Vista la lunghezza di questo contributo, lo pubblicheremo in due “tranche”.
La prima parte tratta dei tentativi fallimentari in epoca pre-rivoluzionaria di sviluppare una sovranità monetaria propria, e della successiva (limitata) funzione della moneta nell’economia della Repubblica Popolare dalla Rivoluzione del 1949 fino al 1992.
Quest’anno viene indicato dagli autori come “spartiacque” ed inizio della “monetizzazione” del sistema economico.
Con la “strada verso la monetizzazione” inizia la seconda parte del contributo che pubblicheremo in seguito.
Un altro aspetto centrale descritto nell’articolo è il decennale processo di accumulazione cinese e di come questo si sia fondato sulle peculiari caratteristiche del rapporto tra campagna e città (attraverso un massiccio trasferimento di surplus dalla prima alla seconda) sullo sfondo dell’evoluzione delle politiche intraprese dalla riforma agraria in poi. Un rapporto complesso – come vedremo nei prossimi contributi che indagheranno alcune specificità del “socialismo con caratteristiche” cinesi – e che pone la questione agraria come uno dei nodi principali delle decisioni politiche fino ai giorni nostri.
La governance dei processi economici nelle mani della dirigenza comunista e la “de-conessione” per un lungo periodo di una larghissima parte della popolazione rurale dall’economia di mercato sono alcune chiavi di lettura della capacità di sviluppo del “socialismo con caratteristiche cinesi” fino al 1992.
Fino alla rivoluzione del 1949 la Cina è stata per così dire sempre a “sovranità monetaria limitata”. Il contributo analizza sinteticamente “tre fasi” particolari in cui fattori differenti ne minavano l’autonomia economica: il controllo di fatto dell’imperialismo britannico nell’ultima parte dell’Ottocento fino alla fondazione della Repubblica nel 1911; l’impiego del sistema a “silver-standard”, in cui il valore della moneta era agganciato a quello dell’argento, metallo di cui non era produttrice, cosa che portò al fallimento del tentativo di instaurare un sistema monetario moderno a metà degli anni '30 e allo scatenarsi dell’iperfinflazione; ed ultimo il periodo del Gold-Yuan, una moneta garantita dalle riserve in dollari e dai prestiti statunitensi, nel periodo precedente alla vittoria della Rivoluzione Comunista. Quest’ultimo tentativo costerà caro all’élite politica del KMT, come riportano gli autori, ben spiegando anche i fattori economici alla base della loro sconfitta militare.
Dopo la vittoria del Partito Comunista, la fuga dei metalli preziosi a Taiwan e le speculazioni finanziarie posero le prime sfide al processo di transizione economico. La moneta venne “ancorata” saldamente non al valore di riserve di minerali preziosi o ad altre valute ma ai “tre bianchi” (riso, farina e tessuto) che costituivano beni basilari nella vita cinese. La riforma agraria che ridistribuì la terrà ai contadini rinnovando la civiltà rurale cinese eliminando il regime feudatario che l’aveva caratterizzata, permise all’88% della popolazione di “sganciarsi” dalle dinamiche dell’economia di mercato, all’interno di un processo di “de-connessione” e di “de-monetizzazione” ben descritto nell’omonimo capitolo. Fu proprio questa riforma che salvaguardò le campagne (e di conseguenza la Cina tutta) da quelle crisi causate da una modernizzazione coatta che avevano flagellato il paese nei decenni precedenti. In pochi anni vennero prodotti beni agricoli – grazie al coinvolgimento dei contadini nel processo di transizione alla “Nuova Democrazia” – in grado di eccedere in un primo momento la domanda urbana, anche se ulteriori passi in avanti si resero necessari per passare dalla “stabilizzazione” al vero e proprio sviluppo.
Fu la “Guerra di Corea (1950-1953)”, in cui la Cina entrò ufficialmente nell’ottobre del 1950, a costituire il primo vettore dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione, realizzata inizialmente per fini bellici grazie all’immissione di capitale sovietico, che in quel primo momento era costituito da donazioni. Non sarà più così dal 1960, con la rottura dei rapporti URSS-Cina e l’inizio di “normali” relazioni commerciali che durarono dal ’57 al ’60 appunto. Dentro questa economia industriale di guerra fu possibile l’urbanizzazione di 20 milioni di persone.
Ma l’Unione Sovietica servì anche come matrice dello sviluppo industriale, modellato grazie all’installazione di linee di assemblaggio sovietiche, costruite con criteri di organizzazione scientifica, nel nord-est della Cina nel 1950. Tale modello si estenderà poi a tutto il territorio, tanto che all’alba del Primo Piano Quinquennale (1952-1957) vi erano più di 600 progetti industriali già avviati.
Lo scambio campagna-città sarà l’asse degli ulteriori sviluppi, con 400 milioni di contadini che formeranno sotto la guida maoista 40 mila cooperative, vendendo i propri prodotti allo Stato ad un prezzo di mercato unificato.
Il processo di “collettivizzazione” che inizierà nel 1956 permetterà di creare le condizioni per l’acquisto nelle campagne di beni come trattori e di “trainare” lo sviluppo fino al primo incrinarsi del rapporto con l’URSS, minando la realizzazione degli obiettivi del secondo Piano Quinquennale.
Come abbiamo visto in un contributo precedentemente tradotto la rottura Cina-URSS è stato forse uno dei fattori di crisi più pesanti nella storia dello sviluppo economico cinese, e nella contingenza specifica “costrinse” la Cina a ricalibrare i propri piani di sviluppo industriale.
Durante la Guerra Fredda, venuto meno il rapporto con l’URSS, ciò che si poteva reperire sul mercato mondiale per il proprio sviluppo industriale erano strutture “obsolete” per lo sviluppo che non permettevano la vendita sul mercato internazionale di prodotti industriali fabbricati grazie ad esse, in quanto di qualità inferiore a quelli prodotti in occidente. Attuata la “collettivizzazione”, la Cina dovette ri-centrare il suo sviluppo su di sé e configurarlo a seconda delle nuove esigenze dettate dallo scontro geo-politico internazionale, cioè la possibilità di invasione del proprio territorio.
Il processo di collettivizzazione si basava sulla creazione di “Cooperative Avanzate di Produzione Agricola” nel 1956 – che nel 1958 diventeranno “Comuni del Popolo” – e prevedeva l’assunzione della funzione fiscale e finanziaria, oltreché produttiva. Le 90 mila unità di villaggio in cui venne riorganizzato il sistema politico-economico cinese divennero il centro propulsivo dello scambio città e campagna.
Attraverso la cosiddetta “forbice dei prezzi” imposta dalla direzione comunista, fu possibile fino a fine anni ’70 l’accumulazione primitiva di capitale: i prodotti industriali venivano venduti alle unità di villaggio a costi elevati, mentre questi vendevano i loro prodotti agricoli allo stato a prezzi contenuti.
Questo trasferimento di surplus dalla campagna alla città ha permesso di garantire lo sviluppo della città e della produzione industriale con tempi molto più rapidi di quanto fosse successo in occidente (dove le basi dello sviluppo si sono trovate nello sfruttamento secolare delle risorse e della forza lavoro dalle colonie), pur a scapito dei 4/5 della popolazione, i contadini, situazione che creò numerosi problemi.
Questo processo, che pose le basi per l’ulteriore sviluppo industriale cinese, spostò in 300 anni 700/800 miliardi di Yuan dalla campagna alla città.
La moneta durante tutto il periodo descritto non aveva la sua funzione tradizionale di facilitare gli scambi, ma solo quella di contabilizzazione interna alle imprese statali e alle organizzazioni di villaggio. Non vi era “eccedenza” significativa nelle campagne che producesse una significativa circolazione monetaria oltre gli scambi strutturati tra città e campagna, mentre in città l’acquisto dei beni essenziali era garantito attraverso un sistema di “buoni” di cui disponevano i residenti urbani e che verranno aboliti nel 1992, anno che gli autori indicano come l’inizio del processo di monetizzazione della Cina.
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Renminbi. Un secolo di cambiamenti (Prima parte)
Sit Tsui, Qiu Jiansheng, Yan Xiaohui, Erebus Wong e Wen Tiejun
Monthly Review, Volume 70, Issue 06, November 2018
Questo articolo fornisce una panoramica dell’evoluzione del renminbi nel ventesimo e ventunesimo secolo [1]. Nel tracciare i cambiamenti politici ed economici del moderno sistema monetario, troviamo che il 1992 è stato il primo anno in cui il renminbi è diventato una vera moneta reale e il primo anno della monetizzazione cinese. Tuttavia, non si possono dimenticare i suoi preludi e le sue ouverture.
Fin dalla tarda dinastia Qing, la Cina ha cercato di stabilire un moderno sistema monetario basato sulla sua capacità fiscale nazionale. Tuttavia, le fondamenta fiscali della tarda dinastia Qing erano inconsistenti e la sua politica dei dazi doganali era controllata da potenze straniere, con il diplomatico britannico Robert Hart in qualità di ispettore generale del servizio doganale dal 1863 al 1911. Inoltre, il governo dei Qing poteva applicare solo un’aliquota tariffaria del 5% (zhi bai chou wu), molto bassa in quanto fungeva effettivamente da indennità per la vittoria delle potenze occidentali nell’invasione della Cina [2]. Mezzo secolo di continue invasioni straniere e guerre civili, oltre all’enorme debito estero, hanno completamente esaurito le casse del governo Qing. Così, dopo aver fallito gli sforzi per emettere valuta basata sulla finanza nazionale, e continuando fino all’inizio dell’era repubblicana, la Cina era rimasta fedele al sistema valutario del silver standard, utilizzando l’argento come mezzo di scambio. Negli anni ’30, il governo della Repubblica Cinese si sforzò ancora una volta di modernizzare il sistema valutario, ma, a causa di circostanze internazionali, assistette all’ascesa e al declino della moneta fiat basata sul moderno sistema fiscale. Da quando il Partito Comunista Cinese (PCC) prese il potere nel 1949, il renminbi ha subito una lunga evoluzione, dalla crisi di iperinflazione del 1949-50, alla “de-monetizzazione” e allo “sganciamento” dell’economia cinese durante i periodi di Mao Zedong. Oggi il renminbi si trova ad affrontare il contesto competitivo della globalizzazione finanziaria, in particolare le sfide e le opportunità della sua internazionalizzazione.
Valuta durante il Kuomintang
Tra il 1935 e il 1936, il governo del Kuomintang (KMT) adottò il sistema monetario fiat, emettendo il fabi, che si traduce come “moneta legale”. Il motivo principale dell’emissione del fabi è stato lo scoppio della grande crisi economica in Occidente nel 1929. Di conseguenza, i quattro Paesi che avevano accordi di commercio dell’argento con il governo della Repubblica Cinese rinnegarono gli accordi per fornire alla Cina argento al prezzo contrattuale.
La Cina non produceva argento; la sua fornitura si basava su altri Paesi. In altre parole, la stabilità del silver standard in Cina dipendeva dalla fornitura di argento dall’estero. Quando scoppiò la crisi nel 1929, i prezzi dei metalli preziosi aumentarono, i paesi che avrebbero dovuto fornire argento alla Cina, al prezzo concordato, non lo fecero più e la Cina si trovò a corto di argento.
Ciononostante, va notato che durante il primo periodo della Grande Depressione il prezzo dell’argento era sceso drasticamente, soprattutto se misurato rispetto all’oro. Questo perché i paesi che commerciavano con la Cina, come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, il Giappone e l’India, adottavano all’epoca il gold standard e avevano una bassa domanda di argento. Nel 1932 il prezzo dell’argento si era più che dimezzato. Gli stati produttori di argento negli Stati Uniti, pur essendo trascurabili in termini economici, erano molto influenti in politica. Essi fecero pressione sull’amministrazione Roosevelt per sostenere il prezzo dell’argento. Nel 1934 fu approvato il Silver Purchase Act, che autorizzava Franklin D. Roosevelt a nazionalizzare l’argento negli Stati Uniti, consentendo alla gente di consegnare le proprie proprietà alla Zecca in cambio del pagamento da parte del governo federale. Nel 1935, il prezzo dell’argento salì di oltre tre volte rispetto al punto più basso del 1932 [3].
La fluttuazione del prezzo dell’argento ebbe un altro effetto sulla Cina. Quando il prezzo scese tra il 1929 e il 1932, anche il tasso di cambio della valuta cinese legata al silver standard diminuì, migliorando le esportazioni cinesi e determinando un sostanziale surplus commerciale. Quando altre grandi economie affondavano, l’economia cinese prosperava. Tuttavia, dal 1931 al 1933, una dopo l’altra, queste economie abbandonarono il gold standard e, di conseguenza, la valuta cinese basato sull’argento aumentò notevolmente il suo valore. Il volume del commercio internazionale della Cina diminuì e il surplus commerciale divenne un deficit commerciale. In questo contesto, la Cina doveva esportare metalli preziosi per compensare il deficit. Così, quando il resto del mondo iniziava a riprendersi dalla Grande Depressione, l’economia cinese iniziò a scivolare verso la crisi.
Quando il prezzo dell’argento salì sul mercato internazionale, le scorte d’argento in Cina si esaurirono. Incontrando una grave carenza di valuta e di capitali in una fase iniziale del capitalismo, la Cina cadde in una crisi simile a quella del tardo Medioevo in Europa, poco prima che si alzasse il sipario sul primo capitalismo. Durante quel periodo, il commercio con l’Oriente aveva prosciugato le riserve d’argento in Europa, provocando una crisi dell’argento e una guerra prolungata. I paesi sconfitti furono allora sottoposti a grandi pressioni per trovare nuove rotte commerciali verso l’Oriente, così come nuove fonti di argento e oro. Più tardi divennero sfruttatori nella cosiddetta scoperta del Nuovo Mondo. All’epoca, la maggior parte dell’argento in Europa trovò la sua strada verso la Cina, il paese orientale con il più alto surplus commerciale.
Cinquecento anni dopo, fu in Oriente che si verificò una situazione simile. Durante gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, proprio quando la Repubblica Cinese iniziò ad entrare nella sua età dell’oro della crescita – in cui l’industrializzazione e l’urbanizzazione avvenivano contemporaneamente – la crisi dell’argento, con conseguente deflazione e a sua volta depressione economica, colpì duramente lo sviluppo capitalistico. Proprio come la dinastia Qing prima di lui, il governo cinese non riuscì a creare un sistema monetario fiat, poiché la credibilità della moneta emessa sarebbe stata minata dall’esaurimento dell’argento e dalla conseguente stretta creditizia.
Nel 1935 il Giappone invase e occupò il nord della Cina. I giapponesi alzarono il prezzo dell’argento nel territorio acquistando ciò che potevano, spingendo ulteriormente il deflusso di argento dalla Cina e riducendo drasticamente la riserva di metalli preziosi del governo.
In sintesi, la mossa della repubblica di abbandonare il silver standard e di adottare un sistema monetario fiat fu sfortunata. In primo luogo, la tempistica della riforma non era giusta: fu imposta al governo dalla grande crisi capitalistica del 1929 in Occidente. In secondo luogo, l’invasione della Cina settentrionale da parte del Giappone nel 1935 esacerbò ulteriormente l’esaurimento dell’argento, prosciugando le riserve del governo. Inoltre, il governo, in preparazione alla guerra, dovette utilizzare metalli preziosi per acquistare armi, attrezzature e materiali da oltreoceano [4]. Nel frattempo, gran parte delle attrezzature militari utilizzate dal Giappone nell’invasione della Cina erano state fornite dal Regno Unito e dagli Stati Uniti[5]. La pressione della guerra esaurì ulteriormente le scorte di metalli preziosi della Cina. Il sistema monetario fiat era condannato, e dopo la totale invasione da parte giapponese nel 1937, l’iperinflazione affliggeva la Cina.
Il periodo di iperinflazione durò dodici anni, dal 1937 al 1949, fino al 1950. Nel 1948 il governo del KMT sostituì il fabi con una nuova moneta, lo yuan d’oro, che non era sostenuto dall’oro ma dalla riserva di dollari del governo. La leadership del KMT fece la mossa coraggiosa di adottare lo yuan d’oro per salvare il sistema monetario [6] Questo fu l’ultimo passo nel lungo tentativo di stabilire un moderno sistema di moneta fiat, sostenuto prima dal metallo prezioso, poi da altre monete forti. Tuttavia, ciò non solo non risolse la prolungata crisi che era emersa dopo l’adozione del moderno sistema monetario, ma portò anche alla fine del dominio del KMT nel Paese.
Questo disastro finanziario fu, in superficie, una conseguenza del passaggio allo yuan d’oro, per il quale il governo del KMT prese in prestito dagli Stati Uniti 48 milioni di dollari, utilizzando questa valuta estera sostenuta dal sistema di Bretton Woods. All’epoca, la politica del governo del KMT per stabilizzare lo yuan d’oro era l’impegno a un tasso di cambio fisso con il dollaro statunitense. Tuttavia, a causa dei disavanzi commerciali, mancava la premessa fondamentale per un simile obiettivo – un adeguato afflusso di dollari USA per sostenere il valore della valuta. Pertanto, lo yuan d’oro durò solo quattro mesi e crollò dopo che gli Stati Uniti rifiutarono di aiutarlo a riprendersi. Le speculazioni finanziarie diventarono dilaganti, con i funzionari governativi che guidavano la corsa all’acquisto di lingotti d’oro. Il fatto di fondo fu che le élite repubblicane, compresi gli alti funzionari della burocrazia finanziaria, non potevano fare altro che sottomettersi ai poteri egemonici esterni, determinando una condizione di sovranità incompleta.
Alla fine del 1948 il sistema fiscale e finanziario del governo del KMT era in completo collasso. Non era più sufficiente a sostenere le spese militari per l’esercito. I soldati erano demoralizzati perché i loro stipendi diventavano inutili il giorno dopo essere stati ricevuti. Era impossibile per il KMT sostenere il suo potere di governo nel paese. Questa fu la ragione principale per cui, nonostante fossero più numerose di quelle dei loro nemici, le truppe formali e modernizzate del KMT furono sconfitte dall’Esercito di Liberazione del Popolo, che era armato con armamenti obsoleti (“miglio più fucili”, come diceva il PCC). Quest’ultimo ebbe inoltre l’ampio sostegno dei contadini, che aiutarono portando i rifornimenti al fronte, motivati dall’idea di rivoluzione agraria del Partito Comunista. Alla sconfitta militare si aggiunse il crollo di quasi quattro decenni di sforzi di modernizzazione da parte delle élite della vecchia repubblica. Anche se il KMT fosse stato serio nell’attuare le riforme politiche, come richiesto dai democratici cinesi e dai politici occidentali, sarebbe stato impossibile per loro recuperare la propria capacità di governare. La scomparsa della vecchia repubblica può essere attribuita alla mancata creazione di un moderno sistema fiscale e finanziario, così come alla disintegrazione di un moderno sistema monetario. Anche se il regime del KMT fosse riuscito a consolidare la sua posizione tra le numerose élite, il suo fallimento sarebbe rimasto inevitabile.
Si può fare un paragone tra il deterioramento del KMT e il ruolo del Partito Comunista nei Monti Jinggang sovietici negli anni ’30 del secolo scorso.
La regione dei Monti Jinggang era la residenza di una società agricola tradizionale, la cui modalità economica era incompatibile con un moderno sistema fiscale-finanziario. Di conseguenza, la rigida replica del sistema sovietico sovraccaricò i contadini e l’economia della zona crollò. Inoltre, alcuni quadri del PCC proposero anche una guerra di posizione anti-assedio, che poteva essere possibile solo con il moderno sostegno militare. Così, l’imposizione dogmatica del sistema economico sovietico in condizioni per le quali era inopportuno portò prima al collasso economico, poi al fallimento politico e alla sconfitta militare, costringendo infine l’intera base a trasferirsi.
Quando, tra il 1949 e il 1950, la Repubblica Popolare Cinese (RPC) si stabilì nel Paese, la capacità di continuare il moderno sistema di moneta cartacea era debole. La riserva aurea del Paese era stata quasi interamente trasferita a Taiwan per diventare la riserva di metalli preziosi per la creazione di un sistema di moneta cartacea relativamente stabile sull’isola. Dall’altra parte dello stretto, la RPC adottò un sistema di moneta cartacea basato sulla credibilità della sovranità, ma non era sostenuto da una riserva di metalli preziosi. In pratica, si prolungarono le dure conseguenze della crisi dell’inflazione che era durata tredici anni da quando la vecchia repubblica aveva adottato un sistema di moneta cartacea. Alcuni ricercatori teorizzano che i primi anni di caos economico sotto il nuovo regime furono dovuti alla sua chiusura al libero mercato. Ma questo non ha senso: date le circostanze, parlare di economia pianificata o di libero mercato non è il punto della questione. L’inflazione che la Repubblica Popolare Cinese dovette affrontare fin dall’inizio non fu un problema di pianificazione o di mercato, ma un problema di mancanza della base necessaria per sostenere la sua moneta. Si trattava di riserve di metalli preziosi [7].
La crisi di iperinflazione del 1949-50
La nuova Repubblica Popolare Cinese ereditò la crisi di iperinflazione della vecchia repubblica [8]. Il nuovo governo centrale dovette adottare una serie di misure per sopprimere l’inflazione e prevenire l’aggravarsi della già grave crisi monetaria. Furono chiusi i mercati speculativi che avevano alimentato l’inflazione in passato. Il valore di un deposito bancario era ancorato a una certa quantità dei “tre bianchi” (riso bianco, farina bianca e tessuto bianco), che erano essenziali per il sostentamento della popolazione [9]. Contemporaneamente, il nuovo governo spinse avanti la riforma agraria rurale su larga scala. Nel 1951, quando la riforma agraria fu pienamente attuata in tutto il Paese, fu possibile distaccare la popolazione rurale cinese, che rappresentava l’88% della popolazione totale, dalla moderna economia monetaria. Si potrebbe dire che fu la riforma agraria che permise ai contadini di uscire dalla crisi della modernizzazione in una sola mossa, sollevando il governo dalla pressione della possibilità che l’inflazione potesse diffondersi nelle campagne. Così, la Cina fu nel complesso in grado di raggiungere la stabilità sociale.
In breve, i precursori della creazione di un moderno sistema finanziario cinese furono la crisi di iperinflazione della vecchia Repubblica dopo i tentativi di perseguire una moderna riforma monetaria, così come le misure della nuova Repubblica Popolare Cinese, nei suoi primi anni, per reprimere l’inflazione. Questi due fattori sono cruciali per comprendere l’evoluzione del sistema finanziario cinese negli anni ’50, con il renminbi come moneta.
Non è corretto semplicemente equiparare la modernizzazione precoce della Cina, dalla tarda dinastia Qing alla vecchia Repubblica, con l’avanzamento della società cinese. Mettendo insieme la storia dell’incauta ricerca della modernizzazione del popolo cinese negli ultimi cento anni, e guardando alle sue continue ripercussioni, potremmo scoprire che ciò che ha ripetutamente alleviato le grandi crisi è stata in realtà la de-modernizzazione.
La riforma agraria facilitò anche il distacco della Cina dal modello occidentale di modernizzazione. Questo perché l’essenza della riforma agraria era un rinnovamento generale dell’economia contadina. Durante gli anni della sua fondazione, la Repubblica Popolare Cinese aveva fatto affidamento sulla completa ripresa dell’economia contadina per trascendere la grave crisi provocata dalla ricerca di modernizzazione della vecchia Repubblica. La riforma agraria permise ai contadini di possedere la terra, aumentando la loro motivazione alla produzione e, a sua volta, aumentando la produttività della terra. La domanda di prodotti urbani fu quindi soddisfatta, nella misura in cui l’offerta era superiore alla domanda. La moneta come mezzo di scambio per i prodotti di base industriali/agricoli tra il settore rurale e quello urbano si stabilizzò in questo modo.
De-monetizzazione e scollegamento
Nel giugno 1950 scoppiò la guerra di Corea. Ad ottobre, la Cina entrò ufficialmente in guerra. A causa della partecipazione della Cina alla guerra, prese forma un’alleanza strategica sino-sovietica. L’ex Unione Sovietica fornì supporto militare alla Corea del Nord e aiutò la Cina nella costruzione di infrastrutture e nella produzione militare. Questo, a sua volta, stimolò la domanda nel settore urbano cinese e portò a un boom dei prodotti di guerra. Da un lato, questo processo accelerò l’industrializzazione e l’urbanizzazione in Cina, richiedendo che una grande quantità di manodopera rurale si trasferisse nelle città per partecipare alla costruzione di infrastrutture industriali. Dall’altro lato, poiché l’industria militare pesante era indispensabile per vincere la guerra, l’ex Unione Sovietica si mostrò disposta a fornire sussidi strategici per l’industrializzazione della Cina, senza badare a spese. Così l’economia urbana ebbe a disposizione una fonte di capitale straniero, e questo, a sua volta, creò le condizioni necessarie per un’economia monetaria. Il renminbi, come mezzo di scambio, era pronto a facilitare notevolmente l’economia urbana e industriale, generando la domanda per l’espansione della sua offerta.
L’origine dell’economia pianificata cinese è riconducibile al sistema di gestione necessario ad accogliere le linee di produzione trapiantate dall’ex Unione Sovietica nel 1950. Eppure, in quei primi tempi, nessuno nel PCC aveva una chiara idea di cosa fosse un’economia pianificata. Fu l’introduzione delle linee di produzione nella Cina nord-orientale dall’Unione Sovietica che richiese all’ufficio del PCC di lavorare con le esigenze gestionali delle fabbriche modello sovietiche. Fu quindi istituita la Commissione per la Piccola Pianificazione del Nord-Est [10]. Nel 1952 era diventata un accordo istituzionale per le infrastrutture industriali nella maggior parte delle città cinesi. Più di seicento progetti di infrastrutture erano stati avviati e stavano per essere avviati, come disposto dal governo centrale. Fu a questo punto che la Commissione di Pianificazione fu istituita a livello statale.
Una volta istituita la Commissione di Pianificazione Statale, in molte città furono avviati progetti di infrastrutture industriali, facilitando l’occupazione non agricola su larga scala. Più di 20 milioni di giovani e di contadini di mezza età furono mobilitati dal governo per recarsi in città a sostegno delle infrastrutture industriali. Per questo motivo, le città avevano bisogno di grandi forniture di grano e di prodotti agricoli. Questo, a sua volta, richiedeva al governo, che era al servizio del capitale industriale statale, di condurre un gran numero di transazioni con i contadini. Nel frattempo, richiedeva anche al governo di aumentare l’offerta di denaro per le transazioni che riguardavano prodotti industriali e agricoli. Tuttavia, i contadini, che avevano appena beneficiato della riforma agraria e che avevano appena ripreso un’economia contadina altamente diversificata, si sentivano a loro agio con le proprie abitudini modeste e autosufficienti e non avevano interesse ad aumentare il volume degli scambi. Così, il commercio di prodotti agricoli non crebbe. Questo era il problema dei costi di transazione – la difficoltà di transazione dovuta a troppe parti commerciali. Ciò portò ad un’offerta insufficiente di prodotti agricoli, in particolare di grano, nelle città. Questo fu il contesto in cui il governo centrale creò il sistema unificato di acquisto e vendita nel 1953. La motivazione alla base di questa decisione fu la difficoltà pratica di gestire senza intoppi l’economia, piuttosto che un qualche principio ideologico.
Il problema dei costi di transazione fu risolto dal movimento di collettivizzazione avviato da Mao. Quattrocento milioni di contadini cinesi furono messi in circa quarantamila cooperative e lo Stato avrebbe acquistato i loro prodotti a prezzo di mercato su base unitaria. A quel punto, erano passati tre anni da quando i contadini avevano ripreso la produzione e, in quel periodo, avevano accumulato abbastanza prodotti agricoli per il grande acquirente governativo. Inoltre, il sistema di deposito in vigore dal 1950, basato sui “tre bianchi”, aveva già ristabilito la credibilità delle banche statali e il valore del renminbi era stabile. Così, l’impegno unitario di acquisto e vendita del governo si svolse senza intoppi. A quel punto, il renminbi si distinse come valuta sovrana credibile che facilitava gli scambi urbani e rurali.
Tuttavia, la sovietizzazione a tutto campo ebbe costi politici elevati [11]. Nel 1955, Mao organizzò una discussione tra i responsabili di più di trenta nuovi ministeri, proponendo una valutazione della sovietizzazione a tutto campo. In seguito, nel 1956, emerse il disaccordo tra Cina e Unione Sovietica sui grandi eventi internazionali. La primo di tali divergenze fu sulla Rivoluzione ungherese del 1956. L’Unione Sovietica aveva cominciato a rafforzare il suo controllo sull’Europa dell’Est, mentre il PCC respingeva le azioni dei comunisti sovietici e la loro concezione di sé stessi come “partito padre”. Tuttavia, il PCC tenne per sè le proprie opinioni, al fine di preservare la solidarietà comunista internazionale. Ciononostante, i leader sovietici non erano entusiasti. In secondo luogo, sempre nel 1956, in conformità con il trattato sino-sovietico, la Cina riprese la base militare di Port Arthur e la ferrovia di Zhongchang. In effetti, la Cina riprese tutti i rimanenti possedimenti di interesse sovietico nel Paese. Questo portò a una serie di fratture tra le due nazioni, compresa la brusca interruzzione da parte sovietica, deli aiuti all’industrializzazione della Cina non appena il Primo Piano quinquennale si concluse nel 1957. Questo divenne il motivo principale del deragliamento del nuovo sistema di utilizzo dell’economia monetaria per facilitare lo scambio di prodotti industriali e agricoli.
Dall’inizio del secondo piano quinquennale nel 1957, gli investimenti di capitale industriale dall’Unione Sovietica si trasformarono in una transazione commerciale e furono prezzati di conseguenza. Nel 1960, tutti gli investimenti e gli aiuti tecnici furono completamente ritirati. La condizione necessaria per la continuazione dell’industrializzazione – l’aumento simultaneo dell’intensità del capitale e l’aggiornamento delle competenze tecniche – non poteva più essere soddisfatta. Di conseguenza, il secondo piano quinquennale non riuscì a proseguire e concretizzarsi. Nel frattempo, a causa dei pesanti deficit, il governo cinese aveva interrotto i suoi sforzi, dopo soli tre anni, per aumentare l’offerta monetaria e applicare misure monetarie in sostituzione degli investimenti sovietici. Nel 1960, la Cina dovette affrontare la crisi fiscale a causa del suo incauto perseguimento dell’industrializzazione. Questo portò a un cambiamento nella strategia di sviluppo e a un nuovo slogan di fiducia in se stessi, lotta, dolore e difficoltà.
Le prime esperienze di industrializzazione della Cina dimostrarono che se si voleva mantenere un’industrializzazione ad alta intensità di capitale, sarebbe stato necessario procurarsi attrezzature industriali dai paesi occidentali, compresa l’Unione Sovietica. Inoltre, le uniche attrezzature industriali disponibili per l’acquisizione durante la guerra fredda erano quelle già obsolete in Occidente. In quanto tali, i beni prodotti in queste linee di produzione non potevano essere venduti sui mercati d’oltremare. Pertanto, il costo delle attrezzature industriali poteva essere rimborsato solo con prodotti agricoli e minerali rari. Questa fragilità che prese forma negli anni ’50 durante l’accumulazione primitiva del capitale industriale portò all’improvvisa esplosione della crisi economica nel 1960. L’acquisto e la vendita unitaria di prodotti agricoli da parte dello Stato come modo per ripagare il debito estero divenne una strategia ancora più importante. La moneta non aveva più la funzione di facilitare gli scambi, ma rimaneva solo un metodo di contabilizzazione delle imprese statali e delle organizzazioni di villaggio come attività o passività in bilancio. Affidarsi alle organizzazioni sia nelle città sia nelle campagne, in particolare alle organizzazioni di villaggio che garantivano un’adesione permanente e un’equa distribuzione dei terreni pro capite, fu sufficiente a garantire l’affidabilità creditizia del renminbi. In altre parole, fu possibile evitare l’iperinflazione, proprio come nella vecchia Repubblica.
La collettivizzazione dell’agricoltura e l’industrializzazione statale
Dal 1954 in poi, la Cina iniziò a produrre attrezzature pesanti, come trattori e automobili. Tuttavia, la vendita di questi beni industriali divenne un grosso problema. Nel 1955, diversi uffici industriali avevano tutti presentato richieste al governo centrale per la vendita dei propri prodotti alle campagne. Dato che i contadini erano dispersi nell’economia domestica, i prodotti industriali urbani non erano facilmente commerciabili nelle regioni rurali [12]. Pertanto, in concomitanza con la riforma socialista del 1956 dell’economia urbana, il governo centrale aveva spinto le regioni rurali a riorganizzare le cooperative in collettivi più grandi. Il comune fu utilizzato come unità di gestione per questa economia agricola su larga scala. Quattrocento milioni di contadini furono organizzati in quarantamila cooperative per facilitare l’impiego di macchine agricole e di altri prodotti industriali urbani nelle campagne [13].
La collettivizzazione del 1956 fu, in sostanza, l’esproprio dei contadini. Il potere di industrializzare le operazioni agricole, su una scala di migliaia di ettari, fu dato ai comuni. Con ciò, la funzione fondamentale della finanza rurale si spostò verso l’aiuto allo Stato per completare l’accumulazione primitiva dell’industrializzazione, appropriandosi del surplus dell’agricoltura attraverso l’imposizione di bassi prezzi per i prodotti agricoli e prezzi alti per i prodotti industriali (la cosiddetta “forbice dei prezzi”).
Dopo la costituzione delle Cooperative di Produttori Agricoli Avanzati nel 1956, i sistemi fiscali e finanziari, compresi i sistemi finanziari agricoli (cioè i sistemi bancari agricoli), furono istituiti a livello delle Cooperative Avanzate, o piccoli villaggi. Le autorità statali, come il reparto acquisti e vendite e il reparto cereali, furono impiegate per effettuare acquisti e vendite unificate. Nel 1958, le cooperative furono ribattezzate “comuni popolari” e amministrate a livello comunale, come le Cooperative Avanzate. In questo modo i villaggi di tutto il Paese furono organizzati in novantamila unità. Divennero l’architrave del sistema fiscale e finanziario dello Stato, così come del commercio di grano, trasformandosi essenzialmente in centri tutto-in-uno per lo scambio di prodotti industriali e agricoli, così come per la compensazione fiscale e finanziaria.
L’accumulazione primitiva del capitale industriale dello Stato poteva appoggiarsi solo sulla collettivizzazione rurale. I comuni della popolazione crearono stazioni di trattori (poi ribattezzate stazioni di macchine agricole) e costruirono fabbriche per cinque industrie minori, tra cui la produzione di macchinari agricoli e di attrezzature agricole, oltre a strutture di supporto. I prodotti industriali potevano così trovare la loro strada nei settori rurali. Ora, lo Stato avrebbe potuto inviare alle città, secondo i suoi piani, vari prodotti industriali (non commerciabili all’estero), come i modelli di torni dell’Unione Sovietica, macchine per la perforazione e macchine per la brillantatura. I prezzi di tali prodotti erano relativamente alti e il loro acquisto richiedeva il sostegno finanziario della Banca Agricola, che aveva il compito di concedere prestiti ai comuni. I gruppi di produzione di basso livello erano costretti a vendere i loro prodotti agricoli allo Stato a prezzi molto bassi. Di conseguenza, i comuni della popolazione si indebitarono sempre più.
Lo Stato, tenendo bassi i prezzi dei prodotti agricoli mentre aumentava i prezzi dei prodotti industriali, generava profitti (noti come forbici dei prezzi) nello scambio tra prodotti industriali e agricoli. In questo modo, lo Stato si appropriò di 700/800 miliardi di yuan dal settore rurale, attraverso la collettivizzazione fino al 1978, come primitiva accumulazione per l’industrializzazione.
L’industrializzazione dello Stato è ad alta intensità di capitale e riduce internamente la domanda di manodopera. Inizia così a prendere forma una struttura duale tra la città e la campagna. In questa esperienza storica di accumulazione primitiva, i contadini furono i più colpiti. Eppure, non era tanto l’effetto del sistema monetario, ma piuttosto delle forbici di prezzo tra prodotti industriali e agricoli, senza le quali non ci sarebbe stata l’industrializzazione cinese. Facendo un bilancio temporale del processo, la Cina impiegò solo una trentina d’anni circa per raggiungere l’accumulazione primitiva necessaria all’industrializzazione dello Stato, un tempo molto più breve di quello impiegato dall’Occidente per appropriarsi delle ricchezze e del lavoro degli schiavi delle colonie in quattro continenti, che utilizzò poi come base per entrare nella sua era di industrializzazione.
In questo scambio tra prodotti agricoli e industriali, con la collettivizzazione come vettore, i contadini che vendevano prodotti allo Stato non sempre ricevevano in cambio denaro contante, e la funzione della moneta non era completamente raggiunta. Ciò era dovuto al fatto che la compensazione fiscale e finanziaria interna fu completata a livello comunale. Lo Stato utilizzava ancora un sistema di scambio non monetario tra industria e agricoltura. Poiché il sistema non avrebbe portato ad un’espansione su larga scala dell’offerta di moneta, non avrebbe creato una base per l’inflazione. Lo stato si appropriò di una grande quantità di eccedenze agricole, permettendo solo a una piccola quantità di prodotti agricoli di raggiungere il mercato, il che portò ad una grande differenza tra i prezzi di libero mercato e i prezzi ufficiali. Tuttavia, poiché poche persone avevano denaro contante per effettuare transazioni, il sistema non ha generato inflazione. Invece di utilizzare la moneta, il consumo urbano di base veniva allocato interamente attraverso un sistema di buoni. In questa fase, la moneta era diventata essenzialmente un buono secondario. Il sistema dei buoni primari determinava le assegnazioni per i residenti, mentre la valuta era semplicemente un intermediario per procurarsi tali assegnazioni.
Dato che la moneta non svolgeva la sua funzione di base, la Cina all’epoca si trovava ancora nella modalità di de-monetizzazione dell’accumulazione primitiva. Né il governo, né i contadini e i lavoratori potevano usare la moneta per indicare la ricchezza. Il contenuto di questo periodo di de-monetizzazione (alcuni potrebbero definirlo una tipica economia pianificata) non era altro che il governo, da un lato, che si appropriava del surplus rurale per sostenere l’industria edilizia, e, dall’altro, che stabilizzava il sostentamento di base delle persone. Venne assicurato un rapporto della popolazione venti-ottanta tra città e campagna – in cui gli abitanti della città (meno del 20% della popolazione) e il capitale industriale estraevano il poco surplus a disposizione dai contadini (oltre l’80% della popolazione).
In realtà, fu l’effetto associato di due diverse forme di accumulazione primitiva per l’industrializzazione – l’industrializzazione centrata sulla nazione nella prima metà degli anni '50, e la successiva industrializzazione centrata sullo Stato – che portò all’esplosione degli “institutional costs” (costi derivanti da un’istituzione) nei primi anni '80. Siccome questo enorme costo ricadde sulle spalle dei contadini, ne derivarono tutta una serie di questioni contadine. Questa fase di de-monetizzazione continuò fino agli anni '90. Durante questo periodo, ad eccezione della metà e della fine degli anni '80, i livelli dei prezzi si mantennero sostanzialmente stabili e l’inflazione era relativamente sotto controllo.
Note
1) Il renminbi, che significa “moneta del popolo”, è stata la moneta ufficiale della Repubblica Popolare Cinese fin dalla sua istituzione da parte del Partito Comunista Cinese nel 1949.
2) Alla fine della dinastia Qing, la Cina fu costretta a pagare circa 950 milioni di tael d’argento in risarcimenti bellici a causa di sconfitte militari, tra cui la Ribellione dei Boxer (450 milioni di tael), la Prima Guerra di Singapore (200 milioni di tael) e le due Guerre dell’oppio.
3) Liu Yunzhong, “Impact and Implications on the Chinese Economy of the US ‘Silver Purchase Act’ in 1934“, Research Report 200 (2005), Centro di ricerca per lo sviluppo del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese.
4) La Cina dovette acquistare attrezzature militari con metalli preziosi, come forma globale di denaro duro. Non sarebbe stato possibile utilizzare il denaro fiat della Cina per l’acquisto di armamenti.
5) Durante l’invasione, oltre il 40% dei proiettili e delle palle di cannone sparati sulla Cina dai giapponesi provenivano dagli Stati Uniti. Tao Xingzhi, un famoso educatore, studiava negli Stati Uniti e al momento di partire affermò che il 46% dell’armeria giapponese era fornita dagli Stati Uniti e dal Regno Unito.
6) Sotto il sistema di Bretton Woods, solo il dollaro americano era agganciato all’oro e divenne così la valuta di riserva mondiale.
7) Era noto che dopo lo scioglimento dell’accordo di Bretton Woods, le valute dominanti erano sostenute più dal potere politico che dall’oro. All’inizio degli anni ’50, la Cina sosteneva ancora, in una certa misura, la sua valuta con riserve di metalli preziosi.
8) All’epoca il tasso di inflazione mensile superava il 30%, un tasso molto più severo di quello attuale.
9) All’inizio della nuova repubblica, le banche garantivano il valore di un deposito ancorandolo ad un paniere di “riso bianco, farina bianca e panno bianco” di una certa quantità. Questo non significa che la gente portasse riso, farina e stoffa alle banche per il deposito. Piuttosto, le banche si impegnarono nei confronti delle persone, indipendentemente dalla gravità dell’inflazione, a onorare i depositi e a restituirli in contanti per un importo equivalente al loro potere d’acquisto al momento del deposito.
10) Nel 1953, la guerra di Corea finì. Ben prima della fine della guerra, l’URSS e la Cina formarono un’alleanza strategica, sulla base della quale l’URSS si impegnò a sostenere la Cina nella costruzione di infrastrutture industriali esportando le sue linee di produzione di armamenti. Naturalmente, oltre il 70 per cento degli aiuti sovietici era destinato alla produzione di armerie e strutture militari.
11) All’epoca, la Cina aveva solo un piccolo gruppo di personale qualificato nelle industrie urbane. Era quindi impossibile non impiegare completamente gli esperti sovietici per aiutare la Cina a fondare le sue scuole, il governo, l’amministrazione e tutte le unità aziendali. Le fabbriche cinesi avevano capi sovietici, ingegneri capo sovietici e tecnici sovietici. La Cina doveva fornire stipendi relativamente alti al personale dirigente e tecnico sovietico.
12) All’epoca, le cooperative elementari erano già costituite. Furono introdotte da Mao per aiutare Chen Yun a risolvere il problema dell’acquisto e della vendita unitaria. Le prime cooperative servivano a realizzare l’acquisto e la vendita unitaria del paese, ad appropriarsi delle eccedenze agricole e a facilitare lo scambio sul mercato.
13) Nella teoria economica occidentale si parla di riduzione dei costi di transazione. Il governo centrale propose la modernizzazione dell’agricoltura nel 1956. L’obiettivo era quello di realizzare la meccanizzazione agricola attraverso la collettivizzazione, in risposta alla necessità di creare uno sbocco per i beni industriali urbani.
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