di Michele Giorgio
A Berlino presto si terrà
una seconda conferenza sulla Libia a livello di ministri degli esteri
il cui obiettivo sarà trasformare il cessate il fuoco in un armistizio.
Lo ha annunciato ieri a Bruxelles, con parecchia enfasi, il ministro
degli esteri tedesco Heiko Maas. Secondo il capo della diplomazia
tedesca, il risultato «più importante» dell’incontro a Berlino di due
giorni fa è che gli Stati sostenitori delle parti in conflitto
hanno deciso di fermare gli aiuti in armi e mercenari.
Cecità politica o sincero ottimismo? Le considerazioni di Maas sono
molto distanti dalla realtà sul terreno e non riflettono i risultati
effettivi raggiunti dalla conferenza in Germania. Ben pochi credono che
la formazione della commissione militare che dovrebbe incontrarsi nei
prossimi giorni – composta da cinque fedelissimi del Gna del premier El
Sarraj e cinque delegati dell’uomo forte della Cirenaica Khalifa Haftar –
riuscirà davvero a definire le modalità per consolidare e rendere
permanente il cessate il fuoco co-sponsorizzato da Russia e Turchia il
12 gennaio.
Non ci vuole molto a capire che la cessazione delle ostilità serve
a El Sarraj, la parte palesemente più debole. Perché gli consente di
guadagnare tempo e di consolidare la sua precaria situazione, grazie
all’aiuto della Turchia (e ai fondi del Qatar). Non ad Haftar, convinto
di poter arrivare con i suoi soldati fino a Tripoli e di prendere il
controllo del paese con la benedizione dei suoi sponsor: Egitto ed
Emirati in testa e subito dopo Francia e Russia. Che il cessate il fuoco
possa rivelarsi di breve durata è il timore del presidente turco
Erdogan, nemico giurato di Haftar e angelo custode di El Sarraj al quale
ha già mandato in soccorso mercenari siriani (anche se continua a
negarlo). Erdogan non cessa di chiedere che il comandante dell’Esercito
nazionale libico (Lna), ossia Haftar, metta definitivamente fine
all’offensiva militare verso Tripoli lanciata il 4 aprile del 2018. Lo
ha fatto anche ieri al termine dell’incontro che ha avuto con il
protetto El Sarraj.
L’embargo internazionale sulle forniture di armi
alle fazioni in lotta in Libia è un altro punto vago e fragile emerso
dalla conferenza di Berlino: già esisteva ma pochi l’hanno rispettato. E
che avvenga ora è assai improbabile. Lo stesso vale per il ritorno a un
processo politico sotto l’egida delle Nazioni Unite, per il rispetto
dei diritti umani e per le garanzie di sicurezza delle infrastrutture
petrolifere libiche. È bastato nel weekend un ordine di Haftar per
bloccare metà dei porti e dei giacimenti petroliferi della Libia.
«L’incontro a Berlino ha toccato tanti punti critici ma i meccanismi di
attuazione delle conclusioni del vertice non sono affatto chiari e
praticabili», avverte Khaled al Montassar, analista e docente
universitario libico.
Se l’obiettivo principale era quello di porre fine allo scontro tra Haftar ed El Sarraj e
creare le basi per la riconciliazione, allora il summit in Germania è
in gran parte fallito. I due avversari hanno rifiutato di incontrarsi e
non sembrano avere alcuna voglia di farlo in futuro. Sui social qualcuno
non ha mancato di far notare che la conferenza di Berlino non ha
aiutato la riconciliazione tra libici e neppure quella tra gli
occidentali, al di là delle dichiarazioni positive rilasciate dai vari
leader presenti, dal francese Macron all’italiano Conte. Secondo Jalel
Harchaoui, ricercatore del Clingendael Institute intervistato dalla Agenzia Nova,
gli sponsor esteri di Haftar hanno fatto di tutto per evitare che a
Berlino venisse firmato un accordo per un vero cessate il fuoco in
Libia.
Hanno agito, sostiene, affinché non ci sia alcun ostacolo alla
guerra. «Adesso Haftar è a pochi metri dal traguardo ma se si fa la pace
perde e loro vogliono che lui vinca», spiega. Il più grande ostacolo
alla fine del conflitto in Libia, afferma Harchaoui, è la totale
impunità per chi vi partecipa. «Se si vuole risolvere la crisi – avverte
– bisogna avviare un meccanismo in grado di introdurre misure
spiacevoli per chi viola le regole e le risoluzioni». Ma ciò non
avverrà. E non è di aiuto l’atteggiamento ambiguo dell’Unione europea
indicato dall’intenzione di far rivivere l’Operazione Sophia annunciata
da Josep Borrell. L’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue,
la vorrebbe orientata al controllo dei flussi illegali di armi verso la
Libia. Ma quella missione era e resterà rivolta al controllo dei flussi
migratori e ben poco al traffico di armi.
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