A poco meno di due settimane dall’inizio delle primarie per le
elezioni presidenziali negli Stati Uniti, è partito nei confronti del
candidato considerato più a sinistra di tutto il panorama “mainstream”
di Washington un vero e proprio fuoco incrociato di attacchi politici e
personali diretti ad affondare una campagna elettorale che continua a
fare registrare un certo successo. Contro Bernie Sanders si sono già
mobilitati alcuni dei pesi massimi degli ambienti “liberal” americani, a
cominciare dal clan Clinton e da alcuni dei media più potenti legati a
quel Partito Democratico per cui lo stesso senatore del Vermont è alla
ricerca della nomination.
La prima imboscata di rilievo era stata portata a termine la scorsa
settimana in collaborazione tra una sfidante di Sanders, la senatrice
del Massachusetts Elizabeth Warren, e la CNN. La prima, visti
anche i suoi indici di gradimento in netta flessione, aveva sostenuto
che Sanders, in una conversazione del 2018, le aveva confidato di
credere che una candidata di sesso femminile non avrebbe potuto vincere
contro Trump nella corsa alla Casa Bianca del 2020.
Opportunamente, la Warren si era assicurata di spiegare che alla
conversazione non erano presenti altri testimoni. Sanders, da parte sua,
ha negato in maniera ferma di avere espresso questa opinione,
definendola assurda alla luce anche dei risultati del 2016 che videro
Hillary Clinton superare nettamente Donald Trump nel voto popolare.
La polemica era comunque esplosa sui giornali, gran parte dei quali
non hanno perso tempo a inquadrare la vicenda nella campagna, a dir poco
strumentale, condotta da qualche anno in nome della parità di genere.
Qualche giorno più tardi, la questione è stata poi ripresa e rilanciata
per colpire ulteriormente Sanders davanti a una platea di americani
ancora più ampia.
Nel corso dell’ultimo dibattito tra i candidati democratici alla presidenza prima dei “caucus” dell’Iowa, la moderatrice della CNN
ha chiesto a Sanders della presunta conversazione rivelata dalla
Warren. Quando il senatore del Vermont ha negato ancora una volta di
avere fatto l’affermazione incriminata, la giornalista del network ha
rivolto l’attenzione alla Warren per porgerle una domanda sullo stesso
argomento, partendo dal presupposto che Sanders, malgrado la smentita
appena espressa, aveva effettivamente sostenuto che una donna non
avrebbe avuto chances contro Trump a novembre.
Al termine del dibattito, i due candidati si sono avvicinati e,
quando Sanders ha cercato di stringere la mano alla Warren, quest’ultima
si è rifiutata. Con i microfoni della CNN debitamente aperti,
la senatrice democratica ha rimproverato il collega per averla definita
una “bugiarda”. L’acceso scambio di battute è subito rimbalzato sui
media americani, creando un nuovo motivo di imbarazzo per Sanders.
Parecchio spazio ha trovato inoltre sui media americani una recente
intervista di Hillary Clinton nella quale ha discusso ampiamente del suo
sfidante nelle primarie del 2016, clamorosamente manipolate dai vertici
del Partito Democratico per favorire l’ex segretario di Stato.
L’intervista fa parte di un documentario in uscita a breve e in essa la
Clinton spara a zero su un Sanders che, a suo dire, sarebbe disprezzato
da chiunque al Congresso. Durante la sua carriera politica, sempre
secondo la ex first lady, Sanders “non ha combinato nulla”, mentre egli
stesso e il suo staff si distinguerebbero per atteggiamenti
“irrimediabilmente sessisti”.
Fermo
restando che un attacco da parte di Hillary Clinton, tra i politici più
odiati in assoluto negli Stati Uniti, non comporta necessariamente un
danno per il destinatario di esso, le parole dell’ex candidata alla Casa
Bianca prospettano una sorta di ammutinamento di ampi settori del
Partito Democratico nel caso Sanders dovesse conquistare la nomination
al termine delle primarie.
Alla domanda se fosse disponibile ad appoggiare il senatore del
Vermont in un eventuale confronto con Trump, la Clinton si è infatti
rifiutata di rispondere positivamente. Ciò lascia aperta l’ipotesi di un
possibile “endorsement”, più o meno esplicito, per Donald Trump. Più
probabilmente, se Sanders fosse il candidato democratico per la
presidenza, i vertici del partito potrebbero attivarsi per provocare il
fallimento della sua campagna elettorale. D’altra parte, in questi
ambienti viene visto con maggiore preoccupazione un presidente approdato
alla Casa Bianca sull’onda di una mobilitazione popolare attorno a
un’agenda progressista rispetto a un secondo mandato del presidente
probabilmente più reazionario della storia degli Stati Uniti.
Come spiegato in precedenza, sono anche i media e i commentatori
vicini al Partito Democratico a prendere di mira Bernie Sanders. Il New York Times
ha ad esempio appoggiato gli attacchi contro quest’ultimo dopo la
polemica con la senatrice Warren. Uno dei suoi editorialisti più noti,
il premio Nobel per l’economia Paul Krugman, ha contribuito tra gli
altri a gettare benzina sul fuoco, screditando Sanders in seguito a
un’altra controversia esplosa durante la campagna.
Krugman ha portato un attacco – decisamente sproporzionato – contro
Sanders dopo che quest’ultimo aveva denunciato, del tutto
legittimamente, l’ex vice-presidente Joe Biden per alcune sue passate
dichiarazioni sulla necessità di tagliare la spesa destinata al welfare
dei pensionati americani. Sanders è stato così dipinto come una versione
democratica di Trump, intento a “mentire” e a “demonizzare” chiunque
non la pensi come lui e “incapace di ammettere di avere torto”.
Sempre il New York Times questa settimana ha dato
particolare enfasi alla decisione del suo comitato di redazione di
appoggiare ufficialmente per la nomination democratica due candidate
donne: la senatrice del Minnesota Amy Klobuchar e, appunto, Elizabeth
Warren. La scelta e i commenti che l’hanno seguita sono significativi e
sembrano essere diretti proprio a danneggiare la candidatura di Bernie
Sanders.
La Warren è la rivale più immediata di Sanders per la conquista dei
consensi della sinistra del Partito Democratico. L’opzione Klobuchar,
invece, esprime l’intenzione di sostenere praticamente chiunque non sia
Sanders, poiché la senatrice democratica “moderata” è tra i candidati
meno conosciuti a livello nazionale e i sondaggi le attribuiscono
livelli di gradimento decisamente trascurabili. Anche la stessa
decisione di puntare su due donne riflette il tentativo di promuovere le
questioni di genere rispetto a quelle economiche e di classe, con
l’obiettivo ancora una volta di penalizzare soprattutto Sanders.
Le ragioni di questa offensiva contro il senatore
“democratico-socialista” del Vermont sono da ricondurre ai timori per
l’evolversi di una campagna elettorale che minaccia di mettere al centro
del dibattito le disuguaglianze sociali esplosive, la necessità di un
sistema sanitario pubblico e il pacifismo. L’establishment del Partito
Democratico, l’industria finanziaria e determinati settori dell’apparato
della “sicurezza nazionale” (CIA) sono i principali oppositori di
Sanders e, come si è visto in questi giorni e in occasione delle
primarie del 2016, faranno di tutto per far naufragare la sua
candidatura.
Questo assalto coordinato rappresenta un segnale indiscutibile sia
della natura del Partito Democratico e della classe dirigente americana
sia del carattere illusorio di una campagna elettorale che pretende di
essere “rivoluzionaria”, come appunto quella di Sanders, anche se
combattuta sotto le insegne democratiche.
Il
78enne senatore è cioè tutt’altro che “socialista” o “rivoluzionario”,
nonostante la retorica elettorale, ma tutt’al più riconducibile a un
progressismo che fino a pochi decenni fa risultava perfettamente
integrato nella politica ufficiale di Washington. Sanders si era
d’altronde affrettato nel 2016 a sostenere Hillary Clinton dopo le
primarie e nonostante le manovre attuate nei suoi confronti,
contribuendo al dissolvimento pacifico del movimento popolare favorito
dalla sua candidatura.
In sostanza, Sanders non costituisce di per sé alcun pericolo per il
capitalismo americano, ma ne auspica se mai la riforma per salvarlo dal
rischio di una mobilitazione dal basso contro la deriva autoritaria e
ultra-classista che interessa gli Stati Uniti. Il suo successo, però,
rischierebbe di alimentare pericolose speranze di cambiamento che
potrebbero sfuggire di mano e minacciare il controllo quasi assoluto
esercitato, per conto e a favore di una ristretta élite, dai due
principali partiti politici americani.
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