A parlare della “politica italiana” viene male. È come occuparsi di una pustola infetta dopo un ottimo pasto...
La notizia principale, che impegna le “migliori menti” del giornalismo italico, è l’ultima giravolta del presunto capo della Lega. Matteo Salvini, dopo aver in tutti i modi cercato di farsi proteggere dall’immunità parlamentare per la vicenda della nave Gregoretti (bloccata quattro giorni al largo, con alcuni migranti a bordo salvati dal naufragio), ha rovesciato completamente la linea di condotta ordinando – parole sue – ai senatori leghisti di votare invece a favore dell’autorizzazione a procedere.
La mossa, in sé un’idiozia, ha mandato fuori di testa Pd e giornali mainstream di supporto (Repubblica, Corriere, La7, Tg3, ecc).
Facciamo prima un po’ di “diradamento delle nebbie”, per capire di cosa si sta parlando.
La Giunta delle immunità di Palazzo Madama doveva votare sulla concessione o meno dell’autorizzazione alla magistratura di proseguire le indagini, ed eventualmente arrivare al processo, contro l’ex ministro dell’interno. Il presidente di questa giunta, al secolo Maurizio Gasparri (ex fascistissimo esponente dell’Msi ora divenuto fedelissimo di Berlusconi) aveva presentato una proposta di rigetto, per mettere al sicuro l’alleato-concorrente.
Sulla stessa convocazione di questa riunione c’era stato un feroce scontro che in tempi più seri sarebbe stato detto “istituzionale”, perché un’altra Giunta aveva deciso che la data giusta fosse il 20 gennaio – ieri – soltanto grazie al voto decisivo della Presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati. Per prassi consolidata in 75 anni, il Presidente del Senato non partecipa a votazioni per simili bazzeccole di calendario, ma...
Ma domenica 26 gennaio si vota in Emilia Romagna (e anche in Calabria, ma questo non interessa i nostri “eroi”), e Salvini aveva necessità di presentarsi agli elettori come vittima della “grande congiura” ordita da Pd e “toghe rosse”. Siccome il Pd (e i Cinque Stelle) preferivano che la vicenda dell’autorizzazione a procedere slittasse a dopo il voto, Salvini ha pensato bene di incontrarsi con la stessa Casellati affinché ci fosse almeno un voto simbolico che gli consentisse di giocare la parte della vittima.
Che la seconda carica dello Stato – dopo Sergio Mattarella – si presti a un giochino di così bassa lega dà la misura dell’inesistenza di qualsiasi “senso delle istituzioni”, tutte piegate alle peggiori esigenze della tattica elettorale.
I “democratici”, peraltro, non sono stati affatto migliori. Presi dal terrore di concedere a Salvini un argomento spendibile negli ultimi giorni di campagna elettorale hanno... “scelto l’Aventino”: non si sono presentati alla riunione della Giunta per le immunità, dove avrebbero avuto la maggioranza e quindi avrebbero potuto tranquillamente decidere se dare l’autorizzazione ai magistrati (e quindi “fare un favore elettorale” all’ex ministro dell’interno) oppure negarla (schierandosi “oggettivamente” a sua difesa). Qualsiasi decisione sarebbe stata sbagliata.
Erano sotto scacco, per propria stupidità incurabile, perché da quasi 30 anni – da quando è apparso sulla scena Berlusconi – sperano sia la magistratura a cavare il ragno dal buco, eliminando “il competitore” così come aveva fatto (su pressione statunitense evidente, dopo i “fatti di Sigonella”) con Bettino Craxi (che intanto viene “quasi riabilitato”).
Insomma: ognuno ha giocato la sua parte al contrario, ma è scontato che in questi casi sia il più disinvolto – istituzionalmente parlando – a vincere la partita.
Che non è affatto finita. Il voto della Giunta serve solo a presentare una proposta all’Aula parlamentare, perché solo il Senato al completo può decidere di far processare, oppure no, un suo membro.
Ma lì si voterà il 30, a elezioni emiliano-romagnole fatte e metabolizzate.
E il sistematico rovesciamento delle parti potrebbe costare caro al fascioleghista disinvolto, che ha già annunciato di voler far votare i suoi senatori proprio come in Giunta.
Comunque vada il voto nell’ex “regione rossa”, infatti, Salvini rischia davvero di finire a processo. Che vinca o che perda, Pd e Cinque Stelle potrebbero decidere – e di fatto sono costretti – di votare l’autorizzazione a procedere. A quel punto i loro voti si sommerebbero a quelli della Lega e la decisione dell’Aula non sarebbe più imputabile di essere una “vendetta politica” (se voti contro te stesso, di che ti lamenti?).
Perché abbiamo definito “un’idiozia” la mossa del capo leghista?
Perché, se si va al processo, i magistrati dovranno valutare esclusivamente se il blocco della Gregoretti in mare aperto fosse legittimo e legale oppure no.
Dovranno insomma occuparsi dei fatti, al contrario di quanto avvenuto nel chiacchiericcio isterico di questa ignobile “classe politica”. Dove nessuno – nessuno – ha avuto l’intelligenza di provare a bucare il palloncino della propaganda salviniana, da mesi inchiodata in una serie di frasi senza senso che riassumiamo con l’ultima, di ieri: “che si faccia questo processo politico a chi ha difeso la sicurezza, i confini e l’onore di questo Paese“.
Il “caso Gregoretti” è infatti decisamente un’altra cosa. Quella nave era ed è una nave militare italiana. Un pezzo dello Stato di questo Paese, non un naviglio “nemico” e neppure di una oscura Ong (un “soggetto privato”, insomma, magari “straniero”). Aveva raccolto in mare dei migranti sull’orlo del naufragio e, come previsto dalla legislazione sia italiana che internazionale, si era diretta verso il “paese di appartenenza”. Che, per una nave militare italiana, sembra proprio essere l’Italia.
È come se un commissario di polizia non facesse rientrare una volante in caserma perché ha preso a bordo dei “fermati”.
Che si possa dire di “aver difeso la sicurezza, i confini e l’onore di questo Paese” impedendo a una propria nave militare di entrare in porto per quattro giorni è una cazzata che neanche il miglior Fantozzi avrebbe potuto partorire...
Non abbiamo affatto una grande opinione circa “l’indipendenza della magistratura” di questo paese. Troppe volte – quasi sempre – ha dimostrato di essere al servizio di questo o quel “potere forte”, di un partito o meglio di un “sistema”. Dunque, nel corso di tre gradi di giudizio, Salvini vedrà sparire il suo processo in qualche “porto delle nebbie”.
In ogni caso, la sentenza definitiva arriverà tra molti anni, probabilmente quando la sua carriera politica sarà già finita per altri motivi (i “leader”, di questi tempi, si consumano in fretta...). Ma un rischio, seppure percentualmente marginale, lo corre.
Vi sembra che questo possa essere il “vero centro” della politica italiana mentre il Mediterraneo – e tutto il Medio Oriente – sono sull’orlo della più grave crisi da molti decenni a questa parte?
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