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27/04/2020

Nazionalizzazioni, golden power e aiuti di stato: la partecipazione dello Stato alla competizione intercapitalistica

L’attuale fase storica del modo di produzione capitalistico è caratterizzata da un aumento della concorrenza tra frazioni nazionali di capitale che viene accentuata dalla crisi del Covid-19, e si presenta come la più grave dal ‘29. L’elemento che sembra caratterizzare maggiormente questa fase è un revival dell’intervento statale nell’economia non sono sul piano del sostegno economico alle imprese in difficoltà ma anche in difesa della nazionalità delle imprese stesse. Infatti, la crisi determina una condizione per la quale le imprese, sia quelle quotate sia quelle non quotate, possono essere più facilmente acquisite e interi settori manifatturieri ed economici potrebbero così passare in mani estere. Data la specifica situazione di difficoltà dell’economia italiana si assiste a un attivismo particolarmente marcato dello Stato italiano a difesa del proprio capitale nazionale. Tuttavia la tendenza è comune anche al resto della Ue, in Spagna, Francia e Germania ad esempio, e interessa un po’ tutti i Paesi a capitalismo avanzato. Del resto, la crisi del Covid-19 accentua una tendenza protezionistica commerciale e di difesa proprietaria del capitale nazionale che si stava già diffondendo da qualche tempo, non solo negli Usa di Trump ma anche in Europa, andando in direzione opposta rispetto alle correnti liberalizzatrici che avevano caratterizzato la fase della globalizzazione.

Via libera agli aiuti di stato e alle nazionalizzazioni

In primo luogo va rilevato che la Commissione europea nell’ultimo mese ha molto allentato le normative che tradizionalmente facevano dell’opposizione agli aiuti di stato uno dei suoi pilastri, grazie alla comunicazione del 13 marzo, in cui dà l’assenso a misure supplementari atte a porre rimedio a situazioni di grave turbamento dell’economia e predispone la velocizzazione delle decisioni della Commissione stessa rispetto alle notifiche dei singoli Stati sugli aiuti da prestare alle imprese. Successivamente, il quadro degli aiuti di Stato è stato esteso e integrato nella Comunicazione della commissione del 3 aprile. L’aspetto più interessante del via libera agli aiuti di Stato è che l’attuale crisi ripropone uno strumento che era stato espunto dalla politica economica europea, quello delle nazionalizzazioni. Per la verità i Paesi europei avevano già fatto uso delle nazionalizzazioni per salvare le proprie banche nell’ultima crisi, a partire dalla Germania e dall’Olanda. In Italia la pandemia ha allungato i tempi della permanenza al controllo del Monte dei Paschi di Siena da parte del Tesoro, che ne detiene il 68%. La novità è che, nella crisi del Covid-19, le nazionalizzazioni riguardano un ventaglio di settori economici che va molto oltre quello bancario.

Gli Stati europei e in particolare l’Italia stanno trattando con Bruxelles sulle condizioni delle ricapitalizzazioni pubbliche, e quindi per l’entrata dello Stato nelle imprese in difficoltà per la crisi del Covid-19. La finestra temporale entro cui lo Stato può entrare nelle aziende in crisi per la Commissione sarebbe il 31 dicembre 2020, ma l’Italia preme perché venga estesa al 30 giugno 2021. In discussione è anche la durata delle nazionalizzazioni, che a Bruxelles si ritiene debba essere innalzata a 5-7 anni. La Vestager, la commissaria alla concorrenza, prevede una soglia di 100 milioni oltre la quale ci sarebbe bisogno di effettuare una notifica alla Commissione per ogni singola operazione. Ma la maggior parte degli Stati membri è per innalzare tale soglia, l’Italia la vorrebbe portare a 250 milioni, la Germania addirittura a 3 miliardi. Si pensa anche a una clausola antidelocalizzazioni, che vieti per 5 anni lo spostamento della produzione in altri Paesi Ue da parte delle imprese beneficiarie della ricapitalizzazione pubblica. La comunicazione della Commissione del 3 marzo pone, come condizione per l’intervento pubblico nelle imprese, che lo stato di crisi non possa essere esteso alle imprese che si trovassero in stato di  difficoltà prima del 31 dicembre 2019, il che escluderebbe l’Alitalia dalla nazionalizzazione. All’interno dell’Europa ci sono due linee che si stanno confrontando sulle nazionalizzazioni, quella più concentrata sul contenimento dei rischi di fallimento delle imprese, privilegiata dalla Commissione, e quella che si pone come principale obiettivo la difesa degli asset strategici da incursioni di investitori extra Ue. La Germania, in particolare, punta a estendere le iniezioni di capitale anche alle grandi imprese, a prescindere dal loro stato di salute. La Spagna e l’Italia, invece, si preoccupano che Stati europei con maggiori capacità finanziarie, la Francia ma soprattutto la Germania, possano avvantaggiarsi sugli altri Paesi, facendo acquisti massicci di imprese in difficoltà. In Italia il vettore principale delle nazionalizzazioni dovrebbe essere la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), a cui verrebbero fornite risorse pari a 45 miliardi di euro per la sua ricapitalizzazione. La Cdp dovrebbe aiutare sia le imprese a rischio fallimento sia le imprese che rischierebbero di cadere in mani straniere a prezzi di saldo per il crollo dei loro valori di borsa. L’iniziativa italiana ricalca quella della Germania, dove il governo ha approvato un piano di circa 500 miliardi con il coinvolgimento anche della KfW, il corrispettivo tedesco della Cdp, che potrà contare su una ricapitalizzazione di 100 miliardi.

Il rafforzamento del Golden Power e la Borsa italiana

Uno degli strumenti più importanti usati dallo Stato italiano a difesa della nazionalità del proprio capitale è il rafforzamento del Golden power. Il Golden power risale al decreto legge n.21 del 15 marzo 2012 che, recependo i rilievi della Commissione europea sulla vecchia Golden share, ha dato vita a una nuova disciplina in tema di attribuzione al capo dello Stato di poteri di intervento in caso di operazioni straordinarie riguardanti imprese operanti nei settori della difesa o della sicurezza nazionale o in aree strategiche dei trasporti e delle telecomunicazioni.

A seguito della crisi del Covid-19 il decreto legge n.23 dell’8 aprile 2020 introduce significative novità nella disciplina del Golden power, allo scopo di estendere e rafforzare gli strumenti per opporsi a operazioni speculative, predatorie o comunque lesive di esigenze imperative nazionali. La novità si inserisce all’interno delle modifiche degli stessi regolamenti europei nel quadro del controllo degli investimenti diretti esteri. La Commissione europea, con la comunicazione del 26 marzo 2020, ha auspicato la pronta adesione di nuovi meccanismi di controllo che neutralizzino la possibilità di svendita degli operatori commerciali e industriali europei comprese le piccole e medie imprese. In questo quadro anche altri Stati si sono mossi nello stesso senso dell’Italia. La Spagna, a partire dal 18 marzo 2020, ha introdotto una sospensione, per i soggetti extra Ue, del regime di liberalizzazione degli investimenti diretti esteri. In Francia sono entrate in vigore negli ultimi giorni nuove norme che regolano gli investimenti stranieri, allargando il campo a nuovi settori economici, abbassando le soglie che attivano i poteri di controllo, e velocizzando e semplificando le relative procedure. Anche la Germania ha annunciato a gennaio una riforma della normativa che regola gli investimenti esteri. Ma l’inasprimento della normativa si estende anche fuori della Ue. Negli Usa i poteri del Comitato di controllo sugli investimenti esteri sono stati ampliati a comprendere anche gli investimenti che non comportano il controllo delle imprese interessate, ma che attribuiscano all’investitore la titolarità di certe informazioni o diritti concernenti alcune infrastrutture critiche.

Il nuovo decreto legge italiano implica le seguenti novità. In primo luogo definisce con precisione i settori economici su cui esercitare il potere di controllo estendendone il numero. I settori sono i seguenti:
A) Le infrastrutture critiche siano esse fisiche o virtuali (trasporti, acqua, salute, i media, il trattamento e l’archiviazione dei dati, le infrastrutture aerospaziali, di difesa, elettorali), tra di esse sono espressamente compresi i settori creditizio e assicurativo;
B) le tecnologie critiche e prodotti a duplice uso (intelligenza artificiale, robotica, semiconduttori, la cybersicurezza, le tecnologie aerospaziali, di difesa, le nanotecnologie e le biotecnologie);
C) La sicurezza dell’approvvigionamento dei fattori produttivi critici, tra cui l’energia e le materie prime nonché la sicurezza alimentare;
D) L’accesso a informazioni sensibili, compresi i dati personali o la capacità di controllare tali informazioni;
E) La libertà e il pluralismo dei media.

Fino al 31 dicembre 2020 le società interessate ai settori sopra specificati sono tenute a comunicare ogni operazione che abbia come effetto la modifica della titolarità, del controllo o della disponibilità degli attivi strategici. Allo stesso modo è tenuto a notifica anche chi intenda acquistare società rientranti nei settori individuati, nel caso in cui la partecipazione societaria superi certe soglie. A questo proposito è da rilevare che la nuova disciplina interessa anche gli investimenti non di controllo e che sono state introdotte nuove soglie (ogni acquisto di partecipazioni pari ad almeno il 10% dei diritti di voto o del capitale, per un controvalore di almeno un milione, e a ogni superamento di determinate soglie dal 15% in su), che si riferiscono però ai soli soggetti non appartenenti alla Ue. Tuttavia, uno degli aspetti più importanti del decreto è il parziale superamento della distinzione di trattamento tra soggetti acquirenti extra e intra Ue. Infatti, il Decreto legge introduce una disciplina per gli acquisti di partecipazioni di controllo effettuate genericamente da Stati stranieri, quindi anche europei. Una particolare attenzione viene rivolta nel caso in cui la nuova partecipazione di controllo sia effettuata da una amministrazione pubblica, anche nel caso in cui appartenga a uno Stato Ue. L’equiparazione tra investimenti Ue ed extra Ue si propone con specifico riferimento ai nuovi settori delle infrastrutture e delle tecnologie critiche, nonché dell’approvvigionamento di fattori produttivi critici, e dell’accesso a informazioni sensibili e dei media. Infine, i poteri d’intervento statale sono arricchiti, in maniera questa volta permanente, dalla possibilità di iniziare d’ufficio il procedimento atto a finalizzare il Golden power nel caso di violazione degli obblighi di notifica.

La questione dell’esercizio del Golden power è stata sollevata anche a proposito delle Borsa italiana dal presidente della Consob, Paolo Savona, nel caso in cui non sarà rispettata l’autonomia di Piazza Affari. La Borsa italiana fa parte da 12 anni della borsa londinese, il gruppo London Stock Exchange, che in questo periodo è impegnato nella acquisizione di Refinitiv, un fornitore globale di dati e infrastrutture del mercato finanziario.  A fronte dell’uscita del Regno Unito dalla Ue e dell’acquisizione, che cambierà azionariato e baricentro della Borsa di Londra, la Consob ha chiesto precise garanzie sull’autonomia della Borsa italiana, ma, nonostante sia stato attivato un gruppo di lavoro allo scopo, non è ancora arrivata alcuna risposta. Tra le questioni che dovranno essere discusse sono l’iter decisionale su spese e investimenti e il fatto che le funzioni corporate rispondano alla capogruppo della City più che alle strutture della Borsa italiana. Nel caso in cui la Borsa di Londra dovesse decidere di vendere la Borsa italiana, si è candidata a subentrare Euronext, un mercato centrato su Parigi che comprende diverse borse europee, tra cui quelle di Amsterdam e Bruxelles. L’interesse dei francesi provoca qualche perplessità nella Borsa italiana, perché, ad esempio, la fusione tra l’italiana Luxottica e la francese Essilor ha portato la prima a trasferire la sua quotazione di borsa da Milano a Parigi. Delle vicende della Borsa italiana si era interessato prima dello scoppio della pandemia in Italia, anche il Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica (Copasir), che aveva convocato il commissario Consob Ciocca, ex vicedirettore di una branca dell’intelligence (Dis), per fornire chiarimenti sulla presenza straniera nel capitale delle società quotate nella borsa italiana. Il tema della Borsa è strettamente intrecciato con la difesa della "italianità" delle imprese. La crisi del Covid-19, a causa del crollo delle azioni delle società quotate, ha esteso il concetto di strategicità a comprendere realtà che prima non si pensava di mettere sotto tutela, come quella finanziaria. A questo scopo il Copasir ha programmato una serie di audizioni relative al settore bancario e assicurativo, di importanza strategica anche perché detiene una parte notevole dei titoli di stato italiani. Infine, va rilevato che per un intervento su Borsa italiana è stato più volte evocato l’intervento della Cdp in Borsa italiana, anche perché alla Cassa fa capo anche il Mts, il mercato all’ingrosso dei titoli di Stato piattaforma centrale per la gestione del debito pubblico.

Conclusioni

Appare evidente, come dicevamo all’inizio, l’incremento dell’intervento dello Stato a difesa del proprio capitale nazionale in tutta Europa e anche fuori. Per quanto riguarda l’Europa va rilevato che le nazionalizzazioni e le ricapitalizzazioni pubbliche sono comunque intese come uno strumento d’emergenza, a tempo. Anche alcuni aspetti del rafforzamento del golden power sono a tempo. Bisognerà, però, capire come evolverà la crisi e se effettivamente la presenza statale, che il capitale accetta solo come extrema ratio in condizioni di emergenza, potrà ritirarsi in tempi brevi. Cosa tutt’altro che certa, se la crisi sarà così profonda come sembra. Inoltre, quello che è chiaro è che norme come l’estensione del golden power anche alle partecipazioni di controllo di imprese private (e pubbliche) degli Stati Ue denota che lo scontro è dichiaratamente non più solo tra capitale europeo e extra europeo, ma anche tra capitali europei. È altresì chiaro che l’intervento statale non è certo diretto a difendere generici “interessi nazionali”, ma specificatamente l’autonomia del capitale nazionale da altri capitali.
Lo Stato, in questo senso ricopre appieno il suo ruolo di comitato d’affari della borghesia, pronto a intervenire quando necessario e altrettanto pronto a ritirarsi per lasciare il campo libero al privato, quando la sua presenza non è più necessaria.
L’intervento con gli aiuti di stato, le nazionalizzazioni e il golden power si associa allo scontro che abbiamo già visto in atto tra Stati europei, e quindi tra le rispettive frazioni di capitale, sulle decisioni che l’Europa deve prendere per supportare le imprese a proposito del Mes e del Fondo di ricostruzione. Tutto ciò dimostra l’intensificarsi della conflittualità interstatale (e interimperialistica) europea e conferma la natura tutt’altro che unitaria dell’Ue. Fra l’altro, bisogna fare attenzione a distinguere nettamente tra Stati (e capitali) predatori e Stati (e capitali) prede. Le imprese dell’Italia, considerata da alcuni alle stregua di una semi-colonia, hanno finalizzato nel primo trimestre 2020 41 operazioni di acquisizioni e fusioni all’estero per 6,6 miliardi (2,9 miliardi in 52 operazioni nel primo trimestre 2019) a fronte di 63 transazioni ma per soli 1,3 miliardi di investimenti esteri in Italia (2,4 miliardi nel primo trimestre 2019)[1].

Note:

[1] Il Sole24ore, 21 aprile 2020, p.19.

Fonte

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