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19/01/2020

I padroni di Autostrade prima minacciavano adesso si “raccomandano”

Il re è nudo. È emblematico vedere come la Società Autostrade per l’Italia (di proprietà Atlantia/Benetton) si stia “raccomandando” al governo per impedire la revoca della concessione. Il tono sembra quasi quello del “tengo famiglia”. La società infatti sta invocando una “pacificazione”, promette investimenti per 7,5 miliardi di euro e mille assunzioni per evitare la scure della revoca della concessione. In un’intervista al quotidiano la Repubblica, l’amministratore delegato Roberto Tomasi parla delle linee del piano strategico 2020-2023 di “trasformazione dell’azienda”. Il suo obiettivo è salvare l’azienda dalla chiusura.

“Senza le concessioni e con l’indennizzo previsto dal decreto Milleproroghe l’azienda andrà in default – dice – preoccupazione per il futuro dei settemila dipendenti dell’azienda che lavorano con dedizione e per la possibilità di essere una risorsa per questo Paese. E nonostante tutti gli sforzi che stiamo facendo, non sarà semplice recuperare i downgrading finanziari”. Alla domanda spinosa sui report aggiustati relativi al pessimo stato di manutenzione delle austostrade, Tomasi ha risposto che è “una vicenda deprecabile. Siamo intervenuti rimuovendo i responsabili”.

E poi ci sono le promesse, tardive: “Pensiamo che si debba cambiare per ricostruire la fiducia tra noi e gli utenti, tra noi e il Paese. Il crollo del Morandi è stato uno spartiacque. Questa azienda va trasformata e questo piano strategico vuole esserne la dimostrazione. Serve un cambio culturale e di modelli manageriali”.

A fine dicembre i toni dell’azienda erano stati ben diversi. In un comunicato durissimo diffuso al termine di un consiglio di amministrazione di Atlantia, la società aveva parlato di “rilevanti profili di incostituzionalità e contrarietà a norme europee” e precisato che “sta valutando ogni iniziativa volta a tutelare i diritti della stessa in termini di legittimità costituzionale e comunitaria delle disposizioni normative in merito ai principi di affidamento, di libertà di stabilimento e di concorrenza, di proporzionalità e di ragionevolezza”. Atlantia aveva mandato un messaggio a Palazzo Chigi, Mit e Mef che, qualora venisse approvata la revoca, la norma farebbe scattare “la risoluzione di diritto” della stessa concessione. In pratica, Autostrade avrebbe preteso un intero rimborso della concessione.

Ma sempre a fine dicembre la Corte dei Conti aveva chiarito nella propria relazione che il presunto indennizzo di 23 miliardi da parte di Atlantia non ha nessuna base legale.

Il furore e il timore sta attraversando la schiena anche dei soci stranieri di Atlantia. È bene ricordare che il secondo maggior azionista, con una quota dell’8,14%, è GIC Pet. Limited, un fondo sovrano del governo di Singapore, il terzo (5,12%) l’americana Blackrock Inc., il quinto (5,01%) l’inglese HSBC Holdings (quarto azionista stabile è la Fondazione della Cassa di Risparmio di Torino, col 5,08%). Anche il 45,46% corrispondente alla quota flottante del capitale complessivo è perlopiù detenuta da stranieri: al 19,9% di tale quota in mano italiana si affianca un 23,9% in mano americana e un 20,4% in mano britannica.

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