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17/12/2018

Francia, Atto Quinto: premesse e sviluppi


Le mobilitazioni di questa settimana hanno avuto tre elementi significativi che segnano il movimento ad un mese dal suo inizio il 17 novembre.

Il primo è il picco delle mobilitazione degli studenti medi, che venerdì ha conosciuto un nuova tappa di un movimento pressoché ininterrotto da venerdì 30 novembre.

Erano stati coinvolti, prima di venerdì, ben 470 istituti scolastici su 4000, di cui 2500 pubblici.

Venerdì 7 e poi lunedì 10 e martedì 11 – il “martedì nero” lanciato dall’UNL (organizzazione studentesca che ha promosso le varie tappe della mobilitazioni) – le scuole medie toccate da blocchi parziali o totali non sono mai state meno di 400, sfiorando i 500 venerdì 7.

Un movimento inedito, dove il motore delle mobilitazioni non sono le grandi città, e, nei centri urbani più significativi, gli istituti trainanti sono quelli più periferici.

All’interno di questo quadro sono gli istituti professionali e polivalenti, i più colpiti dalle politiche “selettive” introdotte dall’Esecutivo attraverso la modifica della Bac e con la piattaforma Parcoursup, a essere i protagonisti, a differenza degli istituti più “prestigiosi” che sono stati tradizionalmente l’ossatura del movimento nei cicli di lotta precedenti.

Un altro dato importante è che a spingere materialmente i blocchi non erano per la maggior parte studenti “politicizzati”, quelli che hanno nelle organizzazioni il centro gravitazionale della propria azione.

La natura delle mobilitazioni è doppia e mette assieme le due principali ragioni che avevano portato allo sviluppo del movimento studentesco: una particolare riforma del sistema scolastico o un movimento sociale più ampio.

Come afferma Vincent Troger, insegnante e ricercatore intervistato da Le Monde: “Un movimento si sviluppa sempre sia per una riforma educativa, sia per raggiungere un movimento sociale, le due logiche si sovrappongono. L’originalità è anche qui”.

“La cartografia inedita”, come l’ha definita il quotidiano francese nell’articolo di venerdì 12 dicembre, riflette le fratture geografiche e sociali che il movimento dei GJ avevano messo in luce, e che sono il prodotto della stessa composizione sociale di riferimento: gli studenti sono a tutti gli effetti “i figli dei gilets jaunes”.

Il secondo elemento importante è la massiccia entrata in scena della base della CGT, il più grande sindacato francese, in un momento di acuta polarizzazione nel mondo sindacale tra una tendenza combattiva e una parte della dirigenza sindacale, rappresentata in primo luogo dalla CFDT, da subito promotrice di una apertura al “dialogo” con il governo – senza che dall’altra parte ci fossero i minimi segni tangibili di apertura verso i corpi intermedi bypassati durante l’”Era Macron” – e che ha esplicitamente invitato a non manifestare questo sabato, attraverso il proprio segretario Laurent Berger.

La pressione di singoli comparti della CGT (chimici, trasporti, commercio, portuali, insegnanti, ecc.) e di alcune realtà locali hanno spinto la direzione a lanciare “lo sciopero ovunque”, come ha dichiarato venerdì alla rete televisiva BFM, Philippe Martinez, coadiuvando l’azione dei GJ.

E la giornata di ieri ha coronato questa convergenza reale dei vari comparti in lotta “fondendoli” in un unico blocco: il mondo studentesco – compresi gli universitari – quello del sindacalismo conflittuale (con una organizzazione come Solidaires già organicamente impegnata nella partecipazione fino dal primo giorno) e i Gilets Jaunes, consci che senza l’efficacia dello sciopero il movimento è mutilato di uno strumento importante.

La spinta della base del sindacato deriva dall’aver compreso di poter ora concretamente invertire i rapporti di forza, da più di un ventennio sfavorevoli alle organizzazioni sindacali, i quali – nonostante la generosità mostrata in diverse battaglie – hanno visto avanzare il processo di de-industrializzazione, di privatizzazione e le modifiche peggiorative nel quadro delle relazioni industriali e nella gestione del mercato del lavoro.

Allo stesso tempo, hanno visto come comparti sociali che non erano riusciti ad organizzare o a coinvolgere si sono mobilitati autonomamente, con forme di lotta efficaci, in grado di far fare parziali dietro front ad un nemico che è apparso sempre più “una tigre di carta”, la pallida copia del rullo compressore dipinto dai media.

Non dimentichiamo che una parte consistente dei GJ è composta da operai, alcuni iscritti e militanti del sindacato, ed ha visto nuovamente affermarsi un processo di formazione collettiva nelle rotonde e dei caselli autostradali bloccati dal movimento in giallo.

Come ha detto un GJ in una discussione, intercettata da un giornalista di “Le Monde”, ad un presidio, tra un più anziano e navigato gilet jaune e uno più giovane interrogato se avesse appreso qualcosa in più in queste settimane: "Ah sì, una cosa che avevamo dannatamente perso: la fraternità”.

Il terzo elemento è la capacità dei GJ di identificare con chiarezza il nemico, calibrando le proprie iniziative contro gli esponenti di quel grande padronato simbolo della profonda ingiustizia fiscale che è stata alla base della protesta.

In conclusione, domani potremmo fare un bilancio esaustivo dell’Atto Quinto della protesta che ha visto dispiegarsi a Parigi un maggiore apparato preventivo di repressione.

Gli autobus che portavano i manifestanti sono stati sistematicamente fermati prima di entrare nella capitale, le stazioni della metro sono state chiuse più di quanto lo fossero state il sabato precedente, i vari cortei sono stati bloccati nei loro vari concentramenti; ma anche in questo modo sin dalla prima mattina la marea gialla ha rotto, come mostrano i video, gli sbarramenti dei Campi Elisi. I nostri media complici, naturalmente, hanno dato conto solo dell’effetto finale nell’unico luogo in cui si erano posizionati: gli Champs Elysées.

Nelle altre città si sono svolte altre manifestazioni di cui probabilmente la più partecipata è stata quella marsigliese, dove sono confluite le molteplici anime della protesta, mentre negli altri centri urbani i cortei sono stati trattati spesso a colpi di gas lacrimogeni, come a Nantes, Bordeaux, Tolosa.

È chiaro che l’establishment per giorni ha lavorato per far smobilitare il movimento, enfatizzando il valore delle annunciate concessioni macroniane, costruendo spaccature tra un’ala “moderata” ed una più "radicale”, dando ampio spazio ad alcune figure che si collocano tra gli elementi più “ragionevoli”, strumentalizzando fino all’estremo la tragedia di Strasburgo e, non ultimo, utilizzando un mix di repressione preventiva e violenza poliziesca.

Certamente il governo gioca la carta del logoramento, considerata tra l’altro l’urgenza di proseguire sul tracciato iniziato con le sue “riforme” promesse, tra le grida d’allarme dell’establishment economico e il pressing della UE su un bilancio già messo sotto osservazione.

E forse il destino del movimento non si gioca solo dentro i confini dell’Esagono, ma nella sua capacità di trovare forza anche nell’Europa dei “dimenticati”, che ha visto nella marea gialla un esempio di riscatto.

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