Gli ultimi due mesi hanno offerto poche
ragioni di ottimismo. Come se non bastasse la tragedia sanitaria
innescata dalla pandemia da Covid-19, una drammatica recessione incombe
all’orizzonte e inizia già a mordere. Nel frattempo, milioni di persone
in tutta Europa hanno visto interrotta la loro fonte di reddito e non
sanno se e quando potranno riprendere a lavorare, senza menzionare chi
un lavoro neanche lo aveva e vede allontanarsi sempre di più la
prospettiva di trovare un’occupazione dignitosa. Nel mezzo di questo
scenario fosco, il 23 aprile si è tenuto un importante incontro del
Consiglio Europeo, che riunisce i capi di Stato e di Governo
dell’Unione. Almeno a voler dar fede ai giornali del 24 aprile, ecco
arrivare i primi segnali di speranza. Leggevamo infatti cifre roboanti,
migliaia di miliardi di euro messi finalmente sul piatto dall’Europa,
risorse fresche a disposizione dei Paesi membri per evitare la
recessione e iniziare da subito la risalita verso la prosperità. Ad una
seconda lettura, tuttavia, alcuni dettagli si chiarivano e i segnali di
speranza si mostravano per quello che in realtà sono: pura propaganda con cui tenere a bada la disperazione e la rabbia sociale. Andiamo per gradi, e proviamo a rispondere a due domande fondamentali per orientarci in questo ginepraio di demagogia.
Cosa ha effettivamente deciso il Consiglio Europeo?
Il Consiglio Europeo del 23 aprile ha dato il via libera al pacchetto di misure messo a punto nella riunione dell’Eurogruppo del 7 aprile, articolato intorno a tre pilastri, quali:
1. l’attivazione del programma SURE
(State sUpported shoRt-timE work), un fondo per la cassa integrazione e
altre misure di sostegno a chi perde il lavoro;
2. il rafforzamento dell’intervento della
Banca Europea degli Investimenti (BEI), volto ad agevolare il credito
alle imprese europee;
3. una particolare forma di attivazione del famigerato Meccanismo Europeo di Stabilità (MES).
Ci siamo già dilungati ad analizzare nel dettaglio queste misure,
che mostravano e mostrano l’impossibilità di conciliare la difesa della
salute pubblica e del benessere della maggioranza della popolazione con
l’austerità che permea in maniera costitutiva l’architettura europea.
Purtroppo, ben poco c’è da aggiungere. Infatti...
Cosa NON ha deciso il Consiglio Europeo?
Nonostante i toni trionfalistici con cui
Conte, Gualtieri e compagnia commentavano gli esiti della riunione,
l’unico altro risultato, ad oggi, è l’avvenuto riconoscimento del fatto
che prendere misure a livello europeo per la ricostruzione è necessario e urgente.
Due aggettivi, che affermano l’ovvio, rappresentano ad oggi la misura
della solidarietà europea. A due mesi ed oltre dall’inizio di questo
incubo, i capi di Stato e di Governo hanno realizzato che serve fare
qualcosa, qualcosa che si sostanzia, per il momento, nell’avere
introdotto due aggettivi in una conferenza stampa tenuta alla fine del
Consiglio. Concretamente, questo si traduce nel mandato dato alla
Commissione Europea di avanzare una proposta, entro una non meglio
precisata metà di maggio, da sottoporre poi di nuovo al Consiglio
Europeo, per la creazione di un fondo per la ripresa. Come chiarito
dalla presidentessa della Commissione Europea Ursula von der Leyen, il fondo sarà agganciato al Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027. In questo ambito, sarebbe prevista anche la creazione di un cosiddetto ‘Strumento per la Ripresa’ (Recovery Instrument),
che vedrebbe la Commissione impegnata a raccogliere sui mercati
finanziari un importo ancora sconosciuto – ma che potrebbe ammontare a
320 miliardi secondo un documento interno della Commissione che non è
stato neanche reso pubblico – da distribuire poi ai Paesi membri sotto
forma di prestiti e sussidi, in una proporzione anch’essa sconosciuta.
Questi 320 miliardi dovrebbero poi essere in grado di mobilizzare
magicamente fino a 2000 miliardi di euro di risorse private, dove
mobilizzare è la parola magica alla quale si fa usualmente ricorso per
mascherare il fatto che si spende poco ma si spera nelle capacità soprannaturali del mercato di moltiplicare i pani e i pesci.
Moltiplicare in maniera incredibile, tra l’altro, perché ogni euro
speso dalla Commissione dovrebbe generarne 6.5, mostrandoci la miseria
di un’Europa che si ricorda di essere keynesiana solo quando deve
moltiplicare le poche briciole che mette a disposizione.
In ogni caso, ciò che è stato deciso e che NON è stato deciso comporta, nella migliore delle ipotesi, quanto segue.
– Ogni intervento è rimandato a partire dal 2021. Le
esigenze delle classi dominanti e quelle di chi oggi perde un lavoro non
sono, evidentemente, le stesse. Interrogata al riguardo, la von der
Leyen ha fatto intuire che difficilmente si prefigureranno e saranno
necessarie ‘soluzioni ponte’ da qui al prossimo gennaio. L’Europa
avrebbe, infatti, già messo in moto un intervento poderoso, sempre a
sentire la von der Leyen. Le dichiarazioni del 29 aprile
della vicepresidente della Commissione Ue, Vera Jourova, fanno eco in
maniera sinistra: “Il 1 gennaio 2021 è una data molto ambiziosa per far
partire il Recovery Instrument, nel frattempo bisogna prendere il massimo dagli attuali strumenti a breve termine, che usano ancora il vecchio bilancio”. Di
fronte all’evidenza del fatto che i Paesi più colpiti avranno bisogno
di ingenti risorse economiche ora, per far fronte ad una disoccupazione
che esplode ed alla perdita di reddito sperimentata da milioni di
lavoratori, la risposta è: nessun problema, dal 1° giugno si può fare
ricorso al MES.
– Quale che sia la portata
finale dell’intervento nel settennato 2021-2027, c’è un grande
protagonista che spicca per la sua totale assenza dal dibattito di
questi giorni: la condizionalità
alla quale i prestiti e i sussidi dello Strumento per la Ripresa
saranno legati. La ragione di questa assenza, purtroppo, non è che
prestiti e sussidi saranno svincolati dalle usuali condizioni capestro
che sono parte costitutiva dei Trattati europei. La ragione è che, nel
dibattito, la subordinazione di prestiti e aiuti al rispetto di
parametri di finanza pubblica improntati all’austerità è presentata come
un fatto naturale, che non ha bisogno di essere specificato. Non ci
sono pranzi gratis nell’Unione Europea, come impariamo quotidianamente
sulla nostra pelle.
Niente di nuovo all’orizzonte, purtroppo,
con la prospettiva di continuare a vivere in un eterno presente che
alterna periodi di crisi feroce a brevi riprese che beneficiano
solamente i privilegiati. Lavoratrici e lavoratori e chi un lavoro non
ce l’ha resistono a fatica. Austerità e sfruttamento, in compenso,
stanno sempre benissimo.
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