Sembrerebbe superfluo ma non lo è affatto. La recente Conferenza di Berlino sulla Libia è avvenuta esattamente nella città di una analoga conferenza di Berlino, quella del 1884-85 con la quale le maggiori potenze europee si spartirono l’Africa attraverso l’espansione coloniale.
Un secolo dopo occorre però fare i conti, anche in questo caso, con la Turchia e con il convitato di pietra della Russia che mai era arrivata a determinare gli assetti nel Mediterraneo occidentale e in Africa.
Un comandante dell’Esercito nazionale libico (LNA) del generale Khalifa Haftar ha riferito al quotidiano panarabo edito a Londra di proprietà saudita “Asharq al Awsat” che “la tregua annunciata domenica 12 gennaio è ufficiosamente crollata”. Il sito Analisi Difesa riferisce che nel frattempo, Yusuf al Amin, comandante dell’asse di Ain Zara (un quartiere sud di Tripoli) delle forze fedeli ad al-Sarraj, ha dichiarato ai media libici che le sue forze “hanno risposto a un tentativo di avanzata” dell’LNA su più assi nella capitale.
Alla conferenza di Berlino è stato firmato un corposo documento conclusivo in ben 55 punti da tutti i paesi presenti ma non dai protagonisti della guerra civile cioè Fayez al-Sarraj e Khalifa Haftar. Si tratta di un testo che non scontenta nessuno ma che non accontenta pienamente nessuno. Secondo indiscrezioni riportate dall’agenzia Askanews il presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi sarebbe “sul punto di ritirare il proprio sostegno” al generale Khalifa Haftar e di trovare un sostituto, perchè “infastidito” dalla sua incapacità di prendere il controllo della capitale libica dopo nove mesi di offensiva militare. A scriverlo è il Middle East Eye, citando fonti algerine ed egiziane. Se avesse avuto successo, non ci sarebbe stato l’intervento turco: “Invece ha quasi trascinato l’Egitto in una guerra regionale con la Turchia” ha fatto trapelare una fonte diplomatica egiziana.
Inoltre si vanno delineando le conseguenze del blitz di Haftar che venerdì scorso, alla vigilia della conferenza di Berlino, aveva fatto bloccare le esportazioni petrolifere degli impianti finiti sotto il suo controllo. La produzione di petrolio della Libia toccherà “in pochi giorni” il punto più basso mai raggiunto dalla caduta di Muammar Gheddafi, nel 2011, perchè il blocco dei terminal dell’export ha comportato una rapida cessazione delle attività produttive. Stando a quanto precisato al Financial Times da Mustafa Sanalla, presidente del colosso petrolifero libico Noc (National Oil Corporation), la produzione è già passata da circa 1,3 milioni di barili al giorno a soli 400.000 barili da venerdì scorso, quando le forze del generale Khalifa Haftar hanno bloccato i terminal, e arriverà a toccare, “in pochi giorni” o al massimo settimane, i 72.000 barili.
Sul piano di un possibile intervento esterno per “assicurare” la tregua in Libia va segnalata l’ipotesi avanzata dall’Alto rappresentante della politica estera e di sicurezza dell’Ue Josep Borrell, il quale dovrebbe presentare una proposta per una “missione europea di salvaguardia del cessate il fuoco” in Libia, sotto l’egida delle Nazioni Unite, in occasione del prossimo Consiglio Affari esteri di febbraio. In quella sede dovrebbe presentare anche una proposta per rilanciare il mandato dell’operazione Sophia, per il monitoraggio nel Mar Mediterraneo dell’embargo sulle armi. Ma il problema, come abbiamo visto, è che in Libia ancora non si può parlare di un vero e proprio cessate il fuoco, ma solo di una tregua, perché le due parti in conflitto, Serraj e Haftar, non hanno sottoscritto la dichiarazione della Conferenza di Berlino.
Contro l’ipotesi di una missione europea si schiera però il presidente turco Erdogan, il quale ha affermato che: “Visto che è coinvolta l’Onu, non è corretto che l’Ue intervenga come coordinatore del processo” di pace in Libia.
Dei 55 punti contenuti nel documento nessuno parla infatti di forze multinazionali schierate sul terreno per assicurare la tregua. Su questo si era palesata la disponibilità di alcuni paesi europei, e soprattutto dell’Italia ma la cosa non ha avuto finora seguito. Dal punto di vista militare nell’accordo raggiunto alla Conferenza di Berlino, vi sono tre aspetti che potrebbero richiedere il ricorso ad assetti militari: il monitoraggio del cessate il fuoco (si badi bene che si parla di “monitoraggio” e non di “imposizione”); l’embargo sulle armi; il “security sector reform” (ovvero la ristrutturazione del sistema di difesa e sicurezza nazionale della Libia).
Insomma, come prevedibile già dall’aggressione alla Libia nel 2011, questo lembo di terra ricchissimo di petrolio e alla nostre porte di case, rischia di diventare un test rilevante nelle relazioni tra le varie potenze interessate all’area. La storia sta marciando all’indietro di un secolo. Un brutto segno.
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