobilitazioni.
Purtroppo rilevo un limite, di cui spesso ho discusso all’interno del comitato, ossia il fatto che troppo spesso si pensi che sia necessario risolvere il proprio problema contingente, senza una riflessione più generale sulle cause che creano tali problematiche nei quartieri poiché un problema come quello della presenza di Iplom in un contesto altamente urbanizzato come il nostro che mette a repentaglio salute e sicurezza delle persone, deve essere necessariamente inserito in un ragionamento sulle politiche energetiche e ambientali molto più vasto, cercando di creare reti almeno su argomenti specifici, cosa che in parte son riuscita a fare collaborando con altri comitati sul territorio su temi che ritengo unitari, quali quello della salute e ambiente.
Altro esempio è stata la partecipazione ad un evento internazionale per dire no alle fonti fossili realizzato lo scorso anno con cui abbiamo circondato con un nastro rosso, letteralmente, la Iplom qui a Fegino in segno di pericolosità, manifestazione, molto partecipata devo dire.
Credo comunque serva un lavoro molto capillare di informazione e presa di consapevolezza oltre che di analisi delle cause che portano a far vivere le persone nei territori in situazione di pericolo e disagio.
Hai partecipato alla piattaforma politico-sociale “Genova in comune” che anche se non ha deciso di appoggiare direttamente alcuna lista ha espresso alcuni candidati nella lista di cui fai parte. Puoi chiarirci il percorso che ha portato a queste candidature in questa lista?
Ritengo “Genova in comune” un’ottima opportunità per un discorso che sia più ampio e partecipato che porti veramente ad una rottura con il sistema di potere e con il tipo di economia neoliberista che sta portando il nostro mondo al disastro sociale e ambientale.
Abbiamo insieme deciso di non partecipare con un appoggio diretto alla lista perché mancavano delle prese di posizione nette di rottura da parte di alcune componenti della lista “Chiamami Genova” che erano tra i valori fondanti di “Genova in comune”, avevamo comunque lasciato la possibilità personale a chi volesse, di presentarsi nella lista. Personalmente ho dato la mia disponibilità dopo che con “Altra Liguria” abbiamo deciso che fosse necessario avere all’interno delle istituzioni ancora qualcuno che potesse portare le lotte dei territori e le rivendicazioni sociali che altrimenti avrebbero forse trovato difficoltà ad essere ascoltate provando a contribuire, pur con molte difficoltà vista la varietà di compagine che costituisce “Chiamami Genova”, alla realizzazione di programmi che fossero in linea con i valori che esprimeva sia “Altra Liguria” che “Genova in comune”, sui temi ambientali sociali, di tutela dei territori, di analisi del bilancio e necessità di audit pubblico sul debito.
Con forza abbiamo voluto fosse inserito nel Programma la contrarietà alle grandi opere quali terzo valico e gronda ed i fatti non ultimo il discorso di Paolo Putti in piazza Negri assieme a De Magistris dimostrano che le nostre istanze sono state accolte e fatte proprie da “Chiamami Genova”.
Insomma credo che alcune delle cose che siamo riusciti a portare dentro alla lista possano essere un inizio da cui partire per un vero ragionamento sulla necessità di rottura con il potere economico.
Certo la strada è ancora molto lunga ma se mai si inizia mai si finisce.
Uno degli elementi di criticità dell’esperienza di “Chiamami Genova” è l’avere al proprio interno personalità politiche che hanno rotto molto tardivamente con la Giunta Doria, legati ad interessi che di fatto costituiscono una parte di quella trama di poteri che ha storicamente governa la città mentre tu e altri candidati come attivisti non avete mai avuto questo ruolo e avete sempre espresso una posizione chiara di contrarietà per esempio nei confronti delle grandi opere o della privatizzazione dei servizi. Come riuscite a conciliare queste diverse istanze all’interno della lista?
Come dicevo abbiamo cercato di portare in modo forte il nostro contributo su queste posizioni, che son state condivise da chi ha deciso di aderire alla lista, ovviamente ognuno dovrà rispondere in modo personale delle scelte fatte in passato e di quelle che farà in futuro, se è vero che si possono sempre cambiare le idee, credo che quelle stesse persone debbano fare un esame delle cose in cui credono.
Alla base della partecipazione a questa lista deve esserci la netta presa di posizione di rottura dalla politica intrapresa dalla giunta Doria. Personalmente so che posizione prendere e quale prenderò.
Insieme ad altri candidati di “Chiamami Genova” hai fatto tuoi i contenuti della campagna cittadina contro il Daspo e la repressione politico-sociale (http://www.citystrike.org/2017/05/21/campagna-cittadina-contro-il-daspo-e-la-repressione-politico-sociale/). Puoi chiarire i motivi di questa scelta e quanto questo sia tema di dibattito all’interno della lista?
Ho fatto miei i contenuti perché ritengo che il metodo repressivo non debba essere la risposta né per colpire il dissenso (per assurdo anche la mobilitazione dei cittadini in difesa di ambiente e salute e sicurezza per la presenza di aziende come Iplom potrebbero essere inibite) né per colpire il disagio sociale.
Trovo assurdo che si colpisca chi chiede l’elemosina e non si colpisca chi è responsabile di questa situazione di disagio.
Il vero problema è l’analisi delle cause che determinano dissenso e disagio sociale che è da ricercare in un sistema iniquo, ingiusto in cui è il denaro, son gli interessi finanziari ad avere la priorità, sistema che richiede una spinta coraggiosa verso il suo superamento con una visione che non può essere certo relegata a realtà locali, ma riportata a quella più ampia internazionale.
La discussione all’interno della lista dovrà necessariamente essere ampia...
In che modo prefiguri il dopo-elezioni per attivisti come te che magari si trovano in una delle liste alternative al centro-destra e al centro-sinistra e cosa pensi sia auspicabile fare per risolvere l’attuale fase di frammentazione di rappresentanza politica e di scelte “individuali” in ciò che è stato il variegato mondo dell’opposizione politico-sociale in città?
Io ho una visione collettiva, vorrei che il dopo elezioni fosse l’inizio, qualsiasi sia il risultato della lista, di un serio momento di confronto tra le realtà che vi sono all’interno, legata a dei punti cardine che sono l’assoluta necessità di essere altro rispetto alle forze di potere economiche sorrette da questo sistema neoliberista che l’attuale politica di centro sinistra sta portando avanti esattamente in linea con il centro destra.
Una visione globale e unitaria che abbia respiro internazionale, perché non siamo slegati dal tutto.
Assoluto rapporto e dialogo costruttivo con chi si è occupato di tutto quanto riguardi il sociale, dal diritto alla casa, ai diritti civici, alla tutela di ambiente, salute e territori ed ovviamente del lavoro, perché quello che dobbiamo mettere al centro è un nuovo umanesimo in cui la persona e i beni comuni siano le priorità assolute.
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