Tanti gli addii in questo brutto periodo di pandemia planetaria: vorremmo ricordare in particolare alcuni che hanno fatto e faranno parte della nostra cultura musicale.
Di Helin Bolek, componente del gruppo musicale turco Grup Yorum, si è già parlato in questi articoli, morta dopo mesi di sciopero della fame contro il governo dispotico e fascista di Erdogan, criminalmente appoggiato – è sempre bene ricordarlo – dalla Comunità europea.
È proprio dei musicisti scomparsi, che vogliamo fare menzione, e in particolare di quelli che “hanno fatto il jazz”.
Ultimo in ordine di tempo l’alto sassofonista Lee Konitz: novantadue anni, ancora in piena attività. Nome tutelare nella storia del jazz, aveva iniziato già negli anni '40 e continuato al fianco di grandi istituzioni come Miles Davis, Gil Evans, Gerry Mulligan, Warne March, Art Pepper e Antony Braxton, solo per citarne alcuni.
Culmine della sua carriera l’incontro con Lennie Tristano intorno agli anni '50, con il quale ha realizzato incisioni considerate a buon diritto pietre miliari della storia del jazz. Pioniere negli anni sessanta del “jazz libero”, insieme ad altri musicisti di una generazione più giovane che tracciarono le linee del free jazz di Chicago e dell’improvvisazione radicale europea.
Per “complicanze da covid-19” ci hanno lasciato in questi giorni anche altri tre grandi jazzisti: il trombettista Wallace Roney (59 anni), il pianista Ellis Marsalis (85 anni) e il chitarrista Bucky Pizzarelli (94 anni). Tre musicisti che lasciano una generosa scia alle spalle di grande jazz: musica senza scadenza.
Wallace Roney, la scomparsa più improvvisa e prematura, maestro della tromba jazz, uomo di punta della cosiddetta generazione dei “Giovani Leoni” che hanno saputo unire il linguaggio jazzistico più moderno con il recupero della tradizione: nel caso di Rooney portando avanti il lascito diretto di Miles Davis. È proprio accanto a Miles, che lo ricordiamo all’inizio della sua carriera, in uno splendido concerto al Festival di Montreux nel 1991.
Ellis Marsalis, pianista trai i padri del jazz nel senso letterale del termine: i figli Marsalis, Wynton, Brandford, Delfeayo, Jason, sono tutti affermati musicisti. Lo ricorda così il figlio Wynton, forse il più noto: “Come molti genitori, si è sacrificato per noi e ha reso possibile così tanto. Non solo cose materiali, ma anche di sostanza e di bellezza, come la capacità di ascoltare musica complicata e di leggere libri; di vedere e di contemplare l’arte. Il suo esempio per tutti noi, che eravamo anche suoi studenti, ci ha insegnato ad essere pazienti e voler imparare e voler rispettare l’insegnamento e il pensiero e abbracciare la gioia della serietà. Ci ha insegnato che si può essere coscienti e sostenere la propria posizione con un’opinione radicata ‘in qualcosa’, anche se non è di moda. E che se importava a qualcuno, importava”.
Bucky Pizzarelli, chitarrista molto elegante, era considerato una leggenda nell’ambito della musica jazz e swing. Frequentatore abituale di Umbria Jazz.
Che dire poi di Hal Willner, scomparso all’età di 64 anni. Ha attraversato la Musica, producendo non solo artisti del calibro di Marianne Faithfull, Laurie Anderson, Lou Reed, Leon Redbone, i Neville Brothers, Gavin Friday e Lucinda Williams, ma registrando anche i miti della beat generation come William S. Burroughs e Allen Ginsberg. Willner è stato anche coordinatore musicale della fortunata trasmissione televisiva “Saturday Night Live”.
In particolare ci piace ricordare i progetti discografici degli anni '80 e '90, nei quali la genialità di Hal Willner stava nel coinvolgere musicisti provenienti dai generi più diversi. Dal disco dedicato alle musiche del Nino Rota dell’Amarcord Felliniano che vedeva la presenza della jazzista Carla Bley e di Deborah Harry, cantante del gruppo Blondie, al progetto dedicato a Thelonious Monk, That’s The Way I Feel Now, disco a cui parteciparono artisti del calibro di Joe Jackson e del gruppo dance Was (NotWas), dai jazzisti Steve Lacy, Gil Evans, Randy Weston, a Bobby McFerrin.
E ancora i progetti discografici dedicati a Charles Mingus, a Kurt Weill e alle musiche Disneyane con Leonard Cohen, Tom Waits, Bono ed Elvis Costello.
Questo maledetto covid-19 si è portato via anche il percussionista Ray Mantilla, che è riuscito a fondere incredibilmente la musica afro-cubana con il jazz, al fianco di numerose stelle della musica afroamericano, come Art Blakey, Charles Mingus e Max Roach.
Ricordiamo poi il pianista McCoy Tyner, scomparso a 81 anni, anche se nel suo caso non si fa esplicita menzione del “virus”. “È con il cuore spezzato che annunciamo la scomparsa della leggenda del jazz Alfred ‘McCoy’ Tyner”, ha scritto la famiglia in un comunicato. “McCoy era un musicista ispirato che ha dedicato la sua vita all’arte, alla famiglia e allo spirito. La sua eredità artistica continuerà a ispirare i talenti e i fan di tutto il mondo, per generazioni.”
McCoy Tyner ha registrato a suo nome decine di album, ma è la partecipazione al quartetto di John Coltrane nella prima metà degli anni '60 che lo ha reso una star. “Mi piace improvvisare quando suono”, ebbe a dire in un’intervista del 2000. “Amo essere libero di fare qualcosa solo per il gusto di farlo. Mi piace sperimentare, far viaggiare le persone e poi riportarle indietro“.
Infine per il sassofonista Manu Dibango, del quale si è già parlato in queste pagine, si consiglia la lettura della sua autobiografia: “Tre chili di caffè. Vita del padre dell’afro-music”.
Mentre scriviamo, ci giunge la notizia che un altro jazzista ha cessato di vivere: il contrabbassista Henry Grimes. Nel corso della sua lunga ma anche tormentata carriera, il musicista – abile anche con altri strumenti fra cui il violino – aveva collaborato con Don Cherry, Sonny Rollins, Cecil Taylor, Charles Mingus, Thelonious Monk, Albert Ayler, Don Cherry, Coleman Hawkins, Roy Haynes, Lee Konitz, Steve Lacy, Charles Mingus, Sunny Murray, Pharoah Sanders, Archie Shepp, McCoy Tyner.
Negli anni '70 era scomparso dalle scene per un lungo periodo; ma da circa venti anni era tornato a lavorare con nomi come Marc Ribot, John Zorn, Nels Cline, e nel 2016 aveva ricevuto il premio alla carriera al Vision Festival di New York.
La cultura, la musica, il jazz, di questi MUSICISTI dovrà farne a meno.
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