“Ripartire, riaprire”… Il grido di Confindustria e Confcommercio – con tanto di minacce di scendere in piazza – risuona in tutta Europa (ognuno ha una Confindustria, da queste parti) e ha portato tutti i paesi a pianificare un via libera alle attività produttive e commerciali piuttosto anticipato rispetto alle indicazioni dei comitati scientifici (questi, sì, tutti compatti nello sconsigliare la fretta).
Tra gli esempi più citati – da Carlo Bonomi, neo-boss di Viale dell’Astronomia, o dall’eterno Carlo Sangalli – c’è ovviamente la Germania. Mito di efficienza, (ordo)liberismo, scientificità, sburocratizzazione, governi stabili...
E in effetti la Germania ha riaperto molte attività da lunedì scorso, 20 aprile, sollevando l’invidia e la rabbia degli imprenditori di casa nostra, anche se in realtà il 60% delle imprese – qui – non ha mai chiuso. Nemmeno a Bergamo o a Brescia, mentre pile di bare venivano portate via dai camion dell’esercito...
“Facciamo come in Germania”, insomma... C’è solo un piccolo problema. Berlino ha in effetti riaperto molte porte, ma soprattutto quella del contagio.
In pochi giorni il tasso di contagiosità – che era sceso a 0,7 – è risalito a 1, ovvero ogni persona infetta ne contagia un’altra. È il limite al di sotto del quale si può ragionevolmente ritenere un’epidemia “sotto controllo”, ma sicuramente non “battuta” (in questo caso sarebbe zero).
Questo indicatore è stato assunto come parametro da chi – tutti i governi dell’Occidente capitalistico – ha preteso di “conciliare la produzione con la salute”, riuscendo nel fantastico risultato di perdere su entrambi i fronti.
Ma anche ammesso – e non concesso – che questo indicatore sia davvero utile, bisogna prendere atto che anche una controllata riapertura di più attività comporta un rapido aumento dei contagiati e dei morti.
Ed infatti anche il tasso di letalità della malattia è aumentato di giorno in giorno. Secondo i dati del Robert Koch Institute, l’altro ieri ha raggiunto il 3,8%, comunque il più basso del mondo.
Su questo punto i dati tedeschi sono stati guardati con sospetto fin dall’inizio: troppo pochi i morti rispetto ai contagiati, un tasso diverso da tutti gli altri Paesi. E troppo giovani le vittime, come se venissero conteggiati soltanto i morti di solo coronavirus (senza insomma tener conto della pluripatologie, tipiche dei più anziani).
La graduale ripartenza era stata abbastanza sostanziosa. Oltre alle fabbriche – mai fermate del tutto – hanno riaperto i negozi con una superficie inferiore agli 800 metri quadrati, concessionarie di auto, negozi di biciclette e librerie. In Sassonia erano state riaperte anche le scuole.
Non ci vuole uno scienziato per capire che, oltre a più lavoratori in giro, sono aumentati anche “i clienti” (ognuno di noi ricopre del resto più ruoli nella stessa giornata...). E quindi si sono moltiplicate esponenzialmente le occasioni quotidiane di contatto e contagio.
In più, anche in Germania sta esplodendo il caso dei focolai di Covid-19 nelle case di riposo per anziani, che hanno fatto rapidamente salire il tasso di letalità, avvicinandolo un po’ di più a quello "realistico".
Oggi anche nel primo paese d’Europa i contagiati ufficiali sono quasi 160.000, mentre i morti hanno superato i 6.000.
Lo stesso presidente del Robert Koch Insitute ha dunque voluto insistere nella raccomandazione planetaria: rimanere a casa il più possibile e osservare il distanziamento sociale di almeno un metro e mezzo.
Ma non ha osato criticare pubblicamente le decisioni governative, sia sulla riapertura che sulle modalità di protezione individuale. In Germania, in questi giorni, resta il divieto di contatto tra persone, ma soltanto da lunedì è obbligatorio indossare mascherine nei negozi e sui mezzi di trasporto pubblico. Non proprio un esempio di efficienza da mostrare al mondo.
Ora sono in dubbio le altre riaperture già previste, a partire dal 4 maggio, proprio come in Italia. Nel piano originale anche le scuole dovrebbero riaprire per questa data, addirittura in tutti i Land.
Nel paese guidato da Angela Merkel, gli occhi sono ora puntati al prossimo incontro fra governo e Lander, fissato per giovedì. L’esecutivo ha chiarito ieri di non voler procedere ad una accelerazione dell’allentamento delle misure restrittive, ma la pressione politica ed economica (gli imprenditori, insomma) sale e anche lì il dibattito sul punto è molto acceso.
Pure la Francia, ieri, ha innestato il freno a mano sulle scadenze del “ritorno alla normalità”. “Se gli indicatori non saranno rispettati, non faremo nessuna riapertura l’11 maggio“, ha detto il premier francese, Edouard Philippe, presentando il piano di riapertura in Parlamento. Tra gli indicatori nominati c’è il numero dei nuovi contagi al giorno, che “deve mantenersi fra i 1.000 e i 3.000“. Non pochi, ma attualmente Parigi ne conta parecchi di più.
Le stesse preoccupazioni, del resto, sono state mostrate da Giuseppe Conte, al centro della canea di destra (i “due Mattei”, Renzi e Salvini, su tutti) che pretende riapertura totale immediata, lamentando “timidezza” e eccessivo ascolto degli scienziati.
Non a caso, il rapporto consegnato al governo italiano dal Comitato tecnico scientifico prevedeva che nel caso di riapertura totale (scuole comprese) ci sarebbero stati 151.000 malati in terapia intensiva e oltre 430.000 ricoverati... Riaperture_report
Un disastro di proporzioni immani, cui lo sconquassato – dai tagli – sistema sanitario nazionale non potrebbe mai reggere. E neanche quello tedesco...
Ascoltando i ragionamenti dei virologi, del resto, l’avevamo candidamente previsto: dove comandano le imprese, il virus festeggia.
Date retta alle Confindustrie, vedrete che futuro radioso...
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