da http://montefamoso.blogspot.it/
1) Ieri mattina, l’Andrass ut di Budapest (uno dei viali più belli del mondo, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità) era chiusa al traffico, ingabbiata in un reticolo di nastri segnaletici con la scritta “Rendorseg” (“polizia”); chiusa anche la Metro 1, la più antica d’Europa, che l’attraversa. Il movimento dei passanti era regolato da decine e decine di poliziotti che intimavano di procedere lungo i marciapiedi laterali, per lasciare sgombre le sei corsie della famosa ut, riservate a non si sa bene chi.
Intorno uno strano silenzio, squarciato dall’urlo, insistente e perforante, delle sirene spiegate di decine di mezzi delle forze dell’ordine, i soli autorizzati a scorazzare, a muoversi liberamente.
A parte la polizia, la scenografia era piuttosto scarna. Si vedevano soltanto file di passanti frettolosi e, ad ogni incrocio, gruppetti di cinesi infreddoliti che reggevano grandi bandiere rosse...
Perché i cinesi? Pensieri, attimi fuggevoli che ti portano lontano, nel tempo del nostro vissuto, mai rinnegato. Del resto, di cosa ci dovremo pentire? Dall’opposizione, come comunisti italiani difendemmo la democrazia e la libertà di tutti, agimmo sempre a favore degli interessi delle classi lavoratrici, dei ceti più deboli, in armonia con i valori della Costituzione. E con qualche risultato, direi.
Ma siamo a Budapest e cerchiamo di capire quel che accade in Ungheria, dove il populista Victor Orban sembra sia diventato insostituibile, nonostante tutto. Molti pensano che ciò sia dovuto al carattere conservatore, nazionalista del popolo magiaro. Si dimentica, o si sconosce, che, dopo il crollo del muro di Berlino, questo stesso popolo ha eletto, democraticamente, alla carica di primo ministro ben 4 personalità di rilievo dell’ex regime (su 8 totali): da Gyula Horn (ex membro dell’Ufficio politico) a Gyurcsany (ex segretario nazionale della gioventù comunista).
Se, da circa 8 anni, la maggioranza degli ungheresi vota Orban è anche perché la sinistra ha tradito la fiducia dei suoi elettori, consegnando l’economia del Paese alle multinazionali. Difatti è quasi sparita.
Orban, politicamente affermatosi con l’aiuto del miliardario Soros (oggi suo acerrimo nemico), demagogicamente, si atteggia a difensore degli interessi nazionali. E ciò spiega, in gran parte, la ragione del suo consenso che, probabilmente, riavrà nelle elezioni del 2018.
Budapest, Kodaly korond |
Grande e solenne, la bandiera cinese dominava su quelle sparute dei 16 Paesi partecipanti al Forum economico Cina – Ceec, alias dei 16+1, (*), in programma quel giorno (27/11) a Budapest, fra i capi dei 16 governi dichiaratamente “anticomunisti” dell’Europa centro-orientale e Li Keqiang premier della Cina popolare, fermamente diretta dal Partito comunista.
La cosa non mi turbò più di tanto, anche se evidenziava una contraddizione insanabile nell’operato di chi proclama l’anticomunismo come collante ideologico dei nuovi regimi dell’Est europeo ma non disdegna di realizzare affari con il colosso cinese ossia con un Paese che si autodefinisce comunista, come è stato ribadito nel corso del recente congresso nazionale del Pcc.
Perciò, c’è da restare quantomeno perplessi quando si spargono ipocrisie anche su questi Forum che, da un lato e dall’altro, mirano a coprire propositi ben più concreti e vantaggiosi.
3) D’altra parte, i cinesi a Budapest sono di casa. La loro comunità è la più numerosa e rispettata, e la più economicamente dotata. Quei ragazzi infreddoliti (c’era anche qualche famiglia con bambini) erano là per salutare il corteo di auto nere al seguito del “compagno” Li che andava a Piazza degli Eroi a rendere omaggio alla lapide dei Caduti, posta ai piedi dei re magiari che, nei secoli passati, fecero grande il Paese.
In questa piazza, sempre più spesso, si radunano molti ungheresi per evocare un sogno: quello della grande Ungheria che il trattato di Trianon del 1920 (punitivo per gli austro-ungarici) ridusse all’attuale, ristretto quadrilatero territoriale.
E’ questo il vento che spira dai monti “irredenti” della Transilvania sulla sconfinata puszta, attraversata dal Danubio, il fiume più lungo d’Europa, sulle cui rive corre una delle più eminenti civiltà, che dalla Foresta nera va a morire nel “fosso” del Mar Nero.
E’ il vento del nazionalismo che sottende anche la paura dell’omologazione che provano tutti i piccoli popoli minacciati da questa globalizzazione neo-liberista, distruttrice di sani valori morali e d’identità etniche, culturali. In tutto ciò vi sarà anche qualche buona ragione, ma attenzione a rimettere in discussione gli attuali confini dell’Europa!
Si potrebbe innescare una spirale destabilizzante del continente e, perché no, riportare la guerra. Bisogna lavorare per una nuova configurazione statuale dell’Europa, dei popoli e non dei mercanti, capace di offrire risposte esaurienti alle giuste rivendicazioni e di ricreare un equilibrio duraturo di pace e di cooperazione.
4) Uno scenario segnato da disfunzioni e incertezze per il futuro, all’interno del quale i “16” Paesi CEEC cominciano a rendersi conto che l’ingresso, accelerato, nella Nato e nella Unione Europea fu, in effetti, una sorta di “annessione” economica, giustificata con la preoccupazione di mettere al sicuro questi Paesi dalle mire espansive dell’orso russo.
In realtà, alla base c’era, soprattutto, un disegno volto a creare ad Est tre nuovi grandi mercati: degli armamenti, dei prodotti commerciali e del lavoro a basso costo. Orban non vuole gli immigrati perché ha già gli ungheresi che lavorano a costi troppo bassi.
Insomma, una manna per le multinazionali europee e d’Oltreoceano.
Certo, qualcosa è cambiato in questi Paesi. Tuttavia, bisogna prendere atto che, dopo 30 anni d’integrazione europea, il salario medio mensile si attesta sempre intorno ai 300 euro, mentre centinaia di migliaia di giovani, (molti laureati) continuano a emigrare verso i Paesi ricchi dell’Europa centro-occidentale. Molti, specie rumeni e balcanici, arrivano anche in Italia.
E così, mentre l’UE continua a decretare sanzioni autolesioniste contro la Russia, lo sguardo delle classi dirigenti (talvolta dominanti) dei “16” si rivolge ad Oriente: verso la Russia patriottica e neo-oligarchica di Putin e verso la Cina, seconda grande potenza economica mondiale, che continua a dichiararsi comunista pur in presenza di decine di milioni di nuovi ricchi.
Budapest, ponte delle Catene |
Budapest aspira a diventare la Venezia del XXI° secolo?
I dati sono incoraggianti. Nel 2015, la Cina è stata il terzo fornitore di beni e servizi (dopo Germania e Austria) dell’Ungheria. Mentre, è in corso di realizzazione (nonostante le difficoltà frapposte da Bruxelles) l’ambizioso progetto (valore 2,8 miliardi di dollari, finanziato dalla Cina) di una tratta ferroviaria ad alta velocità che collegherà (in tre ore) il porto ateniese del Pireo (acquistato dai cinesi) con Budapest, passando per Belgrado.
Apro una parentesi: Atene – Budapest in 3 ore! In Italia, il treno che collega Agrigento con Siracusa (le due più importanti capitali del turismo archeologico siciliano) impiega 9 ore e 15 minuti per poco più di 200 km!!!
Basta questo esempio per avere l’idea dell’abisso che ci separa dalle altre realtà e progettualità europee.
Nei Paesi del centro-est europeo la parola d’ordine sembra essere: diversificare, accedere a nuove fonti di approvvigionamento finanziario, energetico e tecnologico. Guardare ad Oriente per ridurre la dipendenza dalla UE.
Giovedì (30/11) il premier cinese sarà a Sochi (Russia) per partecipare al 16° Consiglio dei capi di governo della Shanghai Cooperation Organization, un altro organismo multilaterale assai più importante di Ceec. Come si vede qualcosa si muove in Oriente. Nell’immaginario dei popoli europei sta tornando l’attenzione verso queste grandi realtà. In particolare, verso Cina e Russia che insieme totalizzano quasi 1/3 della popolazione mondiale e circa il 60% delle terre emerse, costituendo il più vasto e attraente aggregato economico-territoriale e quindi grandi possibilità di sbocco per le produzioni e di lavoro per i giovani dei “16” Paesi del Forum. Capirete che non è poco. Chi perde questo “treno” rischia di non vederne arrivare un altro.
(Budapest, 28 novembre 2017)
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