Rapporto di debito e governance europea
Se dal punto di vista formale il rapporto di scambio è una relazione
tra pari, lo stesso non può dirsi per il rapporto di debito. Esso è
sempre una relazione tra diseguali: tra un creditore egemone e un
debitore subalterno, il primo interessato a protrarre nel tempo lo stato
di soggezione per assicurarsi un regolare flusso di denaro, ma anche e
soprattutto per mantenere a lungo il controllo sul secondo. Questo vale
per le persone, ma non solo per esse: pure le comunità politiche,
inclusi evidentemente gli Stati, utilizzano il debito per esercitare
potere. E anche in questo caso il rapporto debitorio costituisce un
dispositivo di governo della produzione e riproduzione di soggettività[1], quelle individuali esattamente come quelle collettive.
L’Unione europea ha elevato il rapporto di debito a paradigma delle
relazioni tra gli Stati membri. Lo ha fatto alimentando politiche
monetarie e di bilancio concepite ad arte per riservare ad alcuni Paesi
lo status di creditori e imprigionare altri nel ruolo di debitori.
Certo, tutti gli Stati sono debitori, se non altro perché
l’indebitamento sovrano si è imposto come espediente attraverso cui il
capitalismo ha guadagnato tempo: ha consentito di finanziare il welfare e
di rimandare così la sua crisi in quanto ordine in costante frizione
con la democrazia[2].
Non tutti sono però debitori allo stesso modo: alcuni Paesi sono capaci
di controllare la produzione della disciplina monetaria e di bilancio e
di utilizzarla per rendere cronica e irreversibile la condizione di
inferiorità degli altri Paesi[3].
La stabilità di questo schema dipende dalla capacità dei Paesi
creditori di utilizzare a danno dei Paesi debitori un meccanismo
identico a quello utilizzato per esercitare controllo sulle persone. A
queste ultime i sistemi di welfare sventrati dalle politiche monetarie e
di bilancio europee assicurano assistenza finanziaria entro la soglia
della povertà per impedire loro di uscire da quella condizione[4].
E lo Stesso vale per gli Stati che si intendono ridurre nella
condizione di corpi politici subordinati: occorre loro consentire un
bilancio insufficiente a elevarli dal loro status di indigenti.
I periodi di crisi sono i momenti più adatti a consolidare un simile
assetto, dal momento che comportano perdite i cui effetti si fanno
sentire con intensità inversamente proporzionale alla solidità delle
finanze pubbliche. È quanto avvenuto con la crisi del debito sovrano,
utilizzata per legittimare forme di assistenza finanziaria agli Stati
europei condizionata alla realizzazione di riforme di matrice
neoliberale: espediente con il quale si sono condannati i Paesi debitori
a livelli di crescita particolarmente bassi e soprattutto a non
emanciparsi dalla loro condizione di inferiorità.
Lo stesso scenario si sta riproponendo ora come conseguenza
dell’emergenza sanitaria collegata alla pandemia da coronavirus. La
crisi economica che ne deriverà sarà devastante e richiederà l’impiego
di immani risorse pubbliche: quelle che solo una Banca centrale può
creare attraverso la monetizzazione del debito[5]. Questa soluzione è stata adottata in Paesi non certo ostili all’ortodossia neoliberale, come il Regno Unito e gli Stati Uniti[6].
È tuttavia preclusa dai Trattati europei, che perseguono l’obiettivo di
imporre agli Stati di rivolgersi ai mercati, a cui viene così
attribuito il compito di disciplinare il loro comportamento. A meno che
non accettino l’assistenza finanziaria condizionata, che come abbiamo
detto costituisce un rimedio peggiore del male, o in alternativa
un’assistenza a tassi agevolati ma pur sempre fonte di ulteriore
indebitamento.
Questo schema emerge in modo chiaro dalle misure finora ipotizzate
per affrontare l’emergenza sanitaria e la relativa crisi economica,
appena sintetizzate nel documento conclusivo dell’ultima riunione
dell’Eurogruppo[7].
Si è detto che queste misure consentono di mobilitare centinaia di
miliardi di Euro a disposizione di Stati, lavoratori e imprese, capaci
così di fronteggiare in modo efficace le conseguenze dell’emergenza
sanitaria. Sotto la cortina fumogena di questi proclami si nasconde però
una realtà molto diversa: si delinea la volontà di utilizzare
l’emergenza sanitaria per alimentare il rapporto debitorio come
paradigma delle relazioni tra Stati. Per consolidare così ulteriormente
gli attuali assetti di potere entro la costruzione europea.
Il Meccanismo europeo di stabilità (Mes)
Il Mes è il principale strumento utilizzato dalla costruzione europea
per alimentare relazioni tra Stati modellate sul rapporto debitorio,
tanto da rappresentarne l’emblema. È previsto da una disposizione del
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea inserita in piena crisi
del debito sovrano per fondare una deroga al principio del non
salvataggio finanziario: per cui “l’Unione non risponde né si fa carico
degli impegni assunti dalle amministrazioni statali, dagli enti
regionali, locali, o altri enti pubblici, da altri organismi di diritto
pubblico o da imprese pubbliche di qualsiasi Stato membro” (art. 125)[8].
In deroga a questo principio si stabilisce che il Meccanismo può
fornire assistenza finanziaria, tuttavia solo se sottoposta a “rigorosa
condizionalità” (art. 136). Precisamente:
Gli Stati membri la cui moneta è l’Euro possono istituire un
meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare
la stabilità della zona Euro nel suo insieme. La concessione di
qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo
sarà soggetta a una rigorosa condizionalità.
Emerge così un primo ostacolo a quanto ipotizzato dall’ultima
riunione dell’Eurogruppo, ovvero che il Mes possa essere attivato con
condizionalità minime: un “impegno a utilizzare questa linea di credito
per sostenere il finanziamento nazionale dei costi diretti e indiretti
per la sanità, le cure e la prevenzione”. L’idea di condizionalità
minime è del resto contrastante anche con il Trattato istitutivo del Mes[9],
che parla di “sostegno alla stabilità” unicamente “sulla base di
condizioni rigorose”, oltretutto definite all’esito di una valutazione
sulla “sostenibilità del debito pubblico” del Paese richiedente
assistenza (art. 13).
Questo vale evidentemente anche per la specifica forma di assistenza
finanziaria scelta dall’Eurogruppo per fronteggiare l’emergenza
sanitaria. Il Mes dovrebbe intervenire con quanto il suo trattato
istitutivo definisce come “assistenza finanziaria precauzionale”, per la
quale si prevedono due forme: una “linea di credito condizionale
precauzionale” e una “linea di credito soggetta a condizioni rafforzate”
(art. 14). La prima forma è prevista per i Paesi che presentano “una
situazione economica e finanziaria fondamentalmente sana”, in
particolare dal punto di vista dei limiti al deficit e al debito
previsti dal Patto di stabilità e crescita. La seconda forma è per i
Paesi che non rispettano questi parametri e tuttavia si trovano in
una “situazione economica generale” comunque “sana”[10].
Se davvero l’Eurogruppo non intendeva ricorrere al Mes in funzione
punitiva, poteva quantomeno prevedere il ricorso alla linea di credito
condizionale precauzionale. Invece ha inteso utilizzare la linea di
credito rafforzata, e soprattutto ha precisato che la deroga al regime
delle condizionalità finisce con la conclusione della “crisi da Covid
19”. Successivamente gli Stati saranno nuovamente “impegnati a
rafforzare i loro fondamentali economici e finanziari coerentemente con
il quadro di coordinamento e sorveglianza economica e fiscale europea”.
La formula è vaga e lascia spazio alla possibilità che l’assistenza
fornita alla sola condizione di impiegarla per la sanità, le cure e la
prevenzione, possa presto essere caricata di ulteriori vincoli. Il che
sarebbe del resto in linea con quanto affermato dal Presidente
dell’Eurogruppo, che commentando l’esito dell’ultima riunione ha voluto
precisare che i Paesi assistiti dal Mes “restano soggetti al quadro di
coordinamento e sorveglianza economica e fiscale europea”[11].
E se anche così non fosse, un qualsiasi Stato dell’Unione potrebbe
ricorrere alla Corte di giustizia Ue per chiedere l’annullamento degli
atti europei in contrasto con i Trattati (art. 263 TfUe): nello
specifico degli atti con i quali si è autorizzata un’assistenza
finanziaria non sottoposta a rigorose condizionalità. Il tutto mentre la
Corte ha già avuto modo di pronunciarsi su questi aspetti, precisando
che la condizionalità deve essere rigorosa per legittimare la deroga al
principio del non salvataggio finanziario:
La condizionalità prevista non costituisce uno strumento di
coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, bensì è
diretta a garantire la conformità delle attività del Mes, in
particolare, con l’articolo 125 TfUe e con le misure di coordinamento
adottate dall’Unione[12].
Se poi, nonostante tutto, si riuscisse davvero a spuntare
condizionalità poco impegnative, la possibilità di un loro successivo
inasprimento non sarebbe per nulla esclusa. Il Programma di
aggiustamento macroeconomico nel quale sono articolate le condizioni
dell’assistenza, non a caso dilazionata nel tempo, può essere modificato
per tenere conto di “ogni scostamento significativo tra le previsioni
macroeconomiche e i dati effettivi”[13]. Precisamente:
La Commissione, d’intesa con la Bce e, se del caso, con l’Fmi,
esamina insieme allo Stato membro interessato le eventuali modifiche e
gli aggiornamenti da apportare al programma di aggiustamento
macroeconomico, al fine di tenere debitamente conto, tra l’altro, di
ogni scostamento significativo tra le previsioni macroeconomiche e i
dati effettivi, anche alla luce delle eventuali ripercussioni derivanti
dal programma di aggiustamento macroeconomico, da ricadute negative e da
shock macroeconomici e finanziari. Il Consiglio, deliberando a
maggioranza qualificata su proposta della Commissione, decide in merito
alle modifiche da apportare a tale programma[14].
Ma non è tutto. Quanto abbiamo indicato come condizionalità minime,
ovvero l’impegno a utilizzare l’assistenza per sanità, cure e
prevenzione, sono a ben vedere meri “requisiti per accedere alla linea
di credito”. Lo precisa il documento dell’Eurogruppo, che parla poi di
“condizioni standardizzate preventivamente concordate dagli organi di
governo del Mes”, lasciando così intendere che il solo vincolo di
destinazione dei fondi ottenuti non esaurisce lo spettro degli impegni
del Paese cui sono destinati. Residua cioè spazio per un vero e proprio
Programma di aggiustamento macroeconomico, il che sarebbe del resto
coerente con i Trattati europei.
Disponiamo così di generici impegni a predisporre una linea di
credito con condizionalità formalmente leggere se non azzerate, che non
trovano però riscontro effettivo nel diritto europeo, dal quale emergono
anzi numerosi possibili appigli per ottenere un risultato molto
diverso. Può insomma accadere che fin dall’inizio le condizioni
dell’assistenza finanziaria siano impegnative, o che questo si delinei
in un secondo momento. Il tutto lasciato ai rapporti di forze, mutevoli
ma di norma non favorevoli ai Paesi debitori, che saranno
inevitabilmente condizionanti nell’interpretazione di testi così
ambigui. Con buona pace degli inguaribili ottimisti, convinti persino
che i fondi ottenuti tramite il Mes, utilizzabili per sostenere anche i
costi indiretti legati alla sanità, alle cure e alla prevenzione,
possano essere impiegati anche per affrontare la crisi economica
provocata dal lockdown[15].
L’Eurogruppo ha precisato che i fondi erogati dal Mes non possono
complessivamente superare il 2% del pil del Paese destinatario,
calcolato alla fine del 2019. Per l’Italia significa poco meno di 36
miliardi: vale la pena correre i rischi evidenziati per un possibile
vantaggio iniziale, sicuramente cancellati e ampiamente surclassati dai
numerosi vincoli pronti a manifestarsi in tempi brevi? Ha senso attivare
una forma di sostegno che sicuramente verrà interpretata come
l’ammissione che gli interessi pagati al Mes sono nettamente inferiori
rispetto a quelli pagati agli acquirenti di titoli del debito:
l’ammissione che vi sono notevoli problemi a finanziarsi sul mercato,
anticamera di una esplosione dello spread?
Il Fondo europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione (Sure)
Il pacchetto di misure ipotizzato dall’Eurogruppo comprende anche un
fondo per il sostegno al rischio di disoccupazione per quale si è scelto
un acronimo appealing: Sure (sicuro). Quanto precisato a proposito di
questo fondo costituisce la sintesi di ciò che è contenuto in una
proposta di regolamento appena predisposta dalla Commissione[16].
In più vi è solo l’impegno, davvero poco in linea con la volontà di
simulare un clima di solidarietà europea, a far sì che l’eventuale
consenso alla costituzione del fondo non “pregiudichi la posizione su
proposte future in materia di assicurazione contro la disoccupazione”.
Consideriamo dunque la proposta di regolamento per verificare nel dettaglio di cosa si tratta e soprattutto i problemi che pone.
Il primo problema attiene alla base legale del Sure. Viene infatti
creato ai sensi della stessa disposizione utilizzata per l’assistenza
finanziaria fornita dal Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf) ai
Paesi colpiti dalla crisi del debito prima dell’istituzione del Mes:
Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna. La disposizione è l’art. 122 del
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, e in particolare il suo
comma 2:
Qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente
minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di
circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su
proposta della Commissione, può concedere a determinate condizioni
un’assistenza finanziaria dell’Unione allo Stato membro interessato.
Come si vede, la disposizione è chiaramente pensata per interventi
volti ad affrontare crisi asimmetriche. Per questo emerge il riferimento
alle condizionalità, indispensabile a giustificare la deroga al
principio del non salvataggio finanziario, che il dibattito attuale
mostra chiaramente non essere giustificato nel caso di crisi
simmetrica. Non sembra però questo il punto di vista della proposta di
regolamento, che si sofferma in modo puntiglioso su ciò che lo Stato
richiedente l’assistenza del Sure è tenuto a fornire alla Commissione:
le “opportune prove” che ha avuto un “aumento repentino e severo della
spesa pubblica” e che questo è “direttamente connesso a regimi di
riduzione dell’orario di lavoro o misure analoghe” imposte
dall’emergenza sanitaria (art. 6).
Da notare anche i richiami al regolamento che disciplina l’assistenza finanziaria agli Stati[17],
in particolare quella fornita, come nel caso del Sure, attraverso
prestiti (art. 4). Lì si specifica che questi sono erogati “a condizioni
predefinite”, ma non è questo il problema: le condizioni fissate dal
regolamento istitutivo del Sure sono il solo “aumento repentino e
severo” della spesa pubblica per fronteggiare la disoccupazione (art.
3). Più complesso è il contenuto dell’accordo che, ai sensi di questo
regolamento, lo Stato assistito deve concludere con la Commissione.
Questo deve contenere disposizioni che lo pongono nella condizione di
sorvegliato speciale, volte come sono a prevenire abusi e a preservare
gli interessi finanziari dell’Unione (art. 220 comma 5):
La Commissione sottoscrive con il Paese beneficiario un accordo
contenente disposizioni che: (a) assicurano che il Paese beneficiario
verifichi a cadenza regolare che i finanziamenti erogati siano stati
utilizzati correttamente in conformità delle condizioni predefinite… (b)
assicurano la tutela degli interessi finanziari dell’Unione… (d)
assicurano che l’Unione abbia diritto al rimborso anticipato del
prestito qualora si riscontri che, in relazione alla gestione
dell’assistenza finanziaria, il Paese beneficiario è stato coinvolto in
atti di frode o di corruzione… (e) assicurano che tutti i costi
sostenuti dall’Unione in relazione all’assistenza finanziaria siano a
carico del paese beneficiario.
Insomma, siamo di fornite a uno strumento del tutto inadatto ad
affrontare crisi che riguardano l’Unione nel suo insieme. E che
soprattutto guarda ai Paesi richiedenti assistenza con il noto
atteggiamento delle formiche insospettite da qualsiasi richiesta di
solidarietà avanzata dalle cicale. Soprattutto il Sure eroga prestiti e
dunque incrementa il debito del Paese richiedente, con ciò alimentando
lo schema sul quale si basano i rapporti tra i Paesi europei. Il tutto
portando vantaggi davvero contenuti e denunciando anche così la vera
finalità della misura nella sua essenza di strumento di governance.
Un primo riscontro lo ricaviamo dalle modalità scelte per costituire
il fondo, che innanzi tutto ha una dotazione ben diversa da quella
propagandata per produrre consenso attorno alla sua costituzione. I
cento miliardi di cui si parla non sono infatti la sua dotazione
ordinaria, bensì la cifra che questa non può in alcun modo superare
(art. 5), e che oltretutto difficilmente raggiungerà. In effetti il
Sure, affinché la sua attività non “comporti cambiamenti nelle scadenze
tali da esporre l’Unione a rischi di tasso d’interesse o ad altri rischi
commerciali”, opera prendendo “in prestito i fondi necessari sui
mercati dei capitali o presso istituzioni finanziarie”[18].
La proposta di regolamento precisa che i Paesi europei sono chiamati a
garantire questo prestito fornendo “garanzie irrevocabili,
incondizionate e su richiesta” (art. 11) pari al 25% dell’entità di quei
prestiti “in linea con la propria quota sul totale del reddito azionale
lordo dell’Unione”[19].
E si badi che la prestazione di garanzia non è un obbligo, bensì una
facoltà per gli Stati, che dunque possono non attivarsi e determinare
una notevole contrazione della capienza del fondo rispetto ai cento
miliardi.
Ma non è tutto. La proposta di regolamento stabilisce che nell’arco
di un anno il Sure può erogare cifre complessivamente contenute entro il
10% di quei cento miliardi (art. 9). La precisazione è strana per un
fondo che non aspira a durare dieci anni: forse discende dall’implicito
riconoscimento che non si arriverà mai a quella cifra e che anche
spendendo non più di dieci miliardi all’anno il fondo si esaurirà in
fretta. Il punto comunque è un altro: è stato calcolato che un Paese
come l’Italia, al netto delle cifre impegnate come garanzia
irrevocabile, riceverebbe non più di “qualche centinaio di milioni in
prestito sui quali risparmiare qualche milione di spesa per interessi”[20].
Infine il Sure adotta il principio di addizionalità, stabilito in
termini generali per i Fondi strutturali e di investimento europei a
partire dalla fine degli anni Novanta: gli stanziamenti devono
aggiungersi e non “sostituirsi alle spese a finalità strutturale
pubbliche o assimilabili dello Stato membro”[21].
In altre parole, come ribadito dalla proposta di regolamento,
l’assistenza finanziaria europea ai disoccupati non può sostituirsi
completamente a quella del Paese destinatario: ha natura meramente
“integrativa” (art. 2).
Insomma, quello europeo è un aiuto assolutamente sproporzionato
rispetto alle spese necessarie a fronteggiare la disoccupazione
provocata dall’emergenza sanitaria. È poi un prestito e dunque aggrava a
danno del richiedente la condizione di debitore e dunque di Paese
condannato a una condizione di inferiorità. Ed è probabilmente uno
specchietto per le allodole, buono solo a far digerire le altre misure
ben più insidiose del pacchetto previsto dall’Eurogruppo, a partire
dall’intervento del Mes.
Il Fondo per la ricostruzione (Recovery Fund) e altre fantasie
Tra le proposte contemplate dall’Eurogruppo figura anche la
costituzione di un Fondo per la ricostruzione, che si propone di
finanziare attraverso il bilancio europeo. Questo ha però una
consistenza notoriamente minima, come si ricava considerando il Quadro
finanziario pluriennale in corso, relativo agli anni dal 2014 al 2020.
Esso contempla tra le risorse proprie dell’Unione i prelievi agricoli, i
dazi doganali e un’aliquota del reddito nazionale lordo degli Stati
membri. Se si considera che l’aliquota procura tre quarti delle entrate,
e che complessivamente non può superare l’1,23% del reddito nazionale
lordo degli Stati membri[22], si comprende l’assoluta insufficienza del bilancio a finanziare il Fondo per la ricostruzione.
L’Eurogruppo ipotizza che il prossimo Quadro finanziario pluriennale,
quello per gli anni dal 2021 al 2027, possa “assumere un ruolo centrale
nella ricostruzione”. I negoziati fin qui condotti mostrano però la
volontà di alcuni Stati di diminuire l’entità delle risorse impiegate, e
difficilmente l’emergenza sanitaria potrà muoverli a mutare
radicalmente la loro posizione: quanto abbiamo finora assistito non può
certo considerarsi l’indizio di una ritrovata empatia e solidarietà.
Il tutto mentre un Gruppo ad alto livello incaricato dalle
istituzioni europee di riformare il sistema delle risorse proprie ha
recentemente formulato proposte del tutto inadeguate, in linea con il
profilo del suo Presidente: Mario Monti. Nella relazione conclusiva si
suggerisce la creazione di alcune imposte europee, che però non sono
certo dell’entità idonea a fronteggiare le conseguenze dell’emergenza
sanitaria. Soprattutto il Gruppo ad alto livello ha sottolineato
l’opportunità di preservare il principio del pareggio di bilancio
sancito dai trattati europei (art. 310 TfUe), e in particolare quanto si
reputa un suo corollario: la netta chiusura rispetto alla possibilità
di ricorrere all’emissione di titoli del debito sovranazionali[23].
Ovviamente la questione è controversa, come si ricava anche da uno studio realizzato dal Parlamento europeo[24],
ma non è questo il punto. È nota l’assoluta contrarietà dei Paesi
creditori alla mutualizzazione del debito in genere e a quella che si
realizzerebbe attraverso l’emissione di titoli del debito da parte di
istituzioni europee o anche degli Stati membri congiuntamente. Per
questo la dichiarazione dell’Eurogruppo evita accuratamente di
menzionare gli Eurobond, limitandosi a richiamare la possibilità che il
Fondo per la ricostruzione sia finanziato attraverso “strumenti
finanziari innovativi”: un modo come un altro per lasciar cadere la
cosa.
Il tutto mentre anche gli Eurobond possono essere fonte di debito e
anche di esborsi per i Paesi europei. Questo non si verifica se sono
direttamente acquistati dalla Banca centrale europea, che in tal modo si
accingerebbe a monetizzare il debito. Se questo non è il caso, allora
occorre rivolgersi al mercato: costituendo prima un patrimonio di
garanzia per poi ottenere finanziamenti che prima o poi dovranno essere
ripagati. Si resta così nella trappola del debito, con la possibilità
forse di ottenere fondi a interessi più favorevoli di quelli accordati a
un Paese indebitato, ma la sostanza tuttavia non cambia.
A queste condizioni, se il Fondo deve essere alimentato dal bilancio
europeo, non resta probabilmente che il finanziamento diretto da parte
dei Paesi europei. L’Eurogruppo lascia intendere che questo potrebbe
mettere in moto un meccanismo redistributivo, dal momento il Fondo
dovrebbe “assicurare la solidarietà europea agli Stati membri più
colpiti”. Nuovamente: gli avvenimenti di questi ultimi tempi non fanno
ritenere che si stiano vivendo tempi di solidarietà europea. Checché ne
dica la Presidente della Commissione europea, con i suoi discorsi
carichi di stucchevole retorica sull’Unione che “ora è con voi”, o sulla
“musica dai balconi” che “ha riempito le strade deserte e i cuori di
milioni di persone”[25].
Il tutto mentre si moltiplicano le voci di chi intende combinare
l’incremento del bilancio europeo con il ricorso allo strumento delle
condizionalità. Lo si è detto in ordine alla proposta di “incorporare
nel prossimo bilancio dell’Ue una qualche forma di funzione di
stabilizzazione”, inizialmente avanzata nella cosiddetta Relazione dei
cinque Presidenti. Lì si sostiene l’opportunità di istituire un fondo
per la “stabilizzazione macroeconomica per reagire meglio agli shock che
non si possono gestire al mero livello nazionale”, che tuttavia non
deve “compromettere gli incentivi a condurre una politica di bilancio
sana a livello nazionale” bensì promuovere la “conformità con il quadro
complessivo di governance dell’Ue”[26]. Un concetto ribadito in occasione del recente dibattito sull’approfondimento dell’Unione economica e monetaria:
Una funzione comune di stabilizzazione potrebbe apportare
numerosi benefici alla zona Euro. Integrerebbe gli stabilizzatori di
bilancio nazionali in caso di gravi shock asimmetrici e agevolerebbe
l’applicazione di politiche di bilancio aggregate per la zona Euro in
circostanze inusuali in cui la politica monetaria palesa i propri
limiti... L’accesso alla funzione di stabilizzazione dovrebbe essere
tassativamente subordinato al rispetto di criteri chiari e
all’attuazione continuativa di politiche solide, in particolare quelle
che favoriscono una maggiore convergenza nella zona euro[27].
Insomma, nella migliore delle ipotesi ricorrere al bilancio europeo
significa prefigurare una partita di giro. Se fosse di entità contenuta
non sarebbe dannosa, ma neppure risolverebbe problemi. Se invece fosse
sostanziosa significherebbe ancora una volta ricorso all’indebitamento,
quindi rafforzamento della governance europea come fonte e presidio di
relazioni plasmate dalla logica del rapporto debitorio. Il tutto
oltremodo amplificato qualora il ricorso al bilancio europeo fosse
combinato con la previsione di condizionalità.
Solo un Piano B ci salverà
Possiamo a questo punto concludere la panoramica sugli strumenti
finora ipotizzati per fronteggiare la crisi economica provocata
dall’emergenza sanitaria, per ribadire come sembrino pensati
appositamente per consolidare gli attuali rapporti di forza tra Paesi
europei. E come un simile risultato sia ottenuto facendo leva sul fine
ultimo di quegli strumenti: spingere i Paesi debitori nella spirale del
debito per costringerli a gettarsi nel pozzo dell’assistenza finanziaria
condizionata. E non si dovrà attendere molto per confrontarsi con
questo scenario: il Patto di stabilità e crescita, attualmente solo
sospeso[28],
tornerà a rappresentare il nucleo fondativo della governance europea. A
quel punto un Paese come l’Italia si troverà con un deficit e un debito
esplosi oltre ogni limite, anche per l’estrema contrazione del pil,
tanto da non essere più in grado di finanziarsi sul mercato.
Tutto ciò si può evitare solo monetizzando il debito, oppure
ricorrendo a politiche di bilancio di respiro europeo, o ancora
mutualizzando il debito[29]. In assenza di tutto ciò difficilmente si potrà evitare il default[30],
che a questo punto appare un risultato voluto, oltretutto non solo dai
Paesi nordici: anche in Italia alcuni invocano il vincolo esterno come
unica soluzione ai mali italiani, o più semplicemente alle resistenze
opposte all’impero dell’ortodossia neoliberale[31].
Si poteva pensare che il Parlamento europeo offrisse una sponda
quantomeno per avviare un dibattito volto a scalfire la rigidità delle
posizioni dei Paesi creditori, ma ciò si è verificato solo in minima
parte. Anche in questo caso si sono ammesse senza remore le forme di
assistenza finanziaria da cui scaturisce un aumento di debito per i
singoli Stati, tutt’al più beneficiati dalla possibilità di ricevere
credito a interessi inferiori rispetto a quelli loro concessi dai
mercati. Mentre nel vivace dibattito condotto in aula non si è riusciti a
far passare una posizione di favore per gli Eurobond, bocciati in
quanto produrrebbero una mutualizzazione del debito.
In loro vece si sono approvate le “obbligazioni per il sostegno della
ripresa”, i cosiddetti, Recovery bond, che si propone di garantire con
il bilancio europeo, tuttavia solo per mutualizzare il debito futuro:
quello che sorgerà una volta varato lo strumento. E lo stesso vale per
il ricorso al Quadro finanziario pluriennale, arricchito da un più
massiccio ricorso a risorse proprie:
Il Parlamento europeo… ritiene che gli investimenti necessari
potrebbero essere finanziati attraverso un Qfp ampliato, i fondi e gli
strumenti finanziari dell’Ue esistenti e obbligazioni a sostegno della
ripresa garantite dal bilancio dell’Ue; ritiene che tale pacchetto non
dovrebbe comportare la mutualizzazione del debito esistente e dovrebbe
essere orientato a investimenti futuri[32].
È chiaro che ci troviamo qui di fronte a un trucco. Se il bilancio
europeo si limita a garantire i Recovery bond, la loro emissione
potrebbe anche essere a carico degli Stati, con vantaggi sull’accumulo
del debito legati unicamente al contenimento dei tassi di interesse.
Soprattutto i Paesi creditori condurranno estenuanti trattative per il
varo dei Recovery bond e del Quadro finanziario pluriennale, che avverrà
presumibilmente fuori tempo massimo: quando i Paesi debitori avranno
nel frattempo sostenuto spese immani attraverso un indebitamento
altrettanto immane. Mettendo a rischio la loro possibilità di
finanziarsi presso i mercati o peggio imponendo loro di richiedere
l’assistenza finanziaria del Mes, questa volta con condizionalità dure.
Del resto al Parlamento europeo il Mes piace, se è vero che non ha
remore a suggerire il suo impiego per fronteggiare “le conseguenze
immediate della Covid-19”. Con l’aggravante che nel merito non si
menzionano neppure le condizionalità alleggerite, mentre ci si riferisce
in termini ambigui alle “condizioni di rimborso connesse alla ripresa
delle economie”. Precisamente:
Il Parlamento europeo... invita gli Stati membri della zona euro ad
attivare i 410 miliardi di Euro del Meccanismo europeo di stabilità con
una linea di credito specifica... sottolinea che, come misura a breve
termine, il Meccanismo europeo di stabilità dovrebbe immediatamente
estendere le linee di credito precauzionali ai Paesi che chiedono di
accedervi per far fronte alle esigenze di finanziamento a breve termine
per affrontare le conseguenze immediate della Covid-19, con scadenze a
lungo termine, tassi competitivi e condizioni di rimborso connesse alla
ripresa delle economie degli Stati membri[33].
Non sono diverse le conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo,
contenute in un comunicato del suo Presidente e non anche in un
documento ufficiale dell’organo: a dimostrazione della siderale distanza
che divide i leader europei proprio sul tipo di assistenza finanziaria
da assicurare ai Paesi bisognosi. Nel comunicato si confermano gli
impegni assunti in materia di disoccupazione e spese sanitarie, e quindi
il ricorso al Sure e al Mes nei termini appena visti. Sul Recovery fund,
invece, si dice tutto e niente: sarà la Commissione a formulare “una
proposta all’altezza della sfida che ci troviamo ad affrontare”, e a
“chiarire il nesso con il Qfp, che in ogni caso dovrà essere adeguato
per affrontare l’attuale crisi e le relative conseguenze”[34].
Il Consiglio europeo ha poi approvato una “tabella di marcia per la
ripresa”, anche qui spendendo in massima parte parole al vento. Le
uniche affermazioni perentorie riguardano la volontà di “approfondire
ulteriormente il mercato unico quale componente essenziale della nostra
prosperità e resilienza” e di completare “l’unione bancaria e l’unione
dei mercati dei capitali”[35]:
la volontà di impedire qualsiasi tentazione di porre rimedio alle
deformazioni della costruzione europea percorrendo strade autonome
rispetto a quelle indicate dall’ortodossia neoliberale.
Se così stanno le cose, è probabile che l’Italia si veda costretta ad
abbandonare l’Euro come unica alternativa all’abisso dell’assistenza
finanziaria condizionata[36].
Per questo occorre mostrare fin da ora incondizionata determinazione a
evitare la spirale dell’indebitamento: mettendo subito sul tavolo della
trattativa il recupero della sovranità monetaria.
Proprio questa strada venne scelta dalla Germania in piena crisi dei
debiti sovrani, quando l’allora Presidente della Commissione europea
José Manuel Barroso propose di fronteggiarla ricorrendo all’emissione di
Eurobond. Fu una proposta prudente e circostanziata, in ultima analisi
sottoposta a un regime di condizionalità: ne avrebbero beneficiato i
soli Paesi disposti ad adottare “tutti gli strumenti necessari per
garantire integrazione e disciplina”[37].
Ciò nonostante l’Università delle forze armate tedesche elaborò un
piano per attuare nell’arco di pochi giorni l’uscita dall’Eurozona,
considerata un’opzione da prendere in considerazione in quanto fonte di
oneri minori rispetto a quelli riconducibili a un sistema di
condivisione dei rischi. E la cosa venne presentata dai media come non
troppo distante dai desiderata di larga parte della classe politica[38].
Anche l’Italia dovrebbe comportarsi nello stesso modo. Magari
impedendo che della questione si occupassero i militari, ma comunque
evitando di trovarsi un giorno impreparata a fronteggiare un evento che
potrebbe comunque diventare inevitabile[39].
Note:
[1] M. Lazzarato, La fabbrica dell’uomo indebitato. Saggio sulla condizione neoliberista (2011), Roma, 2012.
[2] W. Streeck, Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico, Milano, 2013 e Id., How Will Capitalism End? Essays on a Failing System, London e New York, 2016.
[3] A. Somma, Europa a due velocità. Postpolitica dell’Unione europea, Reggio Emilia, 2017, p. 8 s.
[4] Come sostenuto per il sistema tedesco di workfare: Die im Schatten sieht man nicht, in Strassenfeger – Sonderausgabe Oktober 2012, www.hinzundkunzt.de/wp-content/uploads/2012/10/SchattenberichtSonderausgabeklein.pdf
[5] A. Stirati, L’Italia, L’Europa e la crisi da coronavirus (1. aprile 2020), www.economiaepolitica.it/l-analisi/crisi-da-coronavirus-italia-europa e R. Realfonzo, Finanziamento delle politiche e scenari del debito dopo il Covid-19 (15 aprile 2020), www.economiaepolitica.it/crisi-economica-coronavirus-italia-unione-europea-mondiale/debito-pubblico-2020.
[6] Solo una banca centrale ci può salvare. Intervista a Stefano Fassina (15 aprile 2020), www.lafionda.org/2020/04/15/solo-una-banca-centrale-ci-puo-salvare-intervista-a-stefano-fassina.
[7] Report on the comprehensive economic policy response to the Covid-19 pandemic
(9 aprile 2020),
www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2020/04/09/report-on-the-comprehensive-economic-policy-response-to-the-covid-19-pandemic.
[8] Cfr. Decisione del Consiglio europeo 25 marzo 2011 n. 199 che
modifica l’articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea relativamente a un meccanismo di stabilità per gli Stati membri
la cui moneta è l’Euro.
[9] Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità del 2 febbraio 2010, www.esm.europa.eu/sites/default/files/20150203_-_esm_treaty_-_it.pdf.
[10] Guideline on Precautionary Financial Assistance del 9 ottobre 2012, www.esm.europa.eu/sites/default/files/esm_guideline_on_precautionary_financial_assistance.pdf.
[11] Remarks by Mário Centeno following the Eurogroup videoconference of 9 April 2020,
https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2020/04/09/remarks-by-mario-centeno-following-the-eurogroup-videoconference-of-9-april-2020.
[12] Sentenza del 27 novembre 2012, Thomas Pringle contro Governement of Ireland e altri, Causa C‑370/12, nn. 69 e 111.
[13] M. Dani e A.J. Menéndez, Le ragioni di un rotondo No al Mes (3 aprile 2020), www.lacostituzione.info/index.php/2020/04/03/le-ragioni-di-un-rotondo-no-al-mes.
[14] Art. 7 comma 5 Regolamento Ue 21 maggio 2013 n. 472 sul
rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati
membri nella zona Euro che si trovano o rischiano di trovarsi in gravi
difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria.
[15] Le Maire: I fondi del Mes si potranno usare anche per coprire le spese non sanitarie
(16 aprile 2020),
www.lastampa.it/topnews/primo-piano/2020/04/15/news/le-maire-i-fondi-del-mes-si-potranno-usare-anche-per-coprire-le-spese-non-sanitarie-1.38721629.
[16] Proposta di Regolamento che
istituisce uno strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i
rischi di disoccupazione in un’emergenza (Sure) a seguito della
pandemia di Covid-19 del 2 aprile 2020, Com/2020/139 fin.
[17] Regolamento 18 luglio 2018 n. 1046 che stabilisce le regole finanziarie applicabili al bilancio generale dell’Unione.
[18] Considerando n. 158 Regolamento 18 luglio 2018 n. 1046, cit.
[19] Relazione di accompagnamento alla Proposta del 2 aprile 2020, cit.
[20] Così Stefano Fassina, ripreso da C. Clericetti, L’Ue e il dentifricio più usato dai dentisti (3 aprile 2020), https://clericetti.blogautore.repubblica.it/2020/04/03/la-ue-e-il-dentifricio-piu-usato-dai-dentisti.
[21] Art. 11 Regolamento 21 giugno 1999 n. 1260 recante disposizioni generali sui Fondi strutturali.
[22] Decisione del Consiglio del 26 maggio 2014 relativa al sistema delle risorse proprie dell’Unione europea, 2014/335/Ue.
[23] Cfr. Future Financing of the Eu. Final Report and Recommendations of the High Level Group on own Resources (dicembre 2016), http://ec.europa.eu/budget/mff/hlgor/library/reports-communication/hlgor-report_20170104.pdf.
[24] Directorate general for internal policies – Policy Department A: Economic and scientific policies, Eurobonds: Concepts and Implications. Compilation of Notes for the Monetary Dialogue of March 2011, www.europarl.europa.eu/cmsdata/174362/20120130ATT36516EN.pdf.
[25] Ursula von der Leyen, Scuateci ora la Ue è con voi
(1. aprile 2020),
https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2020/04/01/news/europa_ursula_von_der_leyen_bruxelles_scusateci_ora_la_ue_e_con_voi-252912437.
[26] Completare l’Unione economica e monetaria dell’Europa (22 giugno 2015), https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/5-presidents-report_it.pdf.
[27] Documento sull’approfondimento dell’Unione economica e monetaria del 31 maggio 2017, Com/2017/291 fin.
[28] Comunicazione della Commissione sull’attivazione della clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita del 20 marzo 2020, Com/2020/123 fin.
[29] S. Fassina, Bce e Commissione Ue inadeguate. L’Eurogruppo sterilizzi il debito pubblico
(15 marzo 2020),
www.huffingtonpost.it/entry/bce-e-commissione-ue-inadeguate-leurogruppo-sterilizzi-il-debito-pubblico_it_5e6e433ec5b6747ef11ef5af.
[30] Y. Varoufakis, The Eu’s new coronavirus relief deal is a gift to Europe’s enemies (11 aprile 2020), www.theguardian.com/world/commentisfree/2020/apr/11/eu-coronavirus-relief-deal-enemies-debt-eurozone.
[31] Sulla scia di G. Carli, Cinquant’anni di vita italiana (1993), Roma e Bari, 1996, p. 432 ss.
[32] Risoluzione del Parlamento europeo del 17 aprile 2020 sull’azione coordinata dell’Ue
per lottare contro la pandemia di Covid-19 e le sue conseguenze, P9_TA-PROV (2020) 0054, n. 19.
[33] Ivi, n. 26.
[34] Conclusioni del presidente del Consiglio europeo a seguito della videoconferenza dei membri del Consiglio europeo
del 23 aprile 2020,
www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2020/04/23/conclusions-by-president-charles-michel-following-the-video-conference-with-members-of-the-european-council-on-23-april-2020.
[35] Una tabella di marcia per la ripresa. Verso un’Europa più resiliente, sostenibile ed equa, www.consilium.europa.eu/media/43414/20200421-a-roadmap-for-recovery_it.pdf.
[36] S. Cesaratto, Economia e pandemia: domande e risposte sull’Italia e l’Europa
(6 aprile 2020),
http://temi.repubblica.it/micromega-online/economia-al-tempo-della-pandemia-domande-e-risposte-sull-italia-e-l-europa.
[37] Cfr. Rinnovamento europeo – Discorso sullo stato dell’Unione del 28 settembre 2011, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/SPEECH_11_607.
[38] M. Hesse et al., Am Abgrund, in Der Spiegel del 28 novembre 2011, www.spiegel.de/spiegel/print/d-82244908.html.
[39] E. Brancaccio, E se l’uscita dall’Euro diventasse inevitabile? (2 maggio 2017), www.ilsole24ore.com/art/e-se-l-uscita-dall-euro-diventasse-inevitabile-AEIla7EB.
Fonte
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