Alla fine il cerchio si è quadrato. La classifica del Sole 24 Ore, quotidiano della Confindustria, ci fa sapere che finalmente Milano è la prima città italiana per benessere, spodestando così la vivibile ma marginale Bolzano che deteneva il primato.
“Smog, traffico e scarsa sicurezza potrebbero far pensare che la prima classificata non si meriti il podio. Ma i dati, messi in graduatoria su base provinciale, dicono il contrario. Il capoluogo lombardo festeggia il suo primato, inedito nell’indagine annuale del Sole 24 Ore, piazzandosi ben sette volte su 42 nei primi tre posti per le performance conseguite negli indicatori del benessere. E conquista così lo scettro di provincia più vivibile d’Italia, dopo averlo sfiorato per quattro volte, fermandosi al secondo posto nel 2003 e 2004 e poi nel 2015 e nel 2016”. Sprizza soddisfazione da tutti i pori il giornale della Confindustria andando a confermare un processo di “Capitalizzazione” di Milano che i grandi gruppi economici del Nord stanno perseguendo negli ultimi anni. Un processo che il nostro giornale ha individuato e denunciato per tempo (il primo ad avercelo riconosciuto è stato lo scomparso urbanista Antonello Sotgia).
Queste classifiche sulla qualità della vita in realtà servono sempre più a sancire il luogo ideale per fare affari e riaffermare la logica delle “città competitive”, alimentando fantasmi che è bene conoscere e smascherare. Qualche settimana fa abbiamo fatto tana agli “errori” nella classifica sulla qualità della vita delle città italiane commissionata da Milano Finanza, altro giornale della grande borghesia del Nord, commissionato e realizzato dall’università La Sapienza. Uno scavallamento dei dati su disoccupazione e tasso di occupazione aveva influenzato il coefficiente, “premiando” le città virtuose e penalizzando quelle ritenute o condannate al declino (Roma e Napoli tra queste, ma anche Firenze).
In questo caso, il Sole 24 Ore spiega che la certificazione del benessere viene elaborata tramite 42 indicatori suddivisi in sei macro-aree («Ricchezza e consumi», «Affari e lavoro», «Ambiente e servizi», «Demografia e società», «Giustizia e sicurezza», «Cultura e tempo libero»), riferiti all’ultimo anno appena trascorso. Milano, appare in testa negli indicatori reddituali (prima per depositi in banca pro capite e consumi medi delle famiglie in beni durevoli) e vince l’iCityrate del Forum Pubblica amministrazione come la migliore “smart city”. E’ la seconda per prezzo medio di vendita delle case, ma è ultima per il costo medio degli affitti. È al terzo posto per tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni (pari al 69,5%), ma è anche tra le città più litigiose e meno sicure del Paese, seconda solo a Napoli per le rapine.
Diventa ormai sempre più evidente il progetto di fare di Milano la “Capitale di fatto” del nostro paese. In fondo è la metropoli più vicina all’Europa, anzi al magnete piazzato al centro dell’Unione Europea e che attrae, concentra, gerarchizza le risorse, spogliando e distruggendo tutto il resto dei territori periferici.
Il mondo della supremazia della competitività su tutto il resto, ha bisogno di vetrine e le città globali sono diventate questo: luoghi ideali per gli affari, paradisi per una urbanistica liberista, eventifici attenti ai flussi turistici dei “travel detailer” più che alle esigenze degli abitanti, territori pacificati dai conflitti sociali e con amministratori del tutto simili e intercambiabili. Roma viene ormai liquidata (e incentivata a diventarlo) come una città in declino, inadeguata ad essere ancora la Capitale di un paese europeo. L’aver dato in pasto la giunta Raggi agli agenti del declino incentivato, sembra non dare conto di un cortocircuito micidiale che usa i Patti di Stabilità e le campagne stampa mirate come una clava. Insomma Milano sempre più una Capitol City per la quale il resto dei distretti sono obbligati a portare risorse: umane, economiche, finanziarie, di conoscenze ed immagine.
A gennaio, sulle pagine del Corriere della Sera, era stato il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, a perdere i freni inibitori dichiarando che: “Milano è una città sistemica che riconosce tra i suoi doveri quello di mettere al servizio del Paese il suo modello”. In assenza di risposte “si rivolgerebbe direttamente all’Europa e alle sue risorse, rafforzerebbe la diplomazia estera, continuerebbe ad attrarre il mondo della finanza e delle imprese in forza della qualità dei suoi servizi e della sua vita”. Una sorta di ultimatum e di destino manifesto.
Anche nella classifica del Il Sole 24 Ore, del resto, tutte le prime venti città per benessere sono collocate in quello che ormai è diventata la “Marca tedesca”, una macroregione composta da Lombardia, Nordest ed Emilia Romagna che hanno fatto della subalternità di filiera alla industria tedesca, e della secessione reale dallo Stato repubblicano e dal resto del paese, un asse strategico.
Siamo pronti a tutto questo?
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