Allo scoccare dei trentacinque anni di carriera, ben pochi gruppi hanno ancora la forza e la brillantezza per guardare avanti e non limitarsi a perpetrare, sotto forme lievemente diverse, le formule che li hanno resi celebri. La ‘benzina’ creativa è un bene prezioso che tende a scarseggiare quando l’età avanza. Discorso che non sta minimamente in piedi con i Voivod, che nel punto più tragico della loro storia – la morte del chitarrista e principale songwriter Piggy – hanno avuto la capacità di non disunirsi e, trovato un suo validissimo sostituto, sono ripartiti con uno slancio che pensiamo abbia sorpreso anche il più accanito dei loro fan. Nel 2018 che sta terminando, uno degli album dall’impatto più fragoroso è stato sicuramente il loro “The Wake”, disco di sfavillante avanguardismo, che rende onore all’heavy metal nella sua accezione più nobile, quella di musica protesa al futuro e dotata di un trasformismo che non perda di lucidità, potenza e coinvolgimento. Snake, storico singer della formazione canadese, autore proprio in “The Wake” della miglior prova vocale della carriera, è il nostro gradito interlocutore, cui si aggiunge una testimonianza del batterista Away in chiusura a proposito della sua arte pittorica, fondamentale contributo visivo alle avventure affrontate dalle sette note.
La reazione immediata all’ascolto di “The Wake” è quella di stupore: anche dopo numerosi ascolti, ci si interroga su come sia stato possibile realizzare musica così strana, intricata, energica. Riascoltandolo, ti accorgi che avete realizzato un disco di livello così altisonante?
È il frutto di tre anni di intenso lavoro, ci abbiamo messo tutto quello che avevamo dentro in questo disco. È un vero piacere riascoltarlo, apprezzarne le qualità e condividerlo con tutti ora che è disponibile. Ed è eccitante vedere la reazione dei nostri fan, che aspettavano “The Wake” da tempo.
Se con “Target Earth” eravate tornati al techno-thrash, limando di molto gli elementi rock e punk degli album da “Voivod” a “Infini”, in quest’ultimo album avete ulteriormente complicato il vostro stile, esaltando la vostra vena di pazzia e la volontà di esplorare nuovi suoni, sia nelle strutture, che per gli arrangiamenti. Che cosa vi ha guidato in questo approccio complesso e futurista, sempre presente nel vostro dna ma spinto in “The Wake” verso nuovi orizzonti?
Volevamo scrivere un concept album, dove tutto quanto seguisse un unico flusso narrativo. È il primo album scritto integralmente da questa line-up, volevamo spingerci oltre quanto prodotto finora, abbattere i confini della nostra musica ed esplorare nuovi processi creativi. “The Wake” per noi è un album importantissimo, e cade addirittura nel nostro trentacinquesimo anno di attività!
Possiamo ascoltare alcune parti di chitarra acustica e partiture sinfoniche durante “The Wake”. In particolare le seconde sono molto importanti all’interno di alcune canzoni e conducono ad alcuni segmenti incredibili: penso per esempio alle progressioni di “Iconspiracy” o alla quiete indotta in alcuni momenti di “Always moving”. Come avete lavorato per introdurre partiture classiche, senza snaturare il vostro stile?
Chewy ha avuto l’idea di queste parti di musica classica. Lavora come insegnate di musica e ha avuto l’opportunità di invitare alcuni suoi studenti per collaborare con noi. Ha scritto le parti di quartetto d’archi e ha diretto i musicisti, come un direttore d’orchestra, durante le registrazioni. Gli archi hanno sicuramente dato un tocco d’atmosfera importante.
Come accaduto per “Post society”, le tue linee vocali si avventurano in territori raramente frequentati in passato. Possiamo sentirti impegnato in strani recitati e urla allucinate, quasi come se tu fossi un attore che impersona svariati personaggi durante una stessa canzone! E' cambiato qualcosa nel tuo modo di interpretare il cantato negli ultimi anni?
Penso che l’attuale line-up abbia influito da questo punto di vista. Rocky, il nostro bassista, e Chewy hanno una buona chimica insieme. Portano nuovi colori e sapori nella nostra musica, pur rispettando il background dei Voivod. Chewy mi ha aiutato tantissimo sia nella stesura delle vocals di “Post society” che “The wake”. Ama condividere la sua personale visione dei pezzi e ha avuto un forte impatto sul mio modo di cantare. Adesso il mio cantato è più preciso e prendo rischi maggiori, per provare cose mai fatte prima.
“The Wake” è un concept album e, come per la musica, la storia non è così facile da comprendere e interpretare. Sembra, per alcuni schemi adottati e per il tipo di cantato, che abbiate posto una grande attenzione al fatto che ogni sfumatura lirica trovasse adeguata corrispondenza nel tono della musica. Parole e note si sviluppano insieme per narrare adeguatamente la storia che avevate in mente. Come avete adattato la musica ai testi, e viceversa?
Ritengo la voce uno strumento come tutti gli altri. La mia ispirazione principale è la musica, la fonetica delle parole viene scelta in un certo modo per fondersi pienamente con la struttura musicale. Mi piace che vi siano differenti interpretazioni delle liriche e delle storie raccontate nelle canzoni. A volte, scrivo i pezzi già pensando a come un lettore possa, dalla lettura del testo, ricavare una sua storia personale, che magari esuli dal contesto di partenza che avevo ipotizzato io.
Ho letto che l’ultima traccia, “Sonic mycelium”, è una specie di medley di altri brani dell’album. Perché avete deciso di chiudere l’album in questo modo, con una canzone che ha un’origine del genere, pur rimanendo alla fine logica e coerente nella struttura per tutta la sua durata?
“Sonic mycelium” è stata composta al termine di tutto il processo creativo. Volevamo riprendere i diversi punti cardine dell’album, dandogli un taglio differente. Mischiare i temi musicali e sfumarli in un altro approccio. È stata una bella sfida, ma allo stesso tempo è stato divertente. Quasi un gioco. E mette l’ascoltatore davanti a un puzzle sonoro.
Nel 2014 Blacky è uscito dalla band e al suo posto è entrato Dominique Laroche (Rocky). Penso che il suo tocco al basso sia evidente sia in “Post society” sia in “The wake”, dove dialoga molto bene con la batteria, suonando delle parti eccellenti e molto caratterizzanti. Come ha contribuito rocky al songwriting?
Rocky è un ottimo musicista e ha una solida esperienza alle spalle. Ha la sua visione dei pezzi e contribuisce in modo considerevole alla composizione. Lui e Chewy insieme lavorano benissimo, si trovano a meraviglia. Condividere le idee come fanno loro significa lavorare meglio sulle canzoni. Inoltre Rocky ha un modo di suonare molto preciso e personale, si sente che ha un suo stile, e anche come persona ci troviamo benissimo con lui. Con questi presupposti, le cose nella band possono solo andar bene!
Piggy è morto nel 2005, lasciando un vuoto che siete stati in grado di colmare, dal punto di vista artistico, grazie a Chewy. Analizzando lo stile di questi due chitarristi, sapresti descriverci i punti in comune e le differenze tra di loro? Quando Chewy è entrato nella line-up, pensavate che sarebbe stato in grado non solo di suonare la musica dei Voivod già esistente, ma anche di comporre del nuovo materiale così tipicamente Voivod, dando un contributo determinante agli ultimi dischi?
Piggy è stato il mentore di Chewy. È cresciuto con i Voivod nelle orecchie da ragazzino, penso sia il miglior musicista in circolazione per portare avanti l’eredità di Piggy. È un grandissimo lavoratore, la sua qualità migliore è quella di saper scrivere musica con il tipico spirito dei Voivod, nel solco di quella di Piggy, incorporando influenze musicali che sono invece le sue personali.
Nel 1987 pubblicavate un album chiamato “Killing Technology”. I temi di quell’opera sono ora più importanti che mai, visto il peso della tecnologia nelle nostre vite: qual è il vostro approccio alla tecnologia oggi, dove sembra che l’umanità non sia capace di muovere un passo senza avvalersi dell’aiuto di qualche sofisticato strumento? Qual è secondo te la “Killing Technology” del 2018?
Il dibattito odierno sulla tecnologia e il suo peso nella società non è poi tanto diverso da quello del 1987, non trovi? Personalmente ritengo che il miglioramento sociale sia alla base del progresso tecnologico. E che il fattore umano sarà sempre ciò che determinerà la nostra sopravvivenza e la nostra capacità di convivere su questo piccolo pianeta nel mezzo di uno spazio sconosciuto.
Dopo tutti questi anni trascorsi a parlare di alieni e avventure spaziali, non siete dispiaciuti che l’esplorazione spaziale non abbia raggiunto molti degli ambiziosi obiettivi che si era posta nel secolo scorso? Siete ancora così affascinati da cosa potremmo trovare e conoscere nello spazio, come lo eravate da giovani negli anni ’80?
Ho un quadro più ampio oggi, nella mia mente, di quello che potrebbe esserci nello spazio rispetto agli anni ’80. Non sono per nulla deluso dai risultati delle esplorazioni spaziali. Ogni giorno avvengono grandi scoperte, grazie a nuovi mezzi e a telescopi più potenti. Diciamo che i progressi in materia avvengono in modo meno spettacolare, non dobbiamo per forza andare fisicamente nello spazio per esplorare nuovi mondi. Però le scoperte proseguono, portandoci più lontano e più in profondità fuori dalla Terra.
Nel vostro disco omonimo, “Voivod”, chiudevate l’album con “We carry on”, dove i testi esprimevano il vostro bisogno di esplorare, creare, arrivare a conoscere nuovi concetti con la stessa curiosità che vi guidava agli inizi di carriera. Dopo altri quindici anni da “Voivod”, puoi confermarci la convinzione con cui cantavi versi come “Day after day sharing and giving / Reinventing the ways of thinking”?
Penso che stiamo proseguendo lungo questa strada, certamente. È quello che facciamo e per cui siamo stati creati, non credi?
Come ha influito l’ambiente culturale di Montreal, dove convivono molte culture e hanno trovato da tempo un equilibrio e un’armonia fra di loro non comune altrove, sul vostro stile musicale, agli inizi e per la sua evoluzione?
Montreal è una grande città, il suo multiculturalismo si è evoluto negli anni e ora è una delle mete turistiche più gettonate del Canada. La scena musicale ed artistica è sempre stata una delle sue peculiarità, le persone qui sono di mentalità aperta e questo ci ha dato una certa spinta per il nostro percorso artistico.
Away, sei ormai un artista affermato per i tuoi artwork, partendo da quelli dei Voivod hai contribuito a molti altri progetti, dentro e fuori il mondo della musica. Qual è il lavoro di cui sei più orgoglioso e perché?
Away: penso che il mio lavoro più importante, quello di cui vada più orgoglioso, rimanga quello per “War And Pain”. È stato il mio primo vero dipinto, sono riuscito a rappresentare il significato della musica e delle liriche, comunicando l’atmosfera futurista e post-apocalittica di quel disco. Sono inoltre orgoglioso dei miei disegni per il progetto di Dave Grohl, Probot, che ha mi ha consentito di arrivare a un’esposizione che altrimenti non avrei mai avuto e mi ha portato a ottenere contatti importanti per lavori grafici successivi.
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