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31/01/2020

Aria nuova nel Mediterraneo: dall’egemonia americana a quella russa

Quasi 35 anni fa nell’aprile 1986 il bombardamento di Tripoli da parte degli Usa trovò un preciso atteggiamento da parte dell’Urss:
le navi sovietiche dislocate nel Mediterraneo si tennero il più possibile lontano dalla zona delle manovre militari. Qualcosa di simile è accaduto durante la prima guerra del golfo (1990) e la seconda (2003).

Oggi la Russia ha da tempo inviato in Cirenaica i contractor della famosa agenzia Wagner, vere truppe speciali privatizzate, supporta la logistica militare dell’esercito di Haftar, impone Mosca come capitale diplomatica delle trattative sulla Libia e gli Usa si tengono più lontano possibile.

È evidente che, da tempo, gli Usa stanno tenendo, globalmente, una strategia che li allontana dall’intervento militare diretto – almeno quello con le truppe sul campo – concentrandosi sulla supremazia militare nell’aria, quella tecnologica e quella finanziaria (vedi attacco alla Lira turca due anni fa...) come mezzo di risoluzione delle controversie a proprio favore. Questo comporta una occupazione del terreno da parte delle potenze che trovano ancora conveniente l’invasione sul campo, nel Mediterraneo, per esercitare egemonia sulla produzione e sulla circolazione delle materie prime.

Negli ultimi anni, non senza qualche significativa frizione, Russia e Turchia questo campo se lo sono allargato: dalla Siria al terreno, se l’accordo di Mosca sulla tregua viene chiuso, della Libia magari divisa di nuovo in Tripolitania e Cirenaica. E l’Europa, l’Italia? Esprimono le stesse esigenze degli Usa – per esigenze Nato ma anche economiche – senza la capacità americana di far valere la supremazia tecnologica e finanziaria nella definizione delle controversie.

E in Europa solo la Germania è in grado davvero di trovarsi sia una ruolo presso la Russia sia una capacità di coordinamento degli altri paesi Ue. Resta l’Italia, spiazzata dal disimpegno Usa, lo stesso paese capofila dei bombardamenti contro la Libia del 2011, logorata dalla concorrenza francese ma anche con importanti interessi in Libia. L’Italia ha infatti un ruolo fondamentale nell’estrazione ed esportazione di idrocarburi (gas e petrolio): un settore di grandissima importanza per l’economia libica.

Per comprendere a pieno la centralità degli idrocarburi per Tripoli basta citare due dati: ovvero il 70% del PIL nazionale e il 95% dell’export libico che si basano su questa industria. Inoltre, la rendita che deriva dal settore degli idrocarburi rappresenta circa il 90% delle entrate statali, ed è utilizzata dal governo libico per consolidare il consenso interno. L’importanza dell’Italia è legata alla presenza di ENI nel processo di estrazione ed esportazione del petrolio e del gas.

Per quanto riguarda l’estrazione, ENI è il principale produttore internazionale in Libia. Per quanto riguarda l’esportazione, una parte consistente degli idrocarburi libici raggiunge il nostro paese. L’esempio più significativo del legame tra Italia e Libia è quello del gas di Wafa e Bahr Essalam, che viene trasportato attraverso il gasdotto Greenstream fino al terminale di Gela in Sicilia. Se L’Eni non mantiene questo ruolo le conseguenze si faranno sentire sia in bolletta sia a livello di Pil. A differenza del passato però l’interlocutore importante per l’Eni non passa più da Washington ma tra Mosca e Ankara. E i cambiamenti in corso sono irreversibili.

Presentiamo di seguito due articoli in materia dei quali non condividiamo diversi aspetti ma che sono utili come fonti.

Conte ad Ankara cerca un ruolo nella crisi libica ma ora decide Mosca (Formiche.net)

Il cessate il fuoco si firma a Mosca: il trionfo di Putin e Erdogan (Analisi difesa)

Fonte

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