In merito alla vicenda Alitalia il nuovo governo sta assumendo in questi giorni alcune posizioni che sembrano andare in direzione opposta a quella scelta e perseguita dagli esecutivi precedenti e dall’ultimo ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda.
In sostanza queste le differenze più rilevanti:
1) Controllo dello stato del 51% del capitale della compagnia aerea, attraverso Cassa Depositi e Prestiti e altri soggetti istituzionali o comunque di proprietà pubblica.
2) Individuazione di un partner internazionale che produca un nuovo piano che sia anche di supporto strategico allo sviluppo del paese.
3) Non più “spezzatino” e vendita di singole attività ma unicità dell’azienda.
4) Sviluppo dell’attività di volo soprattutto sulle direttrici intercontinentali di lungo raggio.
5) Mantenimento dell’occupazione.
Se questi, come si legge nelle dichiarazioni di esponenti del M5S e della Lega con precise responsabilità di governo, saranno i punti sui quali articolare il rilancio di Alitalia, è evidente che verrebbe sconfessata la politica che governi di centro-destra e di centro-sinistra hanno sostenuto e portato avanti su Alitalia e sul trasporto aereo almeno negli ultimi 15 anni.
Io credo che la nazionalizzazione dell’Alitalia, come quella di tante altre aziende e attività produttive strategiche, a cominciare dall’Ilva, sia non solo possibile ma anche indispensabile per dare nuovo impulso all’economia e a disegnare un sistema economico diverso da quello attuale, più equo e attento alle esigenze dei lavoratori e allo sviluppo del paese. Quello che si sta pensando per Alitalia non è certo una nazionalizzazione, ma prevede comunque un controllo dello stato al 51%.
Ma qui nasce il primo dubbio: come si può pensare di controllare un’azienda che si ritiene strategica, lasciando però la gestione industriale ad un partner straniero, come sembra emergere dalle dichiarazioni del governo?
Un partner di minoranza, anche se forte minoranza, vuole decidere e non certo semplicemente gestire decisioni prese da altri. E la questione si fa ancor più contraddittoria se poi consideriamo che eventuali partner come Air France o Lufthansa sono oggi nostri diretti e fortissimi concorrenti, e domani lo sarebbero ancor di più se Alitalia si sviluppasse e mettesse in discussione almeno parte del loro mercato intercontinentale, costituito anche da traffico proveniente proprio dal nostro paese e che oggi raggiunge destinazioni non servite da Alitalia con partenze da Parigi o Francoforte.
Quindi non si comprende perché lo sviluppo di Alitalia non debba essere studiato e gestito da un Piano costruito proprio dall’azionista pubblico che assumerebbe il controllo con il 51% del capitale.
L’altra grossa perplessità è costituita dallo sviluppo della flotta aerea. Per costruire infatti una flotta di lungo raggio che sia credibile e funzionale allo sviluppo previsto, servono aerei; molti aerei e molto costosi. Se qualcuno pensa che bastino una decina di aerei in più si sbaglia di grosso. Servono almeno 40 o 50 aerei nell’arco di 3 o 4 anni per coprire adeguatamente una rete intercontinentale dignitosa e redditizia.
Non è impossibile, perché gran parte dei nuovi aerei potrebbero anche essere presi in leasing ma comunque servono soldi, molti soldi, oltre a quelli necessari a ristrutturare l’intero sistema dell’azienda, colpito in questo ultimo decennio da tagli, perdite di professionalità, di attività e di credibilità.
Servono alcuni miliardi e su questo non può esserci minimamente una gestione ed una comunicazione approssimativa e propagandistica.
Da decenni, da quando la deregulation ha investito violentemente il trasporto aereo e l’Alitalia, sono sempre stato convinto – come tanti esperti del settore e come l’Unione Sindacale di Base, prima Sdl e ancor prima Sult e Sulta – che lo sviluppo di una compagnia aerea che non sia una low cost, debba prevedersi soprattutto sui voli intercontinentali, che producono più reddito e non sono ancora fortemente infettati dalla piaga del low-cost.
Il governo deve dire quanto e come impegnare il denaro pubblico per rilanciare un’attività che produca reddito, che si integri con l’economia del paese, che faccia da motore per il turismo e l’export: insomma si deve dire non quanto è il costo di un’impresa del genere, ma quanto deve essere l’investimento ed il ritorno complessivo per l’intero paese.
Terzo importante aspetto che non può essere sottovalutato è l’indispensabilità di una riforma del trasporto aereo italiano che tenga conto della stategicità del settore e che, come avviene in quasi tutti i paesi europei, costringa le low-cost – prima fra tutte Ryanair, alla quale le politiche suicide di questi anni hanno consegnato oltre il 50% del traffico aereo del paese – a rispettare ed applicare le leggi e i regolamenti nazionali, prime fra tutte quelle relative al lavoro.
In ciò evitando anche che aziende di gestione aeroportuale, spesso di proprietà pubblica, alimentino e sovvenzionino tali compagnie a danno della compagnia nazionale, spesso eludendo anche le norme attuali relative alla concorrenza.
Ultimo aspetto è quello legato ai lavoratori e al sindacato. Occorre evitare la commistione di interessi tra un certo modo di fare sindacato e l’azienda perché questo è stato uno degli elementi che da una parte ha fortemente contribuito al deterioramento dei rapporti con i lavoratori e con chi cercava di fare sindacato in modo onesto e coerente e dall’altra ha prodotto danni enormi alla stessa azienda.
Personalmente sono convinto da tempo che il rilancio di Alitalia sia possibile e auspicabile da tutti i punti di vista. Chi, come me, ha con determinazione sostenuto questa tesi tentando di indicare anche un punto di vista diverso da quello che negli ultimi decenni ha prodotto lo sfascio di Alitalia, oggi ritiene che occorre fare chiarezza sulle dichiarazioni del governo, sugli obiettivi di un vero piano di rilancio e sui mezzi economici necessari per avviarlo e realizzarlo.
Non vorrei che tutto si rivelasse una grande trovata propagandistica e niente più.
Di certo i lavoratori e il sindacato sano e indipendente devono seguire e vigilare da vicino su questa partita, senza troppe illusioni e con estrema determinazione. Coscienti che se si riapriranno i giochi su Alitalia ciò sarà dovuto anche al fatto che i lavoratori e il sindacalismo di base, attraverso il referendum dello scorso anno, hanno bocciato e fatto naufragare quel progetto che il ministro Calenda, Cgil, Cisl, Uil, Ugl e sindacati autonomi avevano invece sostenuto e che avrebbe rappresentato la pietra tombale per Alitalia e per i suoi lavoratori.
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