Secondo i dati raccolti dal Wsj, riportati da Wall Street Italia, sarebbero quasi mille miliardi di euro quelli investiti dal 2000 a oggi, con lo scopo di aumentare la “coesione sociale interna allla Ue” e aiutare ad includere le aree meno sviluppate dell’Unione Europea.
I fondi di coesione, secondo quanto stimato dal Wall Street Journal, hanno messo in campo uno stanziamento di fondi che, ai valori attuali, supera quello del Piano Marshall adottato per aiutare la ricostruzione dell’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Ma i tempi, le condizioni storiche e le priorità in Europa sono cambiati radicalmente dal dopoguerra a oggi e soprattutto dal dopo guerra fredda.
Per gli stati europei più ricchi, è evidente che l’esborso netto possa diventare ragione di malcontento: fra i maggiori contribuenti netti dei fondi di coesione in testa ci sono Germania, Francia, Regno Unito e Italia (secondo grafico in basso). La conseguenza imprevedibile è che i paesi più favoriti dai fondi europei, siano oggi quelli dove è più forte l’antieuropeismo, cioè i paesi dell’Europa dell’est.
La Polonia è, di gran lunga, la prima economia che fra 2014 e 2020, ha ricevuto e riceverà più fondi: oltre 60 miliardi. Spiccano in classifica, poi, la Repubblica Ceca, l’Ungheria (addirittura terza nel periodo 2008-2017), la Slovacchia. Si tratta dei Paesi dell’Europa dell’est che manifestano apertamente la propria contrarietà alle politiche migratorie europee. Ma anche all’interno degli stessi paesi ricchi del nucleo centrale, se l’analisi passa a una dimensione regionale, il fatto di ricevere molti fondi europei non aiuta la popolarità dell’Ue.
“Il maggior beneficiario dei fondi di coesione dell’Ue nella Francia continentale è il Nord-Pas-de-Calais, un tempo potenza industriale del carbone, dell’acciaio e dei tessuti” scrive il Wsj, “ma in parlamento è rappresentato da Marine Le Pen, che aveva proposto alla Francia un referendum sull’uscita dall’Ue”.
In Italia, Salvini ha parlato di un saldo negativo di sei miliardi tra quanto versato e ricevuto dal nostro Paese nei confronti dell’Unione Europea. Secondo i dati della Commissione europea si tratta di un’affermazione abbastanza imprecisa, mentre secondo quelli della Corte dei Conti – che usa una diversa metodologia – l’imprecisione è assai più lieve: la media degli ultimi sette anni sarebbe di 5,3 miliardi l’anno, quasi quanto affermato da Salvini.
Nella Relazione annuale della Corte dei Conti pubblicata a dicembre 2017 e dedicata a “I rapporti finanziari con l’Unione europea e l’utilizzazione dei Fondi comunitari”, vengono analizzati i flussi finanziari tra Italia e Unione Europea nel 2016, sulla base dei dati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato.
E qui le somme della Corte dei Conti divergono da quelle rese disponibili dalla Commissione Europea. Nella relazione si legge che queste, “non tengono conto di alcune differenze di contabilizzazione sul lato dei versamenti al bilancio europeo, né delle somme che non transitano per la tesoreria, sul lato degli accrediti. Per quanto riguarda questi ultimi, va detto, infatti, che non tutte le somme erogate a beneficiari italiani transitano per la tesoreria statale” (p. 34).
Ad ogni modo, per il 2016, la Corte dei Conti rileva 14,775 miliardi versati a favore dell’Ue e 10,075 miliardi ricevuti dal nostro Paese. Dunque un saldo negativo di 4,7 miliardi, mentre per la Commissione Europea i versamenti totali erano di 13,9 miliardi e le somme ricevute dall’UE a 11,5, con un divario e un saldo negativo per l’Italia più ridotto.
Nel 2015 la somma dei contributi europei versati dall’Italia è stata di 11 miliardi e 613 milioni, a cui va aggiunto il miliardo e 689 milioni di dazi sulle merci importate dall’Italia e provenienti da fuori Ue. Sul totale dei soldi incassati con i dazi, ogni Paese trattiene il 25% per compensare le spese di raccolta.
E poi c’è il miliardo e 125 milioni proveniente dall’Iva: lo 0,3% del gettito che ogni Paese incassa va, infatti, alla Ue. Il rimborso al Regno Unito consiste nella suddivisione tra i Paesi membri di quell’importo che il Regno Unito è autorizzato a non versare e che corrisponde al 66% della differenza tra quanto il Regno Unito stesso versa e riceve. Poi è arrivata la Brexit e tutto questo meccanismo è stato completamente rivisto.
L’unico dato certo è che la ripartizione “di scopo” dei fondi europei per il prossimo periodo è stata revisionata profondamente: meno fondi per la coesione sociale, più fondi per la Difesa e le spese per la sicurezza. E’ un cambiamento di paradigma significativo.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento