Solo un mese e mezzo fa sembrava che l’abolizione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado fosse il più grave degli attentati a principi e istituti fondamentali del diritto penale e della stessa Costituzione.
Sotto l’attacco congiunto del Governo, della sua maggioranza parlamentare, di frange molto pubblicizzate e politicamente assai incisive della magistratura e di alcuni media fortemente connotati in chiave giustizialista, la riposta dell’avvocatura penalistica, degli studiosi del diritto e del processo penale nonché di alcune singole testate giornalistiche provava ad organizzare una resistenza a tutela di un principio sacrosanto: porre un limite temporale al potere punitivo statuale (altrimenti strabordante) e, dunque, alla durata in(de)finita del processo penale.
A distanza di una manciata di settimane, in piena turbolenza da Covid-19, quella battaglia sembra addirittura una quisquilia, se paragonata a quanto si prospetta nel futuro prossimo in materia di giustizia penale.
La crisi generalizzata (in ogni ambito della società), aggravata in maniera sensibile dalla pandemia, rischia di travolgere principi e istituti fondamentali del diritto processuale penale.
Si è partiti con i primi interventi normativi che hanno introdotto, in casi specifici, la possibilità di celebrare alcune fasi del procedimento penale da remoto: ad es. udienze di convalida, interrogatori di garanzia, udienze con detenuti dinanzi al Tribunale di Sorveglianza.
Tale modalità di celebrazione del processo comporta di fatto una scomposizione dell’unità fisica dell’aula quale luogo di confronto dialettico e compresenza di più soggetti: l’indagato o l’imputato collegati da una caserma o da un istituto carcerario, l’avvocato dal proprio studio (abitazione) o dalla caserma col proprio assistito, il giudice e il P.M. in un’aula vuota.
Questa particolare procedura, giustificata per far fronte a specifiche esigenze di urgenza processuale, per il periodo emergenziale che va dall’8 marzo all’11 maggio di quest’anno, rischia di essere applicata ad un orizzonte temporale più ampio e, soprattutto, estesa a qualsiasi altro momento processuale, finanche con l’imputato libero, persino al momento topico del processo accusatorio: il contraddittorio.
È di ieri, infatti, la notizia che la Commissione Bilancio ha respinto le richieste di apportare modifiche in sede di conversione del D.L. “Cura Italia” in ordine alle modalità di svolgimento da remoto delle attività giudiziarie: per cui anche l’attività istruttoria e le conclusioni delle parti dovrebbero tenersi dal riquadro di una telecamera.
Da alcuni fronti della magistratura (soprattutto inquirente) strombazzano sirene che invitano a rendere ordinarie le predette modalità di celebrazione del processo.
Al Csm i rappresentanti del gruppo del Dott. Davigo (tra i più insofferenti al processo accusatorio) hanno sostenuto che tali misure, messe a regime, consentirebbero di «semplificare e sburocratizzare l’attività giudiziaria, sperimentare nuove modalità operative, avere nuovi approcci ai problemi».
Nel mito dell’efficienza, si prova a distruggere il processo penale così come lo conosciamo oggi (già pesantemente manomesso da numerosi interventi di “giurisprudenza creativa”).
Il testo dell’art. 83 del D.L. “Cura Italia”, nella versione modificata che dovrebbe essere convertita in legge, dovrebbe consentire proprio questo, quantomeno per i prossimi mesi.
Al netto delle problematiche infinite e non di poco conto che genereranno le piattaforme informatiche per i collegamenti tramite internet, il primo cardine dell’attuale processo ad essere violentato sarà quello dell’oralità: «... si ha “oralità” in senso pieno soltanto quando coloro che ascoltano possono porre domande ed ottenere risposte a viva voce dal dichiarante»1.
La vera ed effettiva oralità si consuma solo con la compresenza di tutte le parti, dei difensori, dell’esaminato, dell’imputato e del giudice in uno stesso luogo fisico. La percezione diretta del testimone, l’inflessione della sua voce e la gestualità, il disagio o l’imbarazzo2, la possibilità di evitare che nel corso di un’udienza non abbia accesso agli atti di indagine, non comunichi con alcuna delle parti o con i difensori (eventualmente presenti) o consulenti tecnici, non assista agli esami degli altri o veda, oda o sia altrimenti informato di ciò che si fa nell’aula di udienza (art. 149 disp. att. c.p.p.): tutto ciò si renderà completamente impossibile.
Preservare la genuinità delle dichiarazioni ed evitare qualsiasi tipo di interferenza o eventuale pressione da parte di soggetti terzi o ad opera di forze dell’ordine. Anche questo non sarà garantito.
Tutto il percorso faticoso di costruzione della verità nel contraddittorio tra le parti viene irrimediabilmente alterato. Un ritorno indiretto, di fatto, al modello inquisitorio.
E che ne sarà del segreto della camera di consiglio, con un giudicante magari collegato da casa o da qualsiasi altro luogo? Chi garantirà la giusta meditazione, la immediatezza della decisione, la serenità che dovrebbe vigere nel momento decisionale?
Partendo da simili interrogativi, l’Unione delle Camere Penali Italiane (associazione che accorpa migliaia di avvocati penalisti sull’intero territorio nazionale) si è schierata fermamente contro le paventate ipotesi di processo penale da remoto, pur avanzando proposte concrete per consentire una ripresa dell’attività giudiziaria senza mortificare il ruolo della Difesa e, quindi, l’interesse dell’imputato a subire un giusto processo.
Anche Magistratura Democratica si è di recente pronunciata sul tema con le seguenti osservazioni:
«... riteniamo necessario ribadire che una volta cessata la situazione di emergenza – e mettendo in conto come anche per la giustizia, al pari di altri settori della vita del paese, si tratterà di un processo graduale – occorrerà tornare alla “normalità” e, con essa, alla pienezza di tutte quelle regole processuali che non sono affatto neutre, perché previste dal legislatore in funzione dell’effettività del diritto di difesa e del ruolo di garanzia della giurisdizione. […] Nel momento in cui si deve valutare la legittimità dell’operato della PG è necessario che l’arrestato sia a contatto fisico con il giudice chiamato a decidere, in una posizione anche soggettiva di non condizionamento, che gli consenta un esercizio pieno del diritto di difesa; una posizione, questa, oggettivamente non garantita dalla condizione di stretto contatto con chi ha eseguito l’arresto o il fermo»3.
La smaterializzazione dell’avvocato, il suo distanziamento dall’aula, la separazione fisica tra parti e tra difensore e suo assistito, comporta necessariamente la liquefazione del diritto di difendersi effettivamente nel contraddittorio tra le parti.
Si finisce così per svilire – almeno in un’ottica garantista – la giustificazione principale del diritto penale e del suo processo: la difesa del più debole. Il debole che assume una pluralità di declinazioni: «nel momento del reato è la parte offesa, nel momento del processo è l’imputato e in quello dell’esecuzione penale è il reo»4.
Contro le ragioni del giustizialismo imperante anche in una parte della sinistra, è necessario animare una nuova stagione del garantismo penale, ricordando che vittime privilegiate del potere punitivo dello Stato sono – immancabilmente – le “classi pericolose”.
Biagio Borretti avvocato penalista – membro della Commissione di Garanzia di Potere al Popolo!
Note:
1 P. TONINI, C. CONTI, Il diritto delle prove penali, Milano, Giuffrè, 2^ ed., 2014, pag. 134.
2 «L’attenzione del giudice può essere riportata sulla deposizione di un soggetto della cui sincerità si dubita, anche a mezzo dell’enfasi posta dalla voce su una parola o su una frase; o di una adeguata pausa tra la risposta poco credibile e la domanda successiva, o dal rallentamento nella sequenza delle domande, ovvero da un progressivo inarcamento delle sopracciglia; o dal battere di un dito o di una matita sui denti incisivi;… o da tutti o da alcuni tra questi segnali messi assieme» (D. CARPONI SCHITTAR, La persuasione del giudice attraverso gli esami e i controesami, Milano, Giuffrè, 1998, pag. 37).
3 www.magistraturademocratica.it/comunicato/i-rischi-dell-udienza-telematica_3065.php.
4 L. FERRAJOLI, Il paradigma garantista. Filosofia e critica del diritto penale, Napoli, Editoriale Scientifica, 2014, pag. 203.
Fonte
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