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13/08/2018

Servizio militare obbligatorio: “a chi la vittoria?”

Nella sua quotidiana ansia di sparare un corbelleria in grado di fargli tenere il centro della scena politica, il fascioleghista Salvini ha pestato il piede là dove proprio non doveva. Lo si può capire: non essendo ancora riuscito a produrre un benché minimo provvedimento-bandiera (neanche da ministro dell’interno, visto che la “chiusura dei porti” è stata annunciata via twitter o in tv, ma non è mai stato diramato un ordine del genere), diventa indispensabile far parlare d’altro.

La sortita sulla reintroduzione del servizio militare obbligatorio, però, ha fatto scoprire il gioco su un fronte dove la sua ignoranza del sistema di potere (che pure dovrebbe gestire, ora) è balzata fuori con disarmante evidenza.

Il poverino parlava addirittura di alcuni casi di cronaca, con protagonisti ragazzi border line o annoiati. “Vorrei che oltre ai diritti tornassero a esserci i doveri”, perché di fronte ai casi di mancanza di educazione e senso civico, “facciamo bene a studiare i costi, i modi e i tempi per valutare se, come e quando reintrodurre per alcuni mesi il servizio militare, il servizio civile per i nostri ragazzi e le nostre ragazze così almeno impari un po’ di educazione che mamma e papà non sono in grado di insegnarti“.

Sorvoliamo sull’idea ridicola che il servizio militare possa essere concepito come una sorta di “collegio duro” – un periodo di carcerazione preventiva in assenza di reato – per “insegnare l’educazione”. Ci dovrebbero essere la scuola e i normali rapporti sociali, per questo; ma la prima è sulla via della rottamazione e i secondi sono improntati all’onanismo individualista, quindi impossibilitati a far introiettare qualsiasi “regola” limitativa dell’”autoespressione”.

Più interessante, infatti, è la bastonata arrivatagli dagli “ambienti della Difesa”: “Il ministro Trenta si è già espressa sul tema nei giorni scorsi: è una idea romantica, ma i nostri militari sono e debbono essere dei professionisti e su questo aspetto è d’accordo anche Salvini“. Della serie: non provare a rilanciare o smentire, come sei solito fare, perché abbiamo pronto alche il resto...

Neanche le beghe interne al governo grillin-leghista, però, sono il centro della questione. Lasciamo volentieri a Repubblica e ai vertici del Pd le chiacchiere su questo punto.

Il cuore della questione è in un’altra considerazione che gli anonimi “ambienti della Difesa” hanno evidenziato per liquidare le battute di Salvini come una goliardata “romantica”. Nei giorni scorsi, il ministro della Difesa Elisabetta Trenta aveva sottolineato, durante un’intervista, che il servizio militare obbligatorio è un qualcosa “non più al passo con i tempi”. I soldati di oggi, aveva spiegato il ministro, “sono dei professionisti. E non abbiamo più le truppe che vengono dalle Alpi”. Dunque, “non c’è più bisogno di tanti soldati tutti insieme“.

Qui si sente l’odore acre della Nato al tempo della guerra asimmetrica, il fastidio dei professionisti che si vedono coinvolti nelle fesserie di un dilettante, ma soprattutto si ricorda che la guerra oggi è un’altra cosa: il potere – statuale o meno, ma questa è un’altra discussione – non ha più bisogno del “popolo in armi”.

Non è una cosa nuova, né una caratteristica specifica di questo paese. In tutto l’Occidente capitalistico la leva militare è stata abolita a partire dalla fine degli anni ‘70, con un periodo più o meno lungo di trapasso. Il Salvini che ha “bigiato” il servizio militare dovrebbe saperlo...

Sul piano strettamente politico-conflittuale si potrebbe pensare che questa scelta sia stata una conseguenza positiva dei movimenti giovanili precedenti, quelli che negli Usa avevano creato un enorme problema politico-sociale (c’era da andare a morire o restare invalidi combattendo in Vietnam, mica solo la controcultura e il rock&roll), e in Italia qualche preoccupazione (i “proletari in divisa” avevano simboleggiato, per qualche anno, i pericoli derivanti dall’inserimento in reparti armati di “teste calde della contestazione”). Ma altrove questi problemi non si sono presentati con la stessa rilevanza o dimensione sociale. Dunque la ragione del passaggio da un esercito che manteneva un’ampia quota di soldati-massa a uno composto di soli specialisti professionali deve avere una spiegazione meno occasionale.

A ben guardare, in effetti, la rapida scomparsa del soldato-massa (“il fante” preso dalla sua casa e sbattuto al fronte con una preparazione pressoché inesistente) avviene contemporaneamente alla scomparsa dell’”operaio massa” nelle fabbriche. Anche in quei paesi la cui classe operaia non era stata particolarmente combattiva.

Le esigenze di governance (e di massimizzazione dei profitti) hanno trovato risposta, in entrambi i casi, con l’innovazione tecnologica fenomenale rappresentata dall’automazione gestita informaticamente.

In campo militare, dunque, non occorrevano più milioni di fanti che si scontravano con altri milioni di nemici per schiodare – per pura consunzione – le sorti della guerra. Stalingrado e il D-Day, da questo punto di vista, rappresentano iconicamente il massimo che si potesse raggiungere.

Ma così come la fabbrica può produrre quasi senza operai manuali (che non vuol dire – attenzione! – “senza lavoratori dipendenti”), così la distruzione del nemico fino al punto di provocarne la resa (l’obiettivo di qualsiasi guerra) non ha più bisogno della “regina delle battaglie”, ossia la fanteria.

Per massacrare milioni di esseri umani, armati o meno, esistono ormai decine di strumenti militare gestibili da remoto (dai droni ai mini-sommergibili, dagli shock della produzione elettrica ai missili intercontinentali), senza la presenza di combattenti sul campo almeno fin quando la resa del nemico – reale o apparente, il che è un bel problema – non consente di occupare un certo territorio e disciplinarne la popolazione in vista dei propri obiettivi.

La “guerra asimmetrica” è stata l’unica forma di guerra combattuta dall’imperialismo Usa e Nato negli ultimi 70 anni. Anche quella del Vietnam lo è stata, ma lo sviluppo tecnologico raggiunto fin lì – nonostante l’abuso di napalm – non era sufficiente a sostituire l’operatività di truppe sul terreno.

La svolta avviene con la fine degli anni ‘80. Prima con una serie di invasioni sperimentali (Panama, Grenada, ecc), poi con la prima guerra all’Iraq, ben presto accompagnata dagli attacchi alla Yugoslavia, all’Afghanistan post-sovietico, di nuovo all’Iraq, ecc.

Guerra asimmetrica, in poche parole, è quel conflitto in cui la dotazione militare delle due parti è strutturalmente squilibrata sul piano tecnologico: una parte ha i cacciambombardieri e l’altra no (o perlomeno sono di generazioni molto differenti, quindi per quelli più “arretrati” è come non averli), una ha l’atomica e l’altra no, una ha i missili intercontinentali e l’altra no, una ha i droni bombardieri e l’altra no, una può impedire le comunicazioni nemiche e l’altra no, ecc.

La fanteria, in questa guerra, diventa polizia urbana in territorio nemico. Come ci hanno mostrato i migliori registi di Hollywood a proposito del dopo-seconda guerra in Iraq (o in Somalia, con Black Hawk down di Ridley Scott), il fante moderno è un serial killer di civili, a volte resistenti e combattenti, altre no (è il dubbio che Clint Eatwood rappresenta in American Sniper). E’ un cecchino iper-allenato, dentro squadre composte di specialisti diversi (comunicazione, esplosivi, interpreti, ecc).

Nessuno spazio, insomma, per giovani liceali o contadinotti senza esperienza. Quelli, semmai, li hanno di fronte, tra i civili inferociti d’esser stati invasi e che “resistono” con i mezzi che trovano, con l’ideologia o la religione che trovano. Anche se fossero del tuo stesso paese, alla fin fine (la moltiplicazione dei “soldati nelle strade” è un tipico esperimento di assuefazione di massa al regime di occupazione, “per difenderti dal terrorismo”...).

Salvini, parlando di servizio militare obbligatorio, ha parlato insomma di un mondo che non esiste più. “Romantico” nel senso di risalente a secoli fa.

Ma la sua sortita, come vediamo da molti commenti non brillanti, consente di interrogare anche il campo dell’opposizione politica, di certa “sinistra”. C’è chi rivendica “la vittoria” dell’abolizione del servizio di leva senza aver ancora capito che questa decisione era già stata presa a livello della Nato; ma volevano che tu ne fossi contento, e quindi fornissi il tuo “consenso disinformato”. Fatto. In nome del “pacifismo” nei confronti del potere e della critica di “estremismo” verso i resistenti...

Gli stessi, a volte, si indignano con Salvini ricordando l’Art. 52 della Costituzione della Repubblica Italiana, che recita:
La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino.

Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici.

L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica.
Non serve un genio per capire, dunque, che chi ha voluto e preteso – ai vertici della Nato o dentro “i movimenti” – l’abolizione del servizio militare obbligatorio si è mosso in un senso incostituzionale. Di collusione col nemico, in ultima analisi.

Non perché fare il servizio militare sia “bello” o “patriottico” (anche se la Costituzione dice proprio questo, come “dovere civico” di tutti, donne comprese), ma per un motivo ben più concreto: chi monopolizza l’uso della forza comanda, anche senza troppo consenso.

Gli altri, come sempre, bofonchiano dalle profondità dell’impotenza, delirando di altri mondi...

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