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09/08/2018

Perché non ti piace Risorgimarche?

È una domanda molto ripetuta in questi giorni, dietro al megafono della propaganda che celebra a cronache unificate i settantamila accorsi a Matelica per ascoltare il concerto dell’autore degli immortali versi «Vasco non ci casco» e «Ciao mamma guarda quanto mi diverto».

Comunque, per quanto mi riguarda Risorgimarche è un problema.

Lo è da un punto di vista ambientale, lo è da un punto di vista politico.

Sul punto di vista ambientale vi rimando a quello che hanno scritto a proposito Phil Connors e Leonardo Animali, due persone che di questo lunghissimo doposisma sanno più di qualcosa.

Il punto di vista politico è complesso, e mi scuso in anticipo se sarò costretto a dilungarmi.

Tutto nasce da un equivoco molto grosso e molto di moda: i connotati esclusivamente positivi che si danno al fenomeno del turismo, panacea di ogni male, deus ex machina di un sistema ridotto ai minimi storici.

Il turista arriva, dà un’occhiata, scatta due foto brutte, mangia qualcosa, magari assiste a un concerto e poi va via. Il turista non visita un luogo, lo compra, lo affitta, scambia denaro per servizi.

Il problema principale del cratere del terremoto è che ci sono decine di paesi ormai in rovina, a due anni dalla prima scossa la ricostruzione non è mai partita e gli abitanti dell’Appennino ormai non esistono più. Aspettano il compiersi di un futuro indefinibile stipati in casette di ferro e plastica, circondati dalle macerie della loro vita precedente.

Pensate, nei villaggi di casette provvisorie non si può nemmeno aprire un centro ricreativo, a meno che non si abbia uno sponsor: l’aggregazione, la socialità, il vivere insieme sono subordinati alla volontà di un privato che decide di fare un regalo. Né il governo né le Regioni hanno mai tirato fuori un soldo per cose del genere. È un ragionamento vecchio come Ronald Reagan: o produci o consumi o crepi. E un centro ricreativo per terremotati non produce né consuma, quindi, cari terremotati, potete anche crepare. A meno che non vi troviate un mecenate dal cuore grande (e non vi facciate troppe domande sui suoi eventuali interessi paralleli).

Ecco, la gente che sale in montagna per Risorgimarche consuma e fa felici i produttori (alcuni, infatti quest’anno la Regione Marche ha appaltato tutto a due colossi dell’agroalimentare marchigiano, con tanti cari saluti ai meravigliosi «piccoli produttori»), ma non vive questi luoghi ormai, non giriamoci intorno, moribondi. La strategia dell’abbandono è anche questo: mollare tutto continuando a far credere di essere molto preoccupati e partecipi.

Quando si dice che la ricostruzione o è «dal basso» o non è, non si sta facendo un esercizio di retorica. Oltre al celebratissimo Neri Marcorè che porta i «grandi nomi» con i soldi della Regione (tra l’altro, il conto finale ancora non si sa: c’è chi dice 350mila, chi 500mila euro), esistono decine di piccole realtà che provano a portare cultura e spettacoli nel cratere, vivendo questi luoghi e rispettandoli per quello che sono, non per altro. Penso a Furgoncinema, a Liricostruiamo, all’orchestra giovanile di Paolo Rumiz: esperienze che i paesi terremotati li vivono per davvero, ci stanno dentro, tracciano un percorso.

«Noi non siamo architetti, non siamo ingegneri, non siamo muratori – mi ha detto Rumiz in un’intervista che gli ho fatto un paio di settimane fa – non possiamo ricostruire le case, proviamo a ricostruire le persone».

[Quest’estate Rumiz la sta passando sull’Appennino con settanta giovani musicisti: loro suonano, lui legge passi dei suoi libri in giro per le piazze e le osterie]

Risorgimarche è un’iniziativa calata eminentemente dall’alto, organizzata «per voi», ma non «con voi», perché voi non sapete quello di cui avete bisogno. O almeno non lo sapete tanto quanto gli esperti di marketing ingaggiati per organizzare la kermesse.

Risorgimarche ha un direttore artistico di peso (Neri Marcorè) e una struttura organizzativa messa insieme dalla Regione Marche, che non ha fatto tante storie quando si è trattato di aprire lautamente il portafoglio. Risorgimarche, in questo senso, è una maschera che l’amministrazione di Luca Ceriscioli e del Pd mette per coprire il fatto che negli ultimi due anni non è successo nulla. La ricostruzione non c’è, le persone sono abbandonate, se non addirittura ostacolate quando provano a farcela da sole: sono cose che si dicono e si scrivono da quasi due anni senza tema di smentita. In compenso c’è Jovanotti che ti dedica L’ombelico del mondo.

Il terremoto è tragedia, la sua gestione un dramma: c’è poco da scherzare e ancora meno da ridere. L’immagine di Ceriscioli in mezzo a decine di migliaia di persone su un prato è uno spot, perché la politica di questi anni vede tutto come marketing. Il cratere non è (più) un posto in cui può vivere qualcuno, ma una distesa di terra buona per diventare un centro commerciale a cielo aperto, con concerti, eventi, iniziative, attrazioni per turisti. Chi ci vive, ci viveva, vorrebbe tornare a viverci, viene sempre dopo.

Usciamo dall’equivoco, allora: Risorgimarche non è il ramoscello d’ulivo che il Palazzo offre al popolo per camminare insieme verso un futuro luminoso. Non è pace sociale. È resa sociale.

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