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06/08/2018

Il “precario licenziato” grazie al “decreto dignità”...

Da qualche giorno impazza, sui giornali mainstream e di lì in televisione una notizia che ha dello sconvolgente: un giovane lavoratore precario “ringrazia” Di Maio perché il “decreto dignità” gli farà perdere il lavoro che ha attualmente. Si conclude con una battuta ormai famosa: “tanto io aspetto il suo reddito di cittadinanza, no?”.

I lettori conoscono ormai a memoria il nostro giudizio sul cosiddetto “decreto dignità” e i suoi asseriti effetti benefici sui lavoratori: NULLA. Pura propaganda senza sostanza.

Il giornale più lanciato sulla notizia è Repubblica, e tanto basta – in genere – a farci insospettire. La tesi dietro la notizia sarebbe questa: siccome nel “decreto” si riducono da 36 a 24 mesi il periodo di durata continuativa di contratti a termine prorogati (non più di quattro volte), e in più, al rinnovo, le aziende debbono dare una motivazione del contratto precario, anziché assumere con quello “a tutele crescenti”, ne consegue che parecchi lavoratori precari saranno licenziati quando questo decreto verrà approvato anche dal Senato.

Il primo a lanciare l’allarme con questa tesi è stato il sempre sorridente Tito Boeri, presidente dell’Inps che può vantare la stesura materiale del Jobs Act e quindi grandi meriti “democratici” (nel senso renziano del termine) nei confronti delle aziende e dell’Unione Europea. Dichiarò che le sue stime sugli effetti del “decreto” erano di almeno 8.000 posti di lavoro in meno, subito diventati nelle dichiarazioni dei piddini e negli articoli di Repubblica “almeno 80.000”.

Vabbè, direte voi, “è propaganda politica contro il governo grillin-leghista, ci può stare...”

Diceva qualcuno che la verità è rivoluzionaria, quindi sparare cazzate è reazionario. A prescindere dal motivo o dall’avversario (che è già reazionario di suo e può solo avvantaggiarsi dall’essere attaccato con dei palesi falsi).

Il sospetto iniziale viene corroborato dall’analisi – brevissima – del tweet che ha fatto partire la valanga di articoli sul “primo precario licenziato” a causa di una legge ancora non entrata in vigore (non che manchi lo spirito di iniziativa, alle aziende, per “anticipare” certe mosse).

Già il nick scelto (Tony Nelly) dovrebbe mettere sull’avviso, dato che sembra una presa per i fondelli dell’omonimo ministro della infrastrutture, grillino di lungo corso che nella sua vita aveva trovato lavoro come ufficiale di complemento dei carabinieri (altro brivido per la schiena, scusateci).

Ma cosa dice l’anonimo precario? “ci tenevo a farle sapere che, grazie anche al suo ‘decreto dignità’, oggi mi hanno confermato che da settembre sarò finalmente un disoccupato”. Segue la battuta di cui sopra.

Fare una lunga serie di articoli basandosi su un tweet anonimo non è che sia una grande prova di giornalismo. Anche se si conosce personalmente il mittente...

Le aziende, di fronte ai contenuti del decreto, avevano già anticipato i propri comportamenti: la sostituzione dei vecchi precari con altri si sarebbe semplicemente adeguata alla legge, provocando licenziamenti ogni 24 mesi anziché ogni 36; ma ad assumere stabilmente non ci hanno mai pensato né prima, né dopo questa legge. Semmai hanno gridato al “volete farci fallire” per dover motivare un rinnovo di contratto precario oppure – orrore! – dover pagare un indennizzo leggermente superiore ai licenziati senza giusta causa.

Insomma, allarme e ironia sembravano un po’ eccessivi rispetto al fatto. Dando l’impressione che tutta l’operazione giornalistica fosse una “pensata” per collegare Boeri (citato nel tweet), il tipo di opposizione che Repubblica e Pd stanno facendo a questo governo. Nulla di più.

Poi viene fuori che il giovane precario è un impiegato di banca, con un trascorso nel “recupero crediti”, che il suo datore di lavoro non è affatto un “povero industrialotto” che se gli aumenti l’indennizzo ai licenziati finisce sul lastrico (ma quando mai se n’è visto uno...). E anche la banca non è che sia proprio nanerottola: anzi, è un gigante con 52 milioni di clienti in 50 paesi. In definitiva, l’impiegato precario ha tutte le ragioni dalla sua parte per essere incazzato del licenziamento, ma nessuna ragione per rimpiangere il Jobs Act di Renzi-Boeri.

Insomma, questo “decreto” – dal punto di vista dei lavoratori – è una cagata pazzesca, non “restituisce” alcuna “dignità” al lavoro (come dice Di Maio ogni volta che apre bocca). Ma neanche è quel mostro di garanzie contro il licenziamento che “ingesserebbe l’azienda”.

Soprattutto quella del “giovane precario”, che si potrebbe permettere di assumere in pianta stabile quanta gente vuole, e se non lo fa è perché preferisce non farlo. Mai.

Quel decreto, ripetiamo, è NULLA. Come l’opposizione di Pd-Repubblica, come sempre dalla parte delle “povere” banche.

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