I reazionari, infatti, sono contrari al progresso e vogliono portare indietro le lancette della storia. Sono contrari allo sviluppo delle forze produttive e tentano in ogni modo di ostacolarlo. Non a caso la loro base elettorale è composta in buona parte da quella piccola e media borghesia incapace ormai di competere, che in questi anni si è impoverita o addirittura è già in via di proletarizzazione.
È per questo motivo che proprio attorno alla manovra si è acuito lo scontro tra governo e Confindustria in particolare rispetto ai temi relativi a Industria 4.0, super-ammortamento, iper-ammortamento e credito di imposta per ricerca e sviluppo.
Al contrario, si punta su provvedimenti come l’implementazione del regime forfettario delle partite Iva e l’eliminazione delle annesse norme anti-elusive previste dai precedenti governi. Si tratta di politiche che da una parte incentivano il nanismo industriale, la mancata associazione tra soggetti economici, l’evasione fiscale, il mascheramento dei rapporti di lavoro dipendente mentre dall’altra rendono poco convenienti gli investimenti in beni strumentali che servono ad aumentare il livello di produttività del lavoro.
Insomma, anche dal punto di vista strettamente capitalistico, vanno nella direzione sbagliata, anche se soddisfano una certa quota di base elettorale (più leghista che grillina).
A questo proposito è estremamente interessante ciò che scrive il professor Stevanato su Il Sole 24 Ore:
“Anzitutto, è evidente che la previsione di soglie di ricavi, superate le quali vi è il rientro nell’Irpef ordinaria (o, per i forfettari, dal 2020 l’assoggettamento dell’intero reddito, e non solo di quello aggiuntivo, alla più elevata aliquota del 20 per cento), determina un forte deterrente alla produzione, causato da un’aliquota marginale superiore al cento per cento, oppure un altrettanto forte incentivo all’occultamento dei ricavi sopra soglia (come rilevato anche dall’ufficio parlamentare di bilancio, secondo cui «in corrispondenza delle soglie emergono dei forti disincentivi all’incremento dei ricavi, che possono incentivare anche l’evasione»).Tradotto in linguaggio per non addetti ai lavori: questi ancora pensano, come il PD veltroniano di venti anni fa, che “piccolo è bello”. E nemmeno si rendono conto che i residui pilastri dell’industria nazionale – le grandi imprese che creano innovazione, value chain, ricchezza su larga scala e un vasto indotto – sono ormai soltanto quelle di proprietà pubblica (almeno come quota maggioritaria o di riferimento).
In secondo luogo, i nuovi regimi agevolati genereranno parcellizzazione produttiva, dissuadendo dall’esercizio di attività economiche in forma associata, con conseguenze distorsive sulla concorrenza dovute non solo al favorevole differenziale di tassazione ma altresì alla mancata applicazione dell’Iva a valle, nei rapporti con consumatori finali o soggetti che non detraggono l’imposta, potendo la stessa essere utilizzata per incrementare i ricavi o praticare prezzi più concorrenziali.
All’opposto, l’irrilevanza dei costi effettivi di acquisto (assorbiti dalla determinazione forfettaria del reddito) insieme all’indetraibilità dell’Iva a monte farà aumentare l’onere connesso all’acquisto di beni strumentali, ostacolando anche per questa via la formazione o il rinnovo delle dotazioni aziendali e in ultima analisi la produttività del lavoro.”
Il resto è roba che non sta in piedi da sola, ma unicamente se inserita – in modo molto subordinato ed ininfluente – in una catena del valore che ha il suo “cuore” altrove. E precisamente in Germania, per quanto riguarda il Nord Italia. Ed è roba che seguirà come un maialino al mattatoio il destino “competitivo” di quella catena, nel bene (fin qui) e nel male (i prossimi mesi e anni). Senza poter far nulla...
Un governo “contoterzista”, insomma, quanto quelli precedenti, da cui differisce solo per la frazione sociale che gli detta il programma. Il capitale multinazionale, prima, i piccoli subfornitori di quel capitale nel presente governo “gialloverde”.
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