Nella nota di aggiornamento al Def e nel testo definitivo del bilancio è stato confermato il cosiddetto taglio del cuneo fiscale, misura che decorrerà a partire dal luglio del 2020. Il Consiglio dei Ministri solo pochi giorni fa ha approvato il decreto legge che prevede l’applicazione dell’intervento che avrà per il solo 2020, un costo di 2,947 miliardi e di 596,3 milioni per il trascinamento degli oneri nel 2021.
Il cuneo fiscale, la cui riduzione è spesso sciorinata in tv come la panacea di tutti i mali economici, non è altro che è un valore percentuale che indica il rapporto tra tutte le imposte sul lavoro e il costo del lavoro complessivo. Semplificando, il concetto potrebbe esplicarsi come la differenza tra il salario lordo e il salario netto ricevuto dal lavoratore.
Già nel recente passato si era agito sul cuneo fiscale con l’ art. 1 del D.L. n. 66/2014, che aveva introdotto il cosiddetto bonus “Renzi” da 80 euro.
Nella previsione originaria, i beneficiari del bonus erano coloro che percepivano un reddito da lavoro dipendente e/o redditi assimilati (es. compensi percepiti da lavoratori soci delle cooperative, remunerazione dei sacerdoti, compensi per lavoratori socialmente utili, ecc). Il bonus Irpef non spettava a chi avesse un reddito inferiore o uguale a € 8.000 euro (ossia a chi ne avrebbe avuto ancora più necessità), perché sotto quella soglia non si paga l'“imposta sulle persone fisiche”.
Il bonus veniva invece erogato in misura pari a 80 euro mensili, raggiungendo quindi nell’anno l’importo di € 960, per i dipendenti con reddito compreso fra gli 8.000 e i 24.000 euro. Il bonus diminuiva poi al crescere del reddito nella fascia compresa tra i 24.000 e i 26.000 euro, per poi annullarsi oltre tale soglia. (I limiti sono stati poi innalzati nel corso degli anni fino ad arrivare a una soglia minima di 8.174 euro e una massima di 26.600 euro per la sua percezione, nda).
Per il riferimento della fascia di reddito si teneva conto non del reddito da lavoro dipendente, ma del reddito lordo complessivo.
L’attuale misura estende la platea dei beneficiari della misura, aumentandone le soglie reddituali:
- coloro che già percepiscono il “bonus 80 euro”, cioè chi guadagna tra 8.200 e 24.600 euro lordi annui, avranno diritto ad un ulteriore riduzione delle imposte di 240 euro l’anno;
- coloro che ad oggi non percepivano il “bonus 80 euro”, o lo ricevevano solo parzialmente, cioè coloro che percepisce tra i 24.600 e i 28.000 euro, avranno diritto ad un beneficio mensile fino a 100 euro;
- chi guadagna tra i 28.000 e i 35.000 euro avrà una riduzione delle tasse di almeno 80 euro.
Infine, chi ha una retribuzione annua tra i 35.000 e i 40.000 euro potrà usufruire di una detrazione che si abbassa gradualmente fino ad azzerarsi. Più specificatamente, per i redditi fino a 36.000, l’aumento in busta paga ammonterebbe a 64 euro, per quelli fino a 37.000 si riduce a 48 euro, mentre per quelli sotto i 38.000 si riceveranno circa 32 euro in più al mese. Si arriva così al minimo percepito: i lavoratori dipendenti con redditi fino a 39.000 avranno 16 euro in più mensili in busta paga, fino ad arrivare all’azzeramento nel caso di redditi da 40.000 euro annui.
La misura agisce dunque come un bonus fiscale andando a decurtare le trattenute Irpef e dunque incrementando il netto in buste paga dei lavoratori dipendenti, senza però incidere ovviamente, sulla contribuzione previdenziale. Interessati sarebbero circa 16 milioni di lavoratori di cui almeno 4,3 milioni finora esclusi dal beneficio.
“Un primo intervento concreto nel segno della crescita e dell’equità che costituirà la base di una più ampia riforma del sistema fiscale”, ha commentato il Ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri.
L’intervento che ha ricevuto il plauso dei sindacati maggiori continua però a escludere dall’agevolazione la categoria dei pensionati, indipendentemente dal reddito.
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