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30/01/2020

Dal voto per vendetta al voto di paura

Sul rapporto tra azione/funzione politica ed elezioni è tempo di parole “segnanti”, se non definitive.

Inevitabilmente ogni tornata elettorale (e nel nostro paese si vota piuttosto spesso) diventa un tormentone nel quale evaporano dati sostanziali e prevalgono quelli emotivi e congiunturali.

Questa emozione nelle urne altro non è che il riflesso della prevalenza della percezione rispetto alla realtà, della “società astratta” (come la definitiva il sociologo Filippo Viola) rispetto a quella reale.

Già nei giorni scorsi il nostro giornale ha segnalato analisi più strutturate sui flussi elettorali in Emilia Romagna. Altre se ne stanno producendo in queste ore, ma è evidente come il risultato emiliano sia la vittoria del “voto della paura”, declinato stavolta anche sul Pd invece che solo sulla Lega.

Occorre infatti ammettere che entrambi hanno puntato e giocato sulla paura per ottenere il risultato. La Lega sulla paura verso i migranti, la “percezione di insicurezza”, per la giustizia-fai-da-te. Il Pd e le Sardine sulla paura di Salvini, per la pura conservazione di un sistema di potere definito acriticamente come “buona amministrazione”. Che infatti, dopo la vittoria, ha subito rimesso al primo posto quella “autonomia differenziata” che è storico cavallo di battaglia... della Lega!

Negli anni scorsi avevamo invece assistito al “voto per vendetta”, con cui milioni di persone – tra i ceti medi e i settori popolari – avevano mandato a quel paese il sistema politico esistente (bipolare, trasversale, molto spesso convergente sugli interessi da affermare). Quel voto per vendetta, sbrigativamente archiviato come “antipolitica”, era stato consegnato ad occhi chiusi al M5S, ma oggi è in ritirata; si disgrega e si bi-polarizza nuovamente sull’arcipelago della destra e sul mondo piddino.

È ormai evidente che in tale contesto sono saltati tutti i parametri della rappresentanza politica tradizionale (interessi sociali definiti, diversità e contrapposizione tra contenuti programmatici).

Quando – sul piano di questi parametri – le compagne e i compagni di Potere al Popolo in Emilia Romagna hanno affermato che “Bonaccini e Borgonzoni/Salvini sono due facce della stessa medaglia”, hanno affermato un dato di verità. Che però è stato completamente occultato dal voto di paura. E sul piano della proiezione elettorale non poteva esserci partita. Ce lo dicevano gli stessi compagni che firmavano per le liste di PaP, premettendo che “però il voto, no”.

Partiamo da questo per rovesciare i termini del ragionamento e aprire la discussione tra chi, in questo paese e in questa fase storica, non intende rinunciare ad una ipotesi alternativa e di classe da giocare dentro lo scontro politico.

Se contenuti, coscienza e contrapposizione di interessi sociali definiti non hanno più spazio sul piano elettorale, significa che rimane solo uno spazio politico – in gran parte da costruire, non dato a prescindere – sul quale agire.

Una parte di questo spazio – ma solo una parte – possono essere le occasioni elettorali. Però queste devono e possono essere vissute e attraversate solo come una occasione di visibilità, propaganda, allargamento dell’intervento e delle relazioni sui territori. Non hanno dunque una possibilità di “risultato” immediato sul piano elettorale, neanche mettendo insieme cocci, pezzi e frammentini di una “sinistra” ormai estenuata. Il tormentone su questa invocazione dell’unità come soluzione salvifica è fuorviante e inservibile. E non da ora.

Si tratta allora di scegliere come stare in campo nelle contraddizioni reali del paese e negli spazi possibili del conflitto politico e sociale.

È evidente come non sia affatto una comfort zone. Al contrario somiglia molto di più ad una traversata del deserto o, come scrivono i compagni emiliani, ad “una lunga marcia che comincia sempre con dei piccoli passi”.

Gli scattisti frustrati sono destinati a uscirne morti per consunzione o stress da prestazione.

Potremmo raccontare come esperienze politiche siano passate attraverso questi snodi e non ne siano affatto uscite morte, al contrario.

Dunque hic Rhodus hic salta, o si comincia a ragionare e ad agire con la piena consapevolezza del contesto, della funzione e delle possibilità in cui agiamo, oppure ci sia adagerà dentro un scenario in cui la gabbia del bipolarismo e del maggioritario di fatto inchioderanno tutte e tutti alla catena del “meno peggio”.

E questa non è, non sarà mai, la nostra scelta.

Fonte

Il ragionamento dei compagni della RdC ha la sua fondatezza, tuttavia trascura il dato essenziale dell'intera questione.

Nello specifico, quando scrivono che "si tratta allora di scegliere come stare in campo nelle contraddizioni reali del paese e negli spazi possibili del conflitto politico e sociale" viene evaso il "per fare cosa" e soprattutto supportati da quale analisi.

Quello dell'analisi è un tema completamente trascurato da PaP, in ogni ambito: dalle riflessioni fondamentali in merito alla struttura organizzativa di una nuova soggettività, al posizionamento internazionale dell'organizzazione (vogliamo parlare del supporto acritico ai curdi nel quadrante siriano o del rifiuto ad affrontare in termini dialettici tutte le rivolte "spontanee" che si stanno verificando dal vicino all'estremo oriente?) all'approccio alla questione europea che chiama direttamente in causa l'analisi economica su cui ci si esprime soltanto a slogan.

Perseverando in questo approccio si otterrà un unico e scontato risultato, l'incartarsi per l'ennesima volta contro un muro.

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