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23/01/2020

Libano - Il governo a Hezbollah, con tutte le incognite del caso

È in arrivo il primo test politico importante sugli equilibri stabilitisi in Medio-Oriente dopo l’uccisione del generale Qassem Soleimani e tutta la catena di eventi successivi.

In Libano, infatti, paese sull’orlo della bancarotta e tradizionale punto di “scarico” di tutte le tensioni regionali, si è formato, dopo 3 mesi di vuoto, il nuovo governo, guidato dall’accademico Hassan Diab; si tratta di un esecutivo composto da esponenti dell’”Alleanza 8 marzo”, a guida Hezbollah, che aveva proposto e votato da sola il conferimento dell’incarico a Diab, e da tecnocrati della medesima area. La coalizione 12 marzo, che da 15 anni garantisce gli interessi dell’Arabia Saudita e delle potenze imperialiste, ne è rimasta fuori.

I manifestanti della cosiddetta “rivoluzione del 16 ottobre”, sulla cui articolazione interna ci si è soffermati in precedenza, hanno respinto questo nuovo governo in quanto non espressione delle proprie richieste, facendo ricomparire i blocchi stradali che sono ormai “pane quotidiano” da quel 16 ottobre 2019; tuttavia non hanno più la forza di paralizzare il paese e devono fronteggiare un incremento del livello di repressione, in special modo quando mettono nel mirino le banche, cosa che avviene soprattutto su impulso delle organizzazioni comuniste e progressiste.

Ciononostante, il neo Primo Ministro ha avuto parole molto concilianti, addirittura esaltatorie nei confronti delle piazze, e si è presentando come favorevole alle rivendicazioni di scardinamento del sistema di potere familistico e settario-religioso che attanaglia il Libano sin dall’indipendenza. Ossia quell’assetto che negli anni successivi alla guerra civile si è rivelato un buco nero, in cui sono spariti milioni e milioni di dollari di prestiti provenienti dall’estero, mentre le finanze pubbliche sprofondavano progressivamente nei debiti e lo “stato sociale” praticamente non è mai stato costruito.

Più recentemente, l’immigrazione di un milione e mezzo di profughi siriani e l’inasprimento delle sanzioni internazionali sulle fonti di finanziamento di Hezbollah hanno fatto il resto.

Da verificare ora le reazioni delle potenze straniere, che costituiranno un test rispetto ai nuovi equilibri in Medio Oriente.

USA, Francia e Arabia Saudita hanno sempre sostenuto che non avrebbero mai accettato un governo a trazione Hezbollah, come sicuramente verrà giudicato quello appena formato, nonostante il movimento di Resistenza Sciita abbia optato per farsi attribuire direttamente pochi Ministeri, tutti poco esposti con l’estero, esattamente come faceva nei precedenti governi di “unità nazionale”.

L’opzione più “aggressiva” è un esplicito non riconoscimento del nuovo governo in quanto espressione di un’organizzazione “terrorista” come Hezbollah (la cui leadership è in mano ad una figura – Hassan Nasrallah – non meno influente e ostile ai paesi imperialisti di quanto non lo fosse lo scomparso Qassem Soleimani). Il che implicherebbe l’inizio di un tentativo violento di destabilizzazione e rovesciamento.

Tuttavia, al momento, i falchi dell’amministrazione statunitense e Israele si troverebbero piuttosto isolati su questa linea, in quanto, fra i paesi arabi alleati, anche l’Arabia Saudita – dopo i fallimenti della politica aggressiva portata avanti negli scorsi anni in Siria, Yemen e tutta l’area – pare aver abbassato un po’ la cresta e sotto traccia lancia segnali distensivi nei confronti dell’Iran e di raffreddamento nei confronti di Israele.

L’opzione più probabile e furba, invece, è lo strangolamento economico: la Francia e l’Arabia Saudita hanno promesso prestiti al Libano, subordinati però a precise misure economiche da prendere; allo stato attuale, se non vi saranno svolte strategiche nella politica economica, tali prestiti risultano necessari al Libano per evitare la bancarotta. Più in generale, data la preminenza delle attività bancarie nell’economia, il Libano non potrebbe permettersi altre sanzioni economiche che facciano diminuire ulteriormente la disponibilità di dollari negli istituti di credito, provocando una svalutazione ulteriore della moneta nazionale.

Da segnalare che, durante i giorni topici delle proteste, le banche hanno più volte chiuso i battenti per mancanza di liquidità.

Qui, ovviamente, sta la sfida più impervia per il nuovo Governo e per Hezbollah. I quali, con ogni probabilità, saranno messi di fronte, al di là della loro volontà, all’indisponibilità di prestiti esterni, quindi alla necessità di determinare una svolta reale nel reperire e distribuire le risorse. Se e in che misura saranno in grado di affrontare tale sfida, confrontandosi anche con i sommovimenti di piazza in corso, determinerà molto dei futuri equilibri, non solo interni, ma in tutto il Medio-Oriente.

Una nuova fase potrebbe essersi aperta per il Libano, diversa rispetto ai vuoti periodici e all’immobilismo dei passati governi di unità nazionale, composti da entità nemiche fra di loro. Una fase che solleciterà in maniera inedita Hezbollah rispetto alla gestione del potere centrale, impedendo al movimento sciita di potersi focalizzare soltanto sulla Resistenza nei confronti di Israele e dei paesi arabi reazionari.

Per il momento dobbiamo registrare che, secondo il Partito Comunista Libanese, non bisogna riporre alcuna fiducia nei confronti del nuovo esecutivo, quindi le sue attività nelle piazze continueranno. Da segnalare che i comunisti e le altre organizzazioni progressiste stanno avendo un buon riscontro (seppur minoritario rispetto alla massa dei manifestanti) nelle loro azioni, per lo più rivolte contro le banche e anche contro le interferenze straniere, e si confrontano con una repressione ben più continua e feroce rispetto alle azioni di piazza in cui altri sono egemoni.

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