Sull'argomento per ora è estremamente difficile fare valutazioni politiche ponderate, bisogna quindi accontentarsi di quelle specialistiche.
Un dato però si può già sottolineare al netto della necessaria verifica: la pandemia da Covid-19 e la conseguente crisi sistemica stanno impattando sul modo di produzione capitalista con dinamiche interpretabili sulla base del bagaglio di Marx, in questo caso con la teorizzazione della tendenza dei capitali all'accentramento.
Avremo modo di verificarlo prima di quanto pensiamo.
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Portata ed effetti del calo brusco dei prezzi del petrolio. Fatti, numeri, analisi e scenari
Il prezzo del petrolio americano, che ieri è diventato negativo per la prima volta nella sua storia a causa della saturazione delle scorte e del crollo della domanda legato alla crisi del coronavirus, è rimbalzato stamattina in Asia tornando leggermente sopra lo zero. Un barile di West Texas Intermediate (Wti) per le consegne di maggio viene commercializzato all’apertura dei mercati a 0,56 dollari, contro una chiusura ieri sera a New York di -37,63 dollari.
Cosa è successo ieri al petrolio
I prezzi del petrolio precipitano sotto quota 0 dollari al barile per la prima volta nella storia. La recessione globale innescata dalla pandemia di coronavirus e il conseguente tracollo della domanda di energia, spiega un operatore, ha spinto i trader a fare di tutto pur di evitare la consegna del petrolio fisico, in particolare vista la saturazione delle riserve, ormai vicine al limite fisiologico.
Il future
Il future maggio, in scadenza domani, è sceso fino a -1,98 dollari al barile, livello più basso mai registrato nelle rilevazioni mensili compilate dal 1946, in base ai dati della Federal Reserve di St Louis. Allo stesso tempo, è salito ai massimi mai registrati lo “spread” rispetto alla scadenza successiva (giugno), che cede il 12,43% a 21,92 dollari al barile. Il Brent con consegna giugno, intanto, cede il 6,77% a 26,18 dollari.
Il crollo
Mai da quando sono iniziate le rilevazioni nel 1983 i prezzi del Wti sono scesi così in basso, appesantendo l’intero settore energetico che cala a Wall Street di oltre il 2%, mentre quello delle utility cede il 2,87%. Fra i singoli titoli Exxon perde il 3,01% e Chevron perde il 2,50%.
Il commento
“Da quando il New York Mercantile Exchange (Nymex), nel marzo del 1983 lanciò il contratto a termine del WTI, successo clamoroso nei 37 anni successivi, mai si era verificata una situazione simile che pone a rischio l’efficienza di tutto il mercato petrolifero internazionale. È proprio la speculazione, quella il cui ruolo è sempre in discussione, che più gioca al ribasso in queste ore”, ha scritto l’economista esperto di energia Davide Tabarelli su ilSole24Ore di oggi: “I prezzi in caduta libera indicano le difficoltà dei petrolieri americani nel chiudere i loro pozzi, perché vorrebbe dire danneggiarli irrimediabilmente e buttare via gli investimenti già fatti. Quella stessa finanza a cui piace giocare sul Nymex è sempre quella che per anni ha dato facili finanziamenti ai petrolieri che ora non riescono a chiudere e che da mesi non restituiscono i prestiti. In due settimane la produzione USA, dai record di 13 milioni barili giorno di marzo è già scesa a 12,3 e ciò permette a Trump di far vedere agli altri produttori che anche lui sta facendo qualcosa”.
L'analisi
“Le ragioni finanziarie non bastano a spiegare il clamoroso e storico crollo del prezzo del petrolio statunitense registrato oggi sui mercati internazionali. I future del West Texas Intermediate (Wti), con contratto in scadenza a maggio, sono finiti per la prima volta nella storia in territorio negativo, scambiati a -37,63 dollari al barile – si legge in un’analisi dell’Agenzia Nova – In queste ore molti analisti hanno attribuito il crollo del prezzo del greggio Usa alla progressiva riduzione della domanda mondiale provocata dall’emergenza coronavirus e ai timori degli investitori per l’esaurimento della capacità di stoccaggio a livello globale. Tali ragioni, tuttavia, non appaiono sufficienti ad aprire uno scenario che vede i produttori pagare i commercianti perché acquistino petrolio, tanto più dopo l’accordo (anch’esso a suo modo storico, poiché sostenuto da un fronte senza precedenti di produttori mondiali) tra i paesi membri del cartello Opec+ per il taglio di 9,7 milioni di barili al giorno”.
Lo shale USA
Tremano le società dello shale americano: con i prezzi ai livelli attuali il rischio è quello di un’ondata di bancarotte e del crollo di un settore che ha contribuito in modo sostanziale alla rivendicata indipendenza energetica americana più volte ventilata da Donald Trump. Se il Brent contiene le perdite al 7, il Wti tracolla arrivando a cedere il 93,87% a 1,12 dollari al barile, per poi concretizzare le chance crescenti di una girare in negativo. Sotto pressione è il contratto per la consegna a maggio che scade martedì: oltre alla domanda il problema di fondo è la mancanza di capacità di stoccaggio, soprattutto nell’hub cruciale di Cushing, in Oklahoma.
Gli impatti
“Le scorte a Cushing continuano ad aumentare a velocità record e ci aspettiamo che venga raggiunto il limite in maggio”, afferma Hillary Stevenson, della società di consulenza Genscape. I contratti per giugno, luglio, agosto e settembre contengono invece le perdite lasciando intravedere l’attesa di una ripresa della domanda con le maggiori economie che si muovono verso la normalità, si legge su Nova.
I numeri
Il contratto per giugno perde l’11,07% a 22,26 dollari, quello per luglio il 5,71% a 27,74 dollari. Il calo dei prezzi insieme all’attesa di una ripresa dell’attività economica in autunno si è tradotto nel fenomeno di mercato chiamato ‘contango’, in cui i prezzi delle commodity sono più alti per il futuro di quanto non lo siano per il presente. Una delle maggiori scommesse della storia basate sul contango risale al 1990 quando Phibro, divisione di Salomon Brothers, aveva fatto scorte di petrolio a basso prezzo parcheggiandolo in cisterne e autobotti poco prima che l’Iraq invadesse il Kuwait e le quotazioni del greggio esplodessero.
Il commento
“Questa è la Pearl Harbor dei petrolieri americani”, ha commentato al Wall Street Journal Kirk Edwards, presidente della compagnia texana Latigo Petroleum, facendo riferimento al raid aereo giapponese che determinò l’ingresso degli Stati Uniti di Franklin Delano Roosevelt nella Seconda guerra mondiale. Alcuni osservatori ricordano la decisione dell’Arabia Saudita di inviare a marzo 20 petroliere con 40 milioni di barili di greggio del Golfo verso le coste degli Stati Uniti, il cui mercato era già saturo di petrolio. Altri inseriscono il crollo senza precedenti del prezzo del greggio statunitense nel contesto del conflitto globale con la Cina.
Lo scenario
“Alla fine – secondo David Winans, analista per US Investment Grad Credit Research – il percorso dei prezzi del petrolio seguirà il percorso del coronavirus virus. Fino a quando la domanda non mostrerà qualche segno di ripresa, i prezzi del petrolio rimarranno probabilmente attaccati al respiratore artificiale”.
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Pubblichiamo un estratto sul mercato del petrolio che verrà, ripreso dal report “Geopolitica dell’energia” a cura di Demostenes Floros per il Centro Europa Ricerche
Come già messo in luce da Goldman Sachs, quando il mondo uscirà dall’emergenza da coronavirus, il mercato dell’energia sarà completamente mutato.
Esso infatti vedrà la presenza di società con asset di qualità e il ridimensionamento, se non l’espulsione, di quelle prive di valore reale.
Con ogni probabilità, i futuri processi di concentrazione e centralizzazione del capitale riguarderanno in primo luogo gli Stati Uniti d’America (ad esclusione di major delle dimensioni di ExxonMobil) con conseguenze significative anche nel mercato del gas naturale, che dell’oro nero è un by-product, ma anche nell’off-shore del Mare del Nord e nell’oil & gas del Canada.
Secondo Oilprice.com, questa situazione più che portare ad un’accelerazione della transizione energetica, determinerà anzitutto una transizione della proprietà da privata a nazionale, o a maggioranza nazionale, lasciando il mercato degli idrocarburi in mano a poche ricche realtà, le cosiddette NOC-National Oil Companies (Compagnie Petrolifere Nazionali), in alcuni casi supportate dai SWF-Sovereign Wealth Fund (Fondi Sovrani) e sotto la proprietà/controllo dei rispettivi Stati nazionali.
Major petrolifere e gasiere come la saudita Aramco, l’emiratina ADNOC (Abu Dhabi National Oil Company), le russe Rosneft e Gazprom, così come diverse società cinesi e arabe sostenute dai rispettivi Fondi Sovrani, avranno la possibilità di aumentare le proprie quote di mercato, acquistando asset a basso valore con ritorni negativi e dividendi insostenibili, che negli anni precedenti non avevano potuto acquisire quando il petrolio quotava attorno ai 65 $/b.
Il 2 aprile, Milano Finanza scriveva che a seguito della decisione della Consob di introdurre temporaneamente un’ulteriore soglia dell’1% di possesso azionario nel capitale di aziende quotate a Piazza Affari oltre la quale vige l’obbligo di comunicazione al mercato, la People’s Bank of China (la banca centrale della Repubblica Popolare cinese) lo scorso 18 marzo, aveva portato in trasparenza una quota dell’1,014% nel capitale del Cane a Sei Zampe.
L’8 aprile, il Wall Street Journal ci ha informati che il Fondo Sovrano saudita ha frattanto acquisito azioni in 4 major europee – Shell, Total, Eni, ed Equinor – per un valore complessivo di 1 miliardo di dollari.
Il giorno prima, il Ceo di ExxonMobil, Darren Woods, aveva dichiarato che il taglio delle spese della compagnia per l’anno 2020 sarà dell’ordine del 30%, da 33 a 23 miliardi di dollari
Fonte
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