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22/01/2020

Libia - Ilcessate il fuoco non piace agli sponsor di Haftar

di Michele Giorgio

A Berlino presto si terrà una seconda conferenza sulla Libia a livello di ministri degli esteri il cui obiettivo sarà trasformare il cessate il fuoco in un armistizio. Lo ha annunciato ieri a Bruxelles, con parecchia enfasi, il ministro degli esteri tedesco Heiko Maas. Secondo il capo della diplomazia tedesca, il risultato «più importante» dell’incontro a Berlino di due giorni fa è che gli Stati sostenitori delle parti in conflitto hanno deciso di fermare gli aiuti in armi e mercenari.

Cecità politica o sincero ottimismo? Le considerazioni di Maas sono molto distanti dalla realtà sul terreno e non riflettono i risultati effettivi raggiunti dalla conferenza in Germania. Ben pochi credono che la formazione della commissione militare che dovrebbe incontrarsi nei prossimi giorni – composta da cinque fedelissimi del Gna del premier El Sarraj e cinque delegati dell’uomo forte della Cirenaica Khalifa Haftar – riuscirà davvero a definire le modalità per consolidare e rendere permanente il cessate il fuoco co-sponsorizzato da Russia e Turchia il 12 gennaio.

Non ci vuole molto a capire che la cessazione delle ostilità serve a El Sarraj, la parte palesemente più debole. Perché gli consente di guadagnare tempo e di consolidare la sua precaria situazione, grazie all’aiuto della Turchia (e ai fondi del Qatar). Non ad Haftar, convinto di poter arrivare con i suoi soldati fino a Tripoli e di prendere il controllo del paese con la benedizione dei suoi sponsor: Egitto ed Emirati in testa e subito dopo Francia e Russia. Che il cessate il fuoco possa rivelarsi di breve durata è il timore del presidente turco Erdogan, nemico giurato di Haftar e angelo custode di El Sarraj al quale ha già mandato in soccorso mercenari siriani (anche se continua a negarlo). Erdogan non cessa di chiedere che il comandante dell’Esercito nazionale libico (Lna), ossia Haftar, metta definitivamente fine all’offensiva militare verso Tripoli lanciata il 4 aprile del 2018. Lo ha fatto anche ieri al termine dell’incontro che ha avuto con il protetto El Sarraj.

L’embargo internazionale sulle forniture di armi alle fazioni in lotta in Libia è un altro punto vago e fragile emerso dalla conferenza di Berlino: già esisteva ma pochi l’hanno rispettato. E che avvenga ora è assai improbabile. Lo stesso vale per il ritorno a un processo politico sotto l’egida delle Nazioni Unite, per il rispetto dei diritti umani e per le garanzie di sicurezza delle infrastrutture petrolifere libiche. È bastato nel weekend un ordine di Haftar per bloccare metà dei porti e dei giacimenti petroliferi della Libia. «L’incontro a Berlino ha toccato tanti punti critici ma i meccanismi di attuazione delle conclusioni del vertice non sono affatto chiari e praticabili», avverte Khaled al Montassar, analista e docente universitario libico.

Se l’obiettivo principale era quello di porre fine allo scontro tra Haftar ed El Sarraj e creare le basi per la riconciliazione, allora il summit in Germania è in gran parte fallito. I due avversari hanno rifiutato di incontrarsi e non sembrano avere alcuna voglia di farlo in futuro. Sui social qualcuno non ha mancato di far notare che la conferenza di Berlino non ha aiutato la riconciliazione tra libici e neppure quella tra gli occidentali, al di là delle dichiarazioni positive rilasciate dai vari leader presenti, dal francese Macron all’italiano Conte. Secondo Jalel Harchaoui, ricercatore del Clingendael Institute intervistato dalla Agenzia Nova, gli sponsor esteri di Haftar hanno fatto di tutto per evitare che a Berlino venisse firmato un accordo per un vero cessate il fuoco in Libia.

Hanno agito, sostiene, affinché non ci sia alcun ostacolo alla guerra. «Adesso Haftar è a pochi metri dal traguardo ma se si fa la pace perde e loro vogliono che lui vinca», spiega. Il più grande ostacolo alla fine del conflitto in Libia, afferma Harchaoui, è la totale impunità per chi vi partecipa. «Se si vuole risolvere la crisi – avverte – bisogna avviare un meccanismo in grado di introdurre misure spiacevoli per chi viola le regole e le risoluzioni». Ma ciò non avverrà. E non è di aiuto l’atteggiamento ambiguo dell’Unione europea indicato dall’intenzione di far rivivere l’Operazione Sophia annunciata da Josep Borrell. L’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, la vorrebbe orientata al controllo dei flussi illegali di armi verso la Libia. Ma quella missione era e resterà rivolta al controllo dei flussi migratori e ben poco al traffico di armi.

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