Niente dovrà essere come prima... Almeno nella sanità. Mi riferisco in particolare al complesso industriale farmaceutico, alla ricerca e agli appalti medicali.
L’epidemia virale ha messo in evidenza la fragilità o meglio l’inconsistenza di tale settore. Le politiche di deindustrializzazione realizzate dai governi di centrosinistra prima e quelle di austerità dei governi da Monti fino ai giorni nostri ci hanno portato a un risultato sotto gli occhi di tutti: non esiste più una industria nazionale del settore che possa essere eventualmente convertita e piegata alle necessità di momenti di gravità eccezionale, rappresentati in questo caso dall’epidemia virale.
Il “buco” più evidente è la questione delle mascherine. Non se ne trovano e quando si trovano costano troppo – dovrebbero essere gratuite, se sono obbligatorie – in gran parte non sono a norma, (le NK95 sono un sogno) e soprattutto non vengono riforniti gli operatori a diretto contatto con pazienti virus positivi.
Ma la questione centrale è rappresentata dai tamponi. L’esperienza cinese ci ha insegnato che è stata l’arma vincente per contenere la diffusione del virus, almeno dal punto di vista medico-epidemiologico. Più se ne fanno maggiore è la mappatura della diffusione del virus che si ottiene e maggiore è la possibilità di contenimento dell’infezione.
Senza guardare alla Cina, l‘evidenza più eclatante in Europa è la Germania, dove sono stati eseguiti ben 4.000.000 di tamponi. Il risultato è stato un minor numero di contagi e di deceduti e una maggiore possibilità di intervento nelle regioni a rischio.
Sorge spontanea allora una domanda: perché in Italia non è stato possibile?
La risposta è che la Germania detiene il monopolio degli apparati medicali in Europa e ha una delle più grandi industrie farmaceutiche nel mondo.
Come è riuscita a ottenere questo primato? Ha imposto politiche di austerità nella UE a suo favore, rendendo di fatto dipendenti tutti gli stati in particolare quelli mediterranei, ovviamente Italia compresa.
Il problema dei tamponi non è tanto nel prelievo in sé, già usato ampiamente nella medicina forense (siamo invasi da serial televisivi in merito) quanto dall’apparato attraverso cui giungere per avere risultati in merito: diffusione e numero di laboratori dedicati, personale specializzato, finanziamenti importanti.
In Italia tutto questo esiste, quando esiste, si trova nelle “eccellenze”soprattutto al nord.
Qualche parola, infine, sugli esami sierologici per individuare chi ha espresso “immunità” al virus.
Al momento attuale quello sierologico è un test inattendibile (OMS dixit): come affermano gli esperti non ha sensibilità e specificità attendibili.
Questo per varie ragioni: metodica non ancora debitamente affinata, possibilità di falsi negativi... in pratica tale test non è in grado di dare risposte esatte sull’andamento anticorpale del virus.
Gli studi proseguono andando a ricercare comunità che inconsapevolmente hanno sviluppato una reazione anticorpale adeguata.
Per concludere, non siamo neanche certi che chi ha gli anticorpi possa non reinfettarsi, poiché in Cina esistono già casi di reinfezione.
Questo fatto è probabilmente legato alle varie mutazioni a cui è soggetto il virus. In merito alla corsa dei vari laboratori privati a proporre kit di individuazione anticorpale cioè è puramente speculativo sul piano ecomico-politico visto il costo privato della prestazione.
Sul piano scientifico l’unica possibilità di sconfiggere il virus è la vaccinazione che però è di là da venire.
Rispettando naturalmente le priorità – intesi come i brevetti – delle industrie farmaceutiche mondiali.
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