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14/12/2018

Francia - È tempo di sciopero generale, verso l’atto quinto della mobilitazione

Dopo il riuscito sciopero di ieri dei dockers che hanno bloccato gli scali dell’Esagono per 24 ore per protestare contro la riforma portuale, oggi i lavoratori del trasporto, del commercio, gli insegnati e gli intermittenti dello spettacolo stanno scioperando e dando vita a manifestazioni in molte città francesi.

Intervistato dalla rete televisiva BFM, Philippe Martinez, segretario generale della Cgt, ha esplicitamente invitato a scioperare per toccare le tasche del gran padronato – neanche sfiorate dalle misure annunciate lunedì sera da Macron – e poter conseguire un incremento del potere d’acquisto complessivo, come esplicitato nella composita rivendicazione, con cui la CGT ha chiamato a manifestare sia sabato 1 dicembre che oggi. Chissà cosa staranno pensando i “colleghi” italiani della Cgil...

Martinez cita esplicitamente i Gilets Jaunes, configurando l’azione sindacale come complementare e necessaria a quella delle giacche gialle, per rendere realmente incisivo il movimento.

La pressione della base è enorme, visto che alcuni militanti ed aderenti all’organizzazione si sono uniti, a volte fin dal 17 novembre stesso, alle mobilitazioni dei GJ.

Dopo l’incontro intersindacale delle direzioni, lo scorso giovedì, che ha visto tutti i partecipanti – tranne Solidaires – firmare un documento che condannava le violenze dei manifestanti, ma non faceva menzione di quelle delle forze dell’ordine e non prendeva in considerazione l’ipotesi di uno sciopero generale, la CGT dopo appena due ore ha dovuto farne circolare uno firmato solo da lei in cui era costretta a rettificare il tiro.

Su Libération è stato fatto circolare un appello di alcuni sindacalisti della CGT che chiamava ad un impegno più organico nelle mobilitazioni al fianco dei GJ, considerando che le porzioni sociali che si sono mosse sono quelle che la CGT non è stata in grado di organizzare, ed un’inchiesta successiva del giornale francese mostra la “doppia identità” di alcuni GJ, che hanno “la giarrettiera” della CGT per parafrasare un operaio intervistato.

In generale c’è un avvicinamento che avviene a livello locale e settoriale tra CGT e GJ, che sta rompendo l’iniziale diffidenza nel sindacato nei confronti dei Gilets Jaunes, anche perché hanno compreso che il “blocco” della produzione può far fare un salto di qualità al movimento.

Martinez, in una specie di “messaggio cifrato” ai suoi, pressato dal giornalista che ha chiesto più volte al segretario se ha intenzione di proclamare “lo sciopero generale”, ha fatto capire che se lo sciopero si estende sarà sciopero generale, invitando esplicitamente a scioperare “ovunque”. Chi ha orecchie per intendere, intenda...

Le prese di posizione di giornalisti, avvocati e medici, questa settimana, dovrebbero far pensare a ciò che sta succedendo nell’Esagono. Interessante è stato lo sciopero e il blocco delle procure degli avvocati, che protestano contro una riforma che colpisce la giustizia, o la presa di posizione dei “medicins du monde” che si uniscono all’atto 5 della mobilitazione di questo sabato, con documento interessante che denuncia “l’abbandono degli ospedali pubblici, la sempre più frequente rinuncia alla cura, il disagio abitativo, la situazione di vulnerabilità dei rifugiati e il fatto che ‘le persone che vivono nelle zone agricole sono dimenticate’“.

La conclusione dell’appello dei medici è un capolavoro di deontologia professionale: “perché Medicins du Monde cura tutte le malattie, compresa l’ingiustizia, insieme chiediamo giustizia“.

In alcune situazioni, le azioni e le mobilitazioni vedono sempre di più fianco a fianco studenti medi – specie degli istituti più periferici e dei professionali, particolarmente penalizzati dalla riforma scolastica della BAC e dalla piattaforma Parcoursup – e universitari che lottano contro l’aumento delle tasse d’iscrizione per i giovani extra-UE dei corsi normali e dei master, membri del sindacato (come gli insegnanti nel caso di oggi o i portuali ieri a Le Havre) e Gilets Jaunes.

Il bilancio delle mobilitazioni dal 17 novembre ad oggi, per ciò che concerne il profilo repressivo, è un inedito per la Quinta Repubblica: 3.300 persone fermate per essere interrogate, di cui 2.354 messe in “guarde à vue“, 1.200 portate di fronte ad un giudice e spesso processate per “direttissima” – private di fatto del diritto di costruzione di una difesa adeguata – e condannati a pene “esemplari”, non su fatti specifici commessi ma per avere voluto partecipare alle mobilitazioni.

I feriti ufficiali, secondo i dati del Ministero dell’interno, sarebbero 1.052 – ma i GJ dicono che sono tre volte tanto – alcuni molto gravi, mentre un manifestante di Tolosa è da tempo in coma farmacologico e la cifra di morti legati alle azioni e ai blocchi è salita a sei, dopo il decesso di un GJ di 23 anni ad Avignone, nella notte di mercoledì investito da un camionista polacco.

Siamo di fronte alla più gigantesca soppressione delle minime garanzie di dissenso politico conosciute nella UE dopo l’Autunno catalano. Persino l’ONU se ne è molto parzialmente accorta, ma non sperate di trovarne traccia nella stampa nostrana.

In questi giorni e settimane, con azioni e blitz, i GJ hanno preso di mira i simboli – e non solo – del grande padronato e degli istituti finanziari, spesso esentati dalla tassazione e non toccati dal peso fiscale della “transizione ecologica”. Questo giovedì, a Tolosa, hanno attaccato Amazon, l’8 dicembre a Caen i centri commerciali (Leclerc, Carrefour...), il 5 lo stabilimento Nokia in Bretagna a Lannion, il deposito logistico di Airbus, la fabbrica della Monsanto, e poi Vuitton e Oreal... Sono alcuni degli “obbiettivi” praticati dalle giacche gialle, mentre continuano i presidi nelle rotonde e nei caselli autostradali.

Particolarmente eclatante è stato il blitz pacifico nella residenza dell’ex capo della confindustria francese, Pierre Gattaz, famoso per avere promesso “un milione di posti di lavoro” in cambio di una legge di defiscalizzazione approvata dal governo Hollande. Sono azioni, insieme a quelle condotte contro gli istituti di credito (SG, BNP), che segnano una maggiore identificazione dei “responsabili”; naturalmente i GJ fermano i mezzi pesanti e lasciano passare i lavoratori, ma di fatto rallentano o bloccano la produzione.

Domani sabato 15 ci sarà l’Atto Quinto della mobilitazione, sostenuto dalla stragrande maggioranza dei GJ, tra cui due delle sue figure più prestigiose: Priscilla Ludosky che con il suo appello su FB ha “iniziato” il movimento e Maxime Nicole.

Le uniche forze politiche che sostengono apertamente la mobilitazione e vi partecipano organicamente, sono ormai solo quelle di “estrema sinistra”: La France Insoumise, il PCF e l’NPA, oltre ad importanti coordinamenti “autonomi” di lotta che si stanno creando, come quello che si incontra a Saint Denis, nella periferia parigina, cui è organico Potere al Popolo Parigi.

Nella capitale francese il dispositivo securitario si è particolarmente impegnato, sabato scorso, a non far arrivare questo importante spezzone ai Campi Elisi; composto dal Comitato Verità per Adama, il collettivo Rosa Parks, i ferrovieri di Sud-Rail e del coordinamento inter-gares, oltre alla componente anti-sessista e la rete antifascista della periferia parigina, tra gli altri.

A Marsiglia, la questione abitativa che ormai mette insieme gruppi sorti in differenti quartieri popolari – estendendosi oltre La Plaine e Noailes – sarà di nuovo uno degli assi della costante mobilitazione iniziata molto prima del 17 novembre, e ancora prima del crollo dei due edifici in rue Aubagne il 5 novembre, con la lotta anti-gentrificazione alla Plaine.

Il movimento dei medi, anche venerdì in piazza, è stato particolarmente forte ed impattante, e si è innestato in un clima di mobilitazione preesistente, portando a blocchi pressoché continui in gran parte degli istituti da lunedì scorso. Lione, Bordeaux, Tolosa, Lille, per citare alcune città che sono state teatro di mobilitazioni questa settimana.

Concludiamo scrivendo che i due partiti di destra – la LR di Laurent Wauquiez e il RN di Le Pen (ex-Front National) – si sono ormai sfilati dal movimento. Il primo ha invitato esplicitamente a non partecipare alla protesta, mentre la Le Pen ha detto espressamente: “il migliore modo di cambiare la situazione, è con il voto. La rivoluzione si deve fare nelle urne”. Capito?

La vera e propria censura mediatica su ciò che accade in Francia da parte dei media nostrani rende sempre più attuale uno slogan del Maggio francese, allora dedicato alla radio: “attenzione la radio mente“. Non si tratta di distrazione, ma di strategia politica per oscurare una rivolta sociale che come potete notare ha già una sua colonna sonora…


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