I fenomeni politici possono essere
pensati e analizzati su due piani logici diversi. Il primo, quello più
facile e confortevole, è quello ideale, astratto, un piano in cui si può
ricorrere senza problemi a enunciazioni di principio e al ragionamento
puro. Il secondo, quello più complicato, cerca invece di calare il
ragionamento nella realtà e nel contesto in cui l’attività politica si
esercita. Il primo consente ragionamenti più soddisfacenti e
internamenti coerenti. Il secondo è l’unico che permette di interrogarsi
concretamente su come è possibile provare a modificare la realtà in cui
siamo immersi.
Dal 9 gennaio è in carica, in Spagna, un
nuovo Governo, supportato da una coalizione formata dal PSOE
(centro-sinistra, afferente al Partito Socialista Europeo) e Podemos
(sinistra radicale, per quello che questo termine può valere). Sarebbe
molto semplice, ed anche un po’ banale, provare a commentare questo
evento mantenendosi sul primo piano di analisi, ma non sarebbe altro che
un inutile esercizio intellettuale. Da più parti definito come il
Governo più di sinistra d'Europa l’esecutivo guidato da Pedro Sanchez
pone infatti sul tavolo una serie di interrogativi ineludibili per chi
ha come orizzonte politico l’emancipazione delle classi popolari. Ci
vogliamo soffermare, in particolare, su due aspetti.
1) Cosa si può fare, realmente, all’interno della gabbia imposta dall’austerità europea?
L’accordo di Governo, firmato da Pedro Sanchez e Pablo Iglesias, leader
di Podemos, contiene una corposa serie di misure edificanti, su cui molto è stato scritto. Se però si ha la pazienza di arrivare fino a pagina 45 dell’accordo di coalizione, la realtà torna prepotentemente ad affacciarsi: rispetto dei meccanismi di disciplina fiscale per garantire la sostenibilità dei conti pubblici. Svilupperemo una politica fiscale che garantisca la stabilità di bilancio e la riduzione del deficit e del debito pubblico, in una maniera compatibile con la crescita economica e la creazione di occupazione.
Poche righe che sintetizzano in maniera efficacissima in cosa si
estrinsechi l’austerità imposta dai Trattati europei e che pretendono di
celare sotto il tappeto una contraddizione logica fondamentale: in un
Paese dove, a fine 2018, il tasso di disoccupazione era pari al 15.3 % e
il tasso di disoccupazione giovanile ammontava al 34.3%, la creazione
di occupazione non può essere compatibile con riduzione di deficit e debito pubblico.
Ridurre il debito pubblico significa tagliare la spesa e tagliare la
spesa vuol dire deprimere l’attività economica. È un dato di fatto che,
nell’attuale cornice istituzionale, ogni tentativo di sgarrare, anche
solo minimamente, anche solo per finta,
dal sentiero soffocante che i vincoli di bilancio europei impongono
espone alla tempesta della speculazione finanziaria. L’architettura
europea, lungi dall’essere mal congegnata, ha creato infatti un meccanismo di disciplina che funziona in maniera sostanzialmente automatica
e che ha il potenziale di imporre punizioni rapide, impersonali e
dolorosissime a chi provasse a forzarne i vincoli. È questa una
motivazione sufficiente per non provare neanche a immaginare una
alternativa, una via d’uscita da una trappola costruita per esercitare
il controllo e istituzionalizzare lo sfruttamento delle classi popolari?
Questo ci porta direttamente alla seconda domanda fondamentale.
2) Quale ruolo, e quale utilità, ha oggi la sinistra di classe?
Cosa può fare, concretamente, a maggior ragione in un contesto come
quello spagnolo, dove Podemos si trova a metà del guado: non in grado di
vincere le elezioni da soli, ma anche distanti dall’impalpabilità
elettorale che permette il grado massimo di purezza astratta. Chiudersi
nella torre d’avorio vuol dire rinunciare a praticare ed esercitare il
potere, vuol dire rinunciare a provare a migliorare le condizioni
materiali di vita delle fasce meno abbienti della popolazione, vuol dire
lasciare agli ‘altri’ la partita. Se questo è vero, è altrettanto vero
che un pericolo di uguale portata è rappresentato dal non chiudersi
nella torre d’avorio e governare come gli ‘altri’. Fare lo Tsipras di
turno è la maniera migliore per garantire una rapida restaurazione e
diffondere nei ceti popolari la percezione di impossibilità, di
irrealizzabilità, lo sconforto per una realtà che appare immutabile.
Esiste un’alternativa? Questa è la domanda che incombe sul nuovo Governo
spagnolo, una domanda alla quale Podemos risponde di sì. Le premesse
però non inducono a ottimismo. Il caso del vicino Portogallo
del resto sembra mostrare con chiarezza quale sia lo scenario più
ottimistico cui una sinistra di classe può aspirare in una compagine
governativa composita che si pone l’obiettivo di praticare una politica
di crescita economica e riduzione della disoccupazione rimanendo
ingabbiati dentro i vincoli dell’austerità fiscale e della libera
circolazione dei capitali. All’interno della gabbia europea la strada
per la riduzione della disoccupazione è passata spesso sul mantenimento
di sacche di lavoro precario e sotto-pagato, cercando di cavalcare
ondate di breve periodo di crescita trainata dall’export o da fenomeni
non strutturali quali turismo ed edilizia.
Il caso spagnolo, analogamente a quello portoghese, ci pone allora una riflessione molto profonda.
L’esistente, senza dubbio, va governato
per poter essere cambiato e sfuggire a questa responsabilità
significherebbe condannarsi all’irrilevanza parolaia. Tuttavia la nostra
area politica e culturale pare avere abbandonato, ormai da più di
trent’anni, quel necessario complemento senza il quale il governo
dell’esistente diviene la semplice affermazione dello status quo:
immaginare e concretamente perseguire la costruzione di un sistema
economico e sociale radicalmente diverso e ribaltato a partire dalle sue
fondamenta rispetto a quello che è basato sullo sfruttamento e che
oggi, in questa parte di mondo, si esprime concretamente nell’Unione Europea,
le sue istituzioni e la sua costituzione materiale. Uno sforzo che
impone come primo passo la messa in discussione del contesto
istituzionale e materiale che rende a priori inefficace ed effimera ogni
istanza di cambiamento. Continuare a rifuggire da questo ci
costringerà, ciclicamente, a riproporci le stesse domande e a finire,
come criceti dentro la ruota, ad esercitare uno sforzo massimo solo per
rimanere al punto di partenza.
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