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27/01/2020

Fu l’Esercito Rosso Operaio-Contadino a liberare Auschwitz, 75 anni fa


Il mondo ricorda oggi il 75° anniversario della liberazione di Auschwitz. Il campo di sterminio venne liberato dai soldati del 472° reggimento della 100° divisione della 60° Armata del 1° Fronte Ucraino, nel corso dell’operazione “Vistola-Oder”, iniziata nell’autunno 1944. Dopo la sosta forzata a dicembre, necessaria alle truppe sovietiche per riorganizzare le linee ormai troppo allungate, la ripresa delle operazioni era fissata per fine gennaio.

Ancora una volta, però – era già successo nell’estate ’44, allorché a ovest gli anglo-americani rischiavano di esser ributtati in mare e Mosca aveva lanciato l’offensiva “Bagration” su Bielorussia, Polonia orientale e Paesi baltici – viste le preghiere di Churchill di alleggerire la pressione sugli alleati inchiodati nelle Ardenne, Stalin anticipò l’inizio dell’offensiva al 12 gennaio.

Già il 17 gennaio fu liberata Varsavia; il 24-25 gennaio venne liberato il campo di lavoro di Monowitz (Auschwitz III), il 26-27 gennaio la cittadina di Oświęcim (in tedesco Auschwitz) e il 26 la cittadina di Brzezinka, o Birkenau (Auschwitz II) e infine, il 27 gennaio, fu la volta di Auschwitz I.

Dal 2005, con risoluzione ONU, la Giornata della memoria del 27 gennaio è chiamata a ricordare le vittime dell’Olocausto. Auschwitz-Birkenau è il simbolo della bestialità nazista; il simbolo dello sterminio pianificato di tutti i “nemici del Reich”: ebrei, comunisti, rom, oppositori del nazismo.

Nel 1942, abbandonata l’idea hitleriana, cara alla leadership polacca di allora, di deportare tutti gli ebrei europei in Palestina, per non inimicarsi il Mufti di Gerusalemme, o in Madagascar, perché praticamente non più accessibile, nel corso della riunione a Wannsee (vi parteciparono una quindicina di gerarchi nazisti di RSHA, RuSHA, SD, Gestapo: da Heydrich a Eichmann, Freisler, Müller e altri) furono programmati metodi, mezzi, modi e tempi della eliminazione totale degli 11 milioni di ebrei europei, 5 milioni dei quali nella sola Unione Sovietica.

Sembra abbastanza palese il nesso tra moderne alleanze geopolitiche, la riscrittura della Storia e la scelta di celebrare la liberazione proprio di Auschwitz, facendone il lager simbolo della Shoah – e quindi dell’Olocausto del popolo ebraico, anche se nei suoi crematori finirono persone delle più diverse nazionalità, ideologie politiche, religioni.

Così come è manifesto che le urla odierne più sguaiate, volte a coprire la voce di chi ricorda il colore delle bandiere che liberarono quei lager, provengano proprio dalle regioni che più diedero man forte ai nazisti nello sterminio non solo degli ebrei, ma anche della popolazione civile residente in aree multietniche, quando questa era di nazionalità diversa da quella degli aguzzini.

Troppo spesso si dimentica, o si passa volutamente sotto silenzio, che la popolazione di religione ebraica finita nei lager proveniva non solo da Paesi oggi autodefinitisi “modello di democrazia liberale”, ma in grandissima maggioranza da Stati in cui Wehrmacht, SS tedesche, volontari SS da quasi tutti i Paesi europei-occidentali, polizei reclutati tra i nazisti locali, divisioni SS ucraine e baltiche, condussero non una drôle de guerre, non una “strana guerra”, bensì una guerra di sterminio totale, volta a liberare a est il famigerato Lebensraum per la razza superiore, lasciando in vita solo quel minimo di Untermenschen necessari al lavoro schiavistico.

Troppo spesso si dimentica che, ad esempio un terzo della popolazione bielorussa morì o fu sterminato durante l’occupazione nazista; che milioni di cittadini sovietici (le sole vittime civili sovietiche sono stimate tra i 12 e i 15 milioni) non arrivarono nemmeno ai campi di sterminio, ma furono uccisi direttamente nei villaggi: spesso radunati a centinaia e rinchiusi nei granai o nelle stalle date alle fiamme.

Troppo spesso si tace che le truppe hitleriane avessero l’ordine di eliminare, non appena fatti prigionieri, non solo i militari sovietici di religione ebraica, ma in primo luogo i commissari politici e chiunque nelle cui tasche venisse trovata la tessera del partito comunista dell’Urss – VKP(b).

In generale, quel che da anni si tende a tacere e a far dimenticare, è ovviamente il ruolo dell’Armata Rossa nella liberazione, in primo luogo proprio di Auschwitz, ma anche dei tanti altri campi di concentramento e di sterminio allestiti dai nazisti non solo in Polonia, ma anche nei Paesi baltici e nella stessa Germania.

Maksim Maksimov ricordava nei giorni scorsi come molti dei Paesi che oggi celebrano la Giornata della memoria, avessero a suo tempo respinto gli ebrei in fuga dalla Germania nazista; ricordava come nel 1940, dopo l’uscita nelle sale americane de Il grande dittatore, Charlie Chaplin fosse stato messo sotto stretto controllo dal Comitato per le attività anti-americane.

Si ha l’impressione, scriveva Maksimov, che fino al Processo di Norimberga, nel 1946, “l’Occidente non sapesse nulla della tragedia degli ebrei europei. Nessuno sapeva nulla di Babi jar, della Conferenza di Wannsee, della ‘decisione finale’. Ma nemmeno nel 1943”, dopo la Conferenza delle Bermuda, i paesi coinvolti, USA in testa, non aumentarono le quote di immigrazione per i rifugiati”.

D’altra parte, nelle camere a gas di Auschwitz e Birkenau, i nazisti usavano il “Zyklon B”, della Degussa, filiale della IG Farben, del trust IG Chemical, di proprietà di General Motors e della banca J.P.Morgan. Ma, oggi come 80 anni fa, nelle questioni di soldi, “non c’è ebreo che tenga”.

Aleksandr Djukov, della Fondazione russa “Memoria storica”, ricorda su rubaltic.ru come proprio Polonia e Lettonia, che strepitano per esser “compensate” per la presunta “occupazione sovietica”, non abbiano sino a oggi risolto, se non in minima parte, la questione della restituzione dei beni, individuali e collettivi, agli ebrei; in Lituania, dove la questione è stata risolta, in compenso si glorificano i polizei che presero parte al loro sterminio e si programma l’approvazione di una legge, simile a quella già esistente in Polonia, per punire chiunque accusi cittadini lituani di aver preso parte a pogròm anti-ebrei.

In prima fila, come sempre, la Polonia, primo Paese europeo, il 26 gennaio 1934, a concludere un Patto di non aggressione (e quasi sicuramente un accordo militare segreto) con il Terzo Reich. In un’intervista alla tedesca Bild, il leader del partito governativo “Diritto e Giustizia”, Jaroslav Kaczynski, pretende che “Mosca ammetta la responsabilità” per lo scoppio della Seconda guerra mondiale e “paghi le riparazioni” a Varsavia. Kaczynski parla anche del massacro di Katyn e, quasi istruito dalla lezione del “Giorno del ricordo”, che ogni anno moltiplica per decine di migliaia gli “infoibati sol perché itagliani”, addossa ovviamente al NKVD l’uccisione di “centinaia di migliaia di ufficiali polacchi”. Dunque, dato che la “Polonia è stata una vittima” e “i russi dei criminali”, non solo Berlino, ma anche Mosca devono secondo lui pagare le riparazioni sia per la Prima, che per la Seconda guerra mondiale.

Gli ha risposto indirettamente il Presidente della Commissione informazione del Senato russo, Aleksej Puškov: “Quali riparazioni e per quali danni?! Ammesso che qualcuno debba pagare, è semmai la Polonia, al nostro paese: per la liberazione da Hitler, che ci è costata 600.000 vite. E per il ripristino dell’economia polacca, distrutta dai tedeschi“.

Senza contare, si potrebbe aggiungere, per le decine di vittime nelle retrovie sovietiche, i feriti negli ospedali da campo dell’Armata Rossa, caduti sotto i colpi dell’Armia Krajowa dopo la liberazione della Polonia, anche nel 1945 e 1946.

Per inciso, nel 75° anniversario della liberazione di Auschwitz, sembra il caso di rendere il dovuto merito alle uscite cabarettistiche dell’Ucraina golpista e dei suoi difensori (quando non si accoltellano su questioni storico-territoriali) polacchi, secondo cui l’URSS non avrebbe avuto parte alcuna nella liberazione della Polonia e in particolare di Auschwitz, dato che, dicono loro, i soldati che aprirono i cancelli del lager facevano parte del 1° Fronte ucraino: dunque, erano ucraini!

Ora, non solo nei manuali di storia, ma persino nella pubblicistica più elementare, è spiegato che i “Fronti”, nella guerra anti-nazista condotta dall’Unione Sovietica, rappresentavano raggruppamenti strategici organizzati in una o più aree operative. Ad esempio, quello che nel 1943 diverrà il 1° Fronte ucraino, era fino ad allora denominato Fronte di Voronež; ma ogni bambino delle elementari sorriderebbe a dirgli che quel fronte era composto da abitanti di Voronež. Così, per tutti gli altri vari Fronti, costituiti, riorganizzati, trasformati, ridenominati nel corso della guerra: i Fronti di Leningrado, Stalingrado, Kalinin, Sud, Ovest, del Caucaso, della Steppa, ecc.

Tra l’altro, come ricorda addirittura la stessa Wikipedia, dal punto di vista delle truppe, un Fronte non ebbe mai una composizione permanente per un periodo più o meno lungo, a differenza dei comandi. Se all’inizio della guerra, i 5 Fronti furono sostanzialmente costituiti sulla forza dei distretti militari, i successivi 13 e poi fino a più di 40 Fronti (nuove riaggregazioni e ridenominazioni) vennero formati in base ai teatri operativi, con le truppe ritirate e trasferite dall’uno all’altro fronte o inviate alla riserva, ecc.

In ogni caso, nello specifico del 1° Fronte ucraino, di cui faceva parte, per dire, anche la 2° Armia Wojska Polskiego, i comandi a vari livelli, da marescialli – dopo l’uccisione di Nikolaj Vatutin da parte dei banderisti ucraini, il comando passò per pochi mesi a Georgij Žukhov e poi a Ivan Konev – a generali, colonnelli ecc., non vide mai una preminenza di ufficiali di origine ucraina; così, anche per le truppe.

Non un fantomatico “esercito ucraino”, dunque: fu l’Esercito Rosso che liberò il campo della morte di Auschwitz; liberò dall’occupazione nazista Cecoslovacchia, Balcani, Austria; liberò Berlino, Praga, e liberò persino Ucraina, Polonia, Paesi Baltici, per quanto molti di essi oggi se ne dolgano.

Esattamente un anno prima della liberazione di Auschwitz, il 27 gennaio 1944, l’Esercito Rosso era riuscito a rompere completamente l’assedio portato a Leningrado dalle truppe tedesche, italiane e finlandesi che, per 872 giorni, aveva causato tante vittime quante quelle di Amburgo, Dresda, Tokyo, Hiroshima e Nagasaki prese insieme: gli storici valutano tra 650.000 e 1,3 milioni di morti, il 90% dei quali per fame e freddo. Il 27 gennaio è dunque celebrato in Russia quale Giornata della gloria militare.

Gloria di quell’Esercito Rosso – Raboče-krestjanskaja Krasnaja Armija – di cui facevano parte anche le armate del 1° Fronte ucraino: ed esso era composto da soldati e ufficiali sovietici. Il resto è cabaret.

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