Quasi 35 anni fa nell’aprile 1986 il bombardamento di
Tripoli da parte degli Usa trovò un preciso atteggiamento da parte
dell’Urss:
le navi sovietiche dislocate nel Mediterraneo si tennero il più
possibile lontano dalla zona delle manovre militari. Qualcosa di simile è
accaduto durante la prima guerra del golfo (1990) e la seconda (2003).
Oggi la Russia ha da tempo inviato in Cirenaica i contractor della famosa agenzia Wagner,
vere truppe speciali privatizzate, supporta la logistica militare
dell’esercito di Haftar, impone Mosca come capitale diplomatica delle
trattative sulla Libia e gli Usa si tengono più lontano possibile.
È
evidente che, da tempo, gli Usa stanno tenendo, globalmente, una
strategia che li allontana dall’intervento militare diretto – almeno
quello con le truppe sul campo – concentrandosi sulla supremazia
militare nell’aria, quella tecnologica e quella finanziaria (vedi
attacco alla Lira turca due anni fa...) come mezzo di risoluzione delle
controversie a proprio favore. Questo comporta una occupazione del terreno da parte delle potenze che trovano ancora conveniente l’invasione sul campo,
nel Mediterraneo, per esercitare egemonia sulla produzione e sulla
circolazione delle materie prime.
Negli ultimi anni, non senza qualche
significativa frizione, Russia e Turchia questo campo se lo sono
allargato: dalla Siria al terreno, se l’accordo di Mosca sulla tregua
viene chiuso, della Libia magari divisa di nuovo in Tripolitania e
Cirenaica. E l’Europa, l’Italia? Esprimono le stesse
esigenze degli Usa – per esigenze Nato ma anche economiche – senza la
capacità americana di far valere la supremazia tecnologica e finanziaria
nella definizione delle controversie.
E in Europa solo la Germania è in
grado davvero di trovarsi sia una ruolo presso la Russia sia una
capacità di coordinamento degli altri paesi Ue. Resta l’Italia,
spiazzata dal disimpegno Usa, lo stesso paese capofila dei bombardamenti
contro la Libia del 2011, logorata dalla concorrenza francese ma anche
con importanti interessi in Libia. L’Italia ha infatti un ruolo
fondamentale nell’estrazione ed esportazione di idrocarburi (gas e
petrolio): un settore di grandissima importanza per l’economia libica.
Per comprendere a pieno la centralità degli idrocarburi per Tripoli
basta citare due dati: ovvero il 70% del PIL nazionale e il 95%
dell’export libico che si basano su questa industria. Inoltre, la
rendita che deriva dal settore degli idrocarburi rappresenta circa il
90% delle entrate statali, ed è utilizzata dal governo libico per
consolidare il consenso interno. L’importanza dell’Italia è legata alla presenza di ENI nel processo di estrazione ed esportazione del petrolio e del gas.
Per quanto riguarda l’estrazione, ENI è il principale produttore
internazionale in Libia. Per quanto riguarda l’esportazione, una parte
consistente degli idrocarburi libici raggiunge il nostro paese.
L’esempio più significativo del legame tra Italia e Libia è quello del
gas di Wafa e Bahr Essalam, che viene trasportato attraverso il gasdotto
Greenstream fino al terminale di Gela in Sicilia. Se L’Eni non mantiene
questo ruolo le conseguenze si faranno sentire sia in bolletta sia a
livello di Pil. A differenza del passato però l’interlocutore importante
per l’Eni non passa più da Washington ma tra Mosca e Ankara. E i
cambiamenti in corso sono irreversibili.
Presentiamo di seguito due articoli in
materia dei quali non condividiamo diversi aspetti ma che sono utili come
fonti.
Conte ad Ankara cerca un ruolo nella crisi libica ma ora decide Mosca (Formiche.net)
Il cessate il fuoco si firma a Mosca: il trionfo di Putin e Erdogan (Analisi difesa)
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento