L’emergenza sanitaria ha dato vita a risposte differenti, ed alcune si sono dimostrate particolarmente virtuose: Cina, Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Vietnam ed Hong Kong, mentre altre attendono la verifica della propria efficacia come India e Giappone.
Dal punto di vista economico, la Cina sembra avviarsi ad una ripresa sostanziale della sua attività e una risoluta azione contro una seconda possibile ondata proveniente dall’estero, limitando i voli in arrivo ad uno solo a settimana per ogni singola compagnia nazionale; inoltre vengono messi in quarantena obbligatoria coloro che giungono da fuori, in hotel attrezzati, a spese del governo.
Alcuni sistemi Paese, oltre a dover varare pacchetti per sostenere lavoratori ed imprese, hanno visto una fuga degli investitori dai propri mercati con un calo significativo delle borse. L’Australia, dalla fine di febbraio, ha conosciuto un calo del 30% per le quotazioni delle aziende che fanno parte del listino (il S&P/ASX 200).
La Corea del Sud ha visto la vendita per 10,7 miliardi di won (cioè 8,6 miliardi di dollari) delle azioni quotate in borsa – ben superiori agli 8,7 miliardi di won durante la crisi del 2007 – con l’indice Kospi ai livelli più bassi da dieci anni.
L’India ha confermato la dipendenza nei confronti della Cina anche in settori economici chiave, come è emerso durante i mesi in cui la Repubblica Popolare ha dovuto affrontare il picco dell’emergenza e il fermo quasi completo della propria economia.
Insieme ai 21 giorni dichiarati di “lockdown” per contenere il virus, l’India sta varando alcune importanti misure economiche: il taglio dei tassi di interesse di 75 punti base (4,4%), immissione di liquidità da parte della banca centrale per un valore di 3,7 mila miliardi di rupie (49 miliardi di dollari), una moratoria di tre mesi sulla restituzione dei debiti agli istituti bancari e finanziari.
Questo mercoledì il ministro delle finanze ha annunciato un pacchetto di 22 miliardi di dollari che dovrebbe aiutare la popolazione più povera, impiegata in occupazioni informali (si parla di centinaia di milioni di indiani), di cui una buona parte sono lavoratori migranti provenienti dalle zone rurali.
L’agenzia di rating Moody’s, questa settimana, ha abbassato le stime di crescita del Pil del 2020 dal 5 al 2,5%, mentre Capital Economics prevede un aumento più ridotto, appena l’1%.
La reazione dei mercati non si è fatta attendere, con riduzione delle transazioni al livello più basso dal 2017.
Amazon e Flipkart – azienda controllata da Walmart gigante statunitense delle vendite al dettaglio – sono state costrette giovedì a sospendere le proprie attività, così come Big Basket, posseduto da Alibaba.
L’annuncio del “lockdown” ha fatto congestionare fino al crash Grofers, una app di SoftBank per l’acquisto di generi alimentari, subito dopo la dichiarazione del confinamento di 21 giorni da parte di Modi, mercoledì sera.
Il governo teme la “rottura” nelle catene di rifornimenti di beni essenziali e quindi la penuria di cibo specie nelle zone rurali, mentre gli operatori del delivering dichiarano di non essere pronti a gestire il “boom” di ordini neanche nelle maggiori città.
Lo scenario del Giappone – che ha rimandato le olimpiadi nel 2021 – è un’altra grande incognita per la diffusione del virus: circa un quarto della sua popolazione ha più di 65 anni, non sono stati fatti test di massa e sono state ordinate misure “non costrittive” per limitare gli assembramenti – a parte la chiusura delle scuole a fine febbraio – che sembrano in gran parte essere state ignorate dalla popolazione.
L’indice borsistico, il Topix, è calato del 20% quest’anno. Se nei primi mesi di marzo gli investitori stranieri hanno venduto azioni per 883 miliardi di Yen, il boom di iscrizioni al “trading on-line” da parte dei giapponesi ha permesso che 782 miliardi di Yen venissero riacquistati da investitori individuali.
Come ha commentato al FT un operatore del settore «il livello di volatilità ha convinto i giapponesi tradizionalmente conservatori che si possono fare soldi nel caos».
La Bank of Japan ha di fatto usato tutti gli strumenti in suo possesso, in una maniera simile a ciò che ha fatto la FED e alle altre banche centrali dell’Occidente.
La Cina sembra seguire una strada meglio ponderata, anche se ha messo in conto un calo del tasso di sconto per i prossimi mesi.
Ha tagliato i tassi di riserva obbligatori per le banche, “liberando” possibilità di prestito per 550 miliardi di Rmb in più (79 miliardi di dollari), ed è possibile un taglio del tasso di deposito dei risparmi.
La formula scelta sembra essere un aumento della capacità di prestito, una “sterilizzazione” dei possibili crediti deteriorati in pancia alle banche ed investimenti in infrastrutture; ulteriori possibili misure fiscali di incentivo al consumo sono allo studio.
Come riporta l’articolo che abbiamo tradotto, pubblicato dal Financial Times il 26 marzo, da parte dei vari corrispondenti locali del giornale in Asia: «l’uso del Quantitave Easing da parte della FED, nel sostenere la fiducia nel mercato, è stato meno efficace dell’approccio aperto tenuto dalla banca popolare cinese»
A parlare è Chi Lo, senior economist per la branca cinese di BNP Paribas Asset Management.
Ipse dixit.
Buona lettura.
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Da due mesi i policymaker nella regione dell’Asia del Pacifico sono in prima linea nella battaglia contro le ricadute economiche dell’epidemia di coronavirus.
Sebbene le loro tattiche siano state meno clamorose delle misure “bazooka” messe in campo dall’Europa e dagli Stati Uniti, esse hanno spesso comportato tagli ai tassi di interesse di riferimento fino ai minimi storici e pacchetti di incentivi mai visti prima. Singapore, giovedì scorso, ha presentato un nuovo pacchetto, il più corposo della sua storia, del valore di 48.6 mld di SGD (34mld di dollari Usa).
Le prime indicazioni che vengono dalla regione sono che le misure più efficaci sono generalmente quelle che hanno come obbiettivo principale di preservare i posti di lavoro e le imprese, mantenendo comunque la liquidità nei maggiori mercati finanziari.
Come hanno risposto gli investitori?
Gli investitori sono stati travolti dalla risposta dei governi della regione. L’Australia ha presentato tre pacchetti di incentivi economici consecutivi nelle scorse due settimane, che consistevano in misure monetarie e fiscali del valore di 189 mld di dollari australiani (113.8 mld di dollari Usa), pari a un decimo della sua economia.
Sebbene la RBA (la banca centrale australiana, N.D.T) abbia tagliato anche i tassi di interesse al livello minimo dello 0.25%, l’indice S&P/ASX 200 ha perso circa il 30% del suo valore dai massimi alla fine di febbraio.
La Corea del Sud è stata la prima a essere colpita dall’epidemia, obbligando il governo ad annunciare un pacchetto di incentivi da record e nuove agevolazioni fiscali per tamponare ricadute peggiori sulla quarta economia asiatica.
Fuori dalla Cina, tuttavia, in Corea le misure non hanno impedito agli investitori stranieri di vendere 10.7 mila miliardi di WON (8.6 mld di dollari US) del loro patrimonio di titoli coreani – un mese da record assoluto, più alto degli 8.7 mila miliardi di WON dell’agosto 2007, durante la crisi finanziaria globale.
Con moneta in calo, indice Kospi crollato ai minimi degli ultimi 10 anni e il peggioramento del caos nei mercati finanziari, Seul ha aumentato il suo pacchetto di sostegni economici fino a circa 80 mld di dollari US, prevedendo liquidità per le aziende e nuovi fondi per sostenere i mercati.
“È difficile dire se questo basterà per la ripresa totale dell’economia ma il governo ha chiaramente mostrato la sua determinazione a stabilizzare i mercati finanziari”, ha detto Park Seok-gil, un economista di JPMorgan.
Com’è il confronto con la risposta cinese?
Mentre i policymaker occidentali, come la Federal Reserve statunitense e la Banca Centrale Europea, hanno usato qualunque mezzo contro la crisi, la risposta cinese è stata per ora relativamente controllata.
La Banca Popolare Cinese ha comunicato che abbasserà solo gradualmente i tassi di interesse nei prossimi mesi. Ha anche tagliato i tassi di riserva obbligatoria per le banche, permettendo a diversi istituti finanziari del Paese di prestare in totale 550mld di Rmb (79 mld di dollari US) in più.
In Cina si sta anche discutendo un taglio del tasso di deposito dei risparmi che permetterebbe alle banche di prestare più denaro. Ma sarà necessario fare di più per far ripartire la crescita, date le stime di alcune banche, per esempio Nomura, che parlano di una contrazione del 9% del Pil cinese nel primo trimestre rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
Con la promessa di nuove misure da parte della Banca Popolare Cinese, Chi Lo, economista senior per la Grande Cina alla BNP Paribas Asset Management, sostiene che la fiducia nel Paese sia aumentata. Nel sostenere la fiducia del mercato, l’uso del quantitative easing da parte della Federal Reserve è stato meno efficace dell’approccio aperto tenuto dalla Banca Popolare Cinese.
“Dato il caos causato dall’epidemia globale di Covid-19, la Fed potrebbe essere costretta ad accrescere le dimensioni del nuovo programma di quantitative easing oppure virare verso un programma aperto all’evolversi della situazione”, dice Chi Lo.
Queste misure funzioneranno davvero?
Alcuni analisti dicono che i migliori piani di aiuti economici sono quelli a sostegno delle piccole e medie imprese. Altri sostengono che l’obbiettivo principale deve essere far sì che le banche continuino a erogare prestiti ed evitare quindi una crisi di liquidità.
“Basandosi sulle passate esperienze, la Cina è abbastanza efficiente nello spingere le banche a prestare di più e accelerare gli investimenti infrastrutturali”, sostiene Kelvin Lau, economista senior per la Grande Cina a Standard Chartered.
Quando, a febbraio, Singapore ha annunciato un pacchetto di incentivi di 4.6 mld di dollari US, due terzi di questi avevano l’obbiettivo di proteggere i posti di lavoro e aiutare le imprese che avevano difficoltà con i costi di gestione e il flusso di cassa. Il resto era per il Ministero della Salute e per aiutare le famiglie con le spese domestiche.
Hong Kong ha tenuto un approccio simile. È stato lanciato un fondo di 30mld di HK (3.9mld di dollari americani) per distribuire sussidi finanziari a ristoranti, agenzie di viaggio, commercianti e altre industrie direttamente colpite dall’epidemia. Ogni adulto residente del territorio riceverà anche un sostegno di 10.000 dollari di HK a testa.
Ciononostante, secondo gli economisti, persino questo potrebbe non essere sufficiente, data la portata del collasso che si sta creando. “Le piccole imprese potrebbero pretendere di più”, dice Tommy Hu, un economista senior della Oxford Economics, “ma penso che in realtà, sia molto difficile per il governo salvare tutte le imprese, specialmente visto che ora tutti i settori sono colpiti”.
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