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26/01/2020

Libano – Far fuori gli Hezbollah con una guerra finanziaria

di Alberto Negri - Quotidiano del Sud

Le guerre finanziarie per la destabilizzazione potrebbero rivelarsi più efficaci di quelle condotte in questi anni sul terreno contro Teheran e i suoi amici. Beirut è diventata il laboratorio di questa nuova strategia.

A chi serve il fallimento del Libano e perché si vuole che fallisca? In un contesto di grave crisi economica la popolazione libanese dall’autunno scorso invade le strade per esigere riforme radicali insieme alla fine del clientelismo e della corruzione delle élite politiche. Il Libano sta rischiando la bancarotta per la stagnazione economica e la crisi di valuta estera. Neppure la formazione di un nuovo governo guidato dal premier Hassan Diab, personaggio per altro controverso, sembra avere calmato le proteste.

In realtà il Libano è da tempo sull’orlo del collasso. Un Paese di gente ricca – con l’uno per cento della popolazione che detiene il 40% della ricchezza – dove il debito dello stato rappresenta il 150 per cento del Pil. Il servizio del debito, il pagamento degli interessi, raggiunge i 4 miliardi di dollari l’anno, una cifra enorme per un Paese di 3,5 milioni. La valuta estera scarseggia sempre di più e gli investimenti stranieri non bastano a tenere a galla il sistema: i fondi escono ormai più velocemente di quanto entrino. Per evitare la fuga di contanti, i prelievi bancari sono stati limitati a 200 dollari la settimana.

Le politiche di austerità per ora sono fallite e Trump ha anche inasprito le sanzioni contro le banche libanesi sospettate di avere rapporti con Hezbollah, il partito e movimento sciita libanese alleato con l’Iran. Soltanto che colpire Hezbollah significa anche minare una buona parte dell’economica libanese imperniata sul sistema bancario. I principali istituti finanziari del Paese detengono il 40 per cento del debito pubblico. Fu una scelta del primo ministro Rafic Hariri – assassinato nel 2005 – per finanziare la ricostruzione dopo la guerra civile attraverso l’indebitamento dello stato con le banche – diverse di proprietà di uomini politici – che in cambio beneficiarono di elevati tassi di interesse.

In poche parole o si fanno fallire le banche, perché lo Stato non è più in grado di ripagare gli interessi sui debiti, oppure si adotta un piano di salvataggio del Fondo monetario con altre politiche di austerità ancora più severe che verranno ovviamente accolte con rabbia dalla popolazione.

Ma c’è una terza strada. Far scivolare il sistema libanese sull’orlo del collasso e poi “salvarlo” con l’apporto dei capitali sauditi e delle monarchie del Golfo che si oppongono all’Iran. In questo modo si raggiunge il vero obiettivo politico della destabilizzazione in corso in Libano: far fuori gli Hezbollah alleati dell’Iran emarginandoli, fin dove è possibile, dal circuito economico. Il piano Usa per il Medio Oriente è eliminare un anello dopo l’altro della “Mezzaluna sciita”: ci hanno provato in Siria con la guerra jihadista contro Assaad, ci stanno provando in Iraq, dove gli americani hanno assassinato il generale iraniano Qassem Soleimani e ora si parla persino di colpo di stato.

Il Libano è in cima alla lista dei candidati alla destabilizzazione. Le guerre economiche e finanziarie qui potrebbero rivelarsi più efficaci di quelle condotte in questi anni sul terreno contro Teheran e i suoi amici. Beirut è diventata il laboratorio di questa nuova strategia.

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