Siamo in democrazia, no? E la prima democrazia del mondo è quella americana, vero? E la prima libertà democratica è quella di parola, giusto?
Beh, ci sono novità. E pure rilevanti: se vuoi pubblicare un libro che rivela qualcosa sui tuoi pessimi rapporti con il presidente degli Stati Uniti ti può arrivare un divieto formale. Anche – o forse soprattutto – se sei stato il suo consigliere per la sicurezza nazionale e il peggiore dei reazionari che siano entrati per lavoro alla Casa Bianca.
Chiaro che con quell’incarico qualche limite te lo devi porre da solo, o comunque devi sottoporre il testo all’approvazione dei nuovi-vecchi addetti alla “sicurezza nazionale” perché – anche in democrazia – non è che puoi spiattellare i segreti di Stato dopo appena qualche mese (anziché i soliti 30 anni, minimo).
Però in questo caso le cose stanno molto diversamente.
La Casa Bianca ha vietato all’ex consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, di pubblicare il suo libro di memorie, perché contiene informazioni classificate, top secret. Fin qui sarebbe tutto normale, se non fosse che lo stesso John Bolton è stato richiesto come testimone nella procedura di impeachment contro lo stesso Trump. E non per riferire “segreti di Stato”, ma più banalmente per raccontare se è vero o no che il presidente avesse sospeso gli aiuti militari all’Ucraina fin quando il suo neoeletto presidente, Zeleznij, non avesse accettato di far indagare dalla magistratura di Kiev il figlio di Joe Biden. Ossia di uno dei più forti candidati democratici nelle ormai prossime elezioni presidenziali (si vota in novembre).
Che lo stop al libro di Bolton arrivi per questa ragione e non per i “top secret” violati è insomma qualcosa più che un sospetto. Anche perché l’ex consigliere per la sicurezza non è un quaquaraqua qualsiasi pescato in qualche università di provincia, ma uno dei leader neocon da almeno 30 anni a questa parte. Insomma, un super-falco che – in teoria – dovrebbe essere disposto a farsi fucilare piuttosto che fare un danno agli States.
E Trump lo sa benissimo, visto che proprio su questo punto – poche ore prima dell’annuncio del veto al libro – ha sparato i suoi tweet contro Bolton: “Se l’avessi ascoltato, saremmo alla Sesta Guerra Mondiale”.
La censura preventiva, comunque, non blocca il pressing “democratico” al Congresso, dove comunque la sua testimonianza viene richiesta con ancora più decisione.
L’ex consigliere, un tempo considerato un “falco” dell’amministrazione, è poi entrato in rotta di collisione con il presidente sulla questione Iran fino alle dimissioni, improvvise, a inizio settembre.
Si voterà venerdì sull’eventuale testimonianza di Bolton. Ma intanto il Consiglio per la sicurezza nazionale – che valuta questo come tutti i libri a firma di ex dipendenti della struttura – ha riferito che il suo libro, in uscita imminente, dal titolo The Room Where It Happened: A White House Memoir, contiene “significativa quantità di materiale classificato e top secret”.
Ovviamente senza specificare di quali argomenti si tratti.
Nel libro, Bolton sostiene che Trump gli avrebbe detto, nell’agosto scorso, di voler legare il blocco dei fondi per la sicurezza destinati all’Ucraina all’avvio di un’indagine della procura speciale di Kiev nei confronti di Hillary Clinton e Joe Biden.
Ma non nutrite strani sogni: i conservatori “blinderanno” Trump perché non possono fare altro. Il libro di Bolton uscirà in versione “purgata” ad elezioni avvenute (magari con qualche succosa e ben pagata “anticipazione” giornalistica. E dunque tutta questa storia dell’impeachment finirà in una bolla di retorica utile – in versione ovviamente opposta – ad entrambi gli schieramenti elettorali Usa.
Con buona pace dei princìpi della democrazia descritti dagli enciclopedisti.
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