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01/05/2020

La ricetta europea: curare l’emergenza con la propaganda

Gli ultimi due mesi hanno offerto poche ragioni di ottimismo. Come se non bastasse la tragedia sanitaria innescata dalla pandemia da Covid-19, una drammatica recessione incombe all’orizzonte e inizia già a mordere. Nel frattempo, milioni di persone in tutta Europa hanno visto interrotta la loro fonte di reddito e non sanno se e quando potranno riprendere a lavorare, senza menzionare chi un lavoro neanche lo aveva e vede allontanarsi sempre di più la prospettiva di trovare un’occupazione dignitosa. Nel mezzo di questo scenario fosco, il 23 aprile si è tenuto un importante incontro del Consiglio Europeo, che riunisce i capi di Stato e di Governo dell’Unione. Almeno a voler dar fede ai giornali del 24 aprile, ecco arrivare i primi segnali di speranza. Leggevamo infatti cifre roboanti, migliaia di miliardi di euro messi finalmente sul piatto dall’Europa, risorse fresche a disposizione dei Paesi membri per evitare la recessione e iniziare da subito la risalita verso la prosperità. Ad una seconda lettura, tuttavia, alcuni dettagli si chiarivano e i segnali di speranza si mostravano per quello che in realtà sono: pura propaganda con cui tenere a bada la disperazione e la rabbia sociale. Andiamo per gradi, e proviamo a rispondere a due domande fondamentali per orientarci in questo ginepraio di demagogia.

Cosa ha effettivamente deciso il Consiglio Europeo?

Il Consiglio Europeo del 23 aprile ha dato il via libera al pacchetto di misure messo a punto nella riunione dell’Eurogruppo del 7 aprile, articolato intorno a tre pilastri, quali:

1. l’attivazione del programma SURE (State sUpported shoRt-timE work), un fondo per la cassa integrazione e altre misure di sostegno a chi perde il lavoro;

2. il rafforzamento dell’intervento della Banca Europea degli Investimenti (BEI), volto ad agevolare il credito alle imprese europee;

3. una particolare forma di attivazione del famigerato Meccanismo Europeo di Stabilità (MES).

Ci siamo già dilungati ad analizzare nel dettaglio queste misure, che mostravano e mostrano l’impossibilità di conciliare la difesa della salute pubblica e del benessere della maggioranza della popolazione con l’austerità che permea in maniera costitutiva l’architettura europea. Purtroppo, ben poco c’è da aggiungere. Infatti...

Cosa NON ha deciso il Consiglio Europeo?

Nonostante i toni trionfalistici con cui Conte, Gualtieri e compagnia commentavano gli esiti della riunione, l’unico altro risultato, ad oggi, è l’avvenuto riconoscimento del fatto che prendere misure a livello europeo per la ricostruzione è necessario e urgente. Due aggettivi, che affermano l’ovvio, rappresentano ad oggi la misura della solidarietà europea. A due mesi ed oltre dall’inizio di questo incubo, i capi di Stato e di Governo hanno realizzato che serve fare qualcosa, qualcosa che si sostanzia, per il momento, nell’avere introdotto due aggettivi in una conferenza stampa tenuta alla fine del Consiglio. Concretamente, questo si traduce nel mandato dato alla Commissione Europea di avanzare una proposta, entro una non meglio precisata metà di maggio, da sottoporre poi di nuovo al Consiglio Europeo, per la creazione di un fondo per la ripresa. Come chiarito dalla presidentessa della Commissione Europea Ursula von der Leyen, il fondo sarà agganciato al Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027. In questo ambito, sarebbe prevista anche la creazione di un cosiddetto ‘Strumento per la Ripresa’ (Recovery Instrument), che vedrebbe la Commissione impegnata a raccogliere sui mercati finanziari un importo ancora sconosciuto – ma che potrebbe ammontare a 320 miliardi secondo un documento interno della Commissione che non è stato neanche reso pubblico – da distribuire poi ai Paesi membri sotto forma di prestiti e sussidi, in una proporzione anch’essa sconosciuta. Questi 320 miliardi dovrebbero poi essere in grado di mobilizzare magicamente fino a 2000 miliardi di euro di risorse private, dove mobilizzare è la parola magica alla quale si fa usualmente ricorso per mascherare il fatto che si spende poco ma si spera nelle capacità soprannaturali del mercato di moltiplicare i pani e i pesci. Moltiplicare in maniera incredibile, tra l’altro, perché ogni euro speso dalla Commissione dovrebbe generarne 6.5, mostrandoci la miseria di un’Europa che si ricorda di essere keynesiana solo quando deve moltiplicare le poche briciole che mette a disposizione.

In ogni caso, ciò che è stato deciso e che NON è stato deciso comporta, nella migliore delle ipotesi, quanto segue.

– Ogni intervento è rimandato a partire dal 2021. Le esigenze delle classi dominanti e quelle di chi oggi perde un lavoro non sono, evidentemente, le stesse. Interrogata al riguardo, la von der Leyen ha fatto intuire che difficilmente si prefigureranno e saranno necessarie ‘soluzioni ponte’ da qui al prossimo gennaio. L’Europa avrebbe, infatti, già messo in moto un intervento poderoso, sempre a sentire la von der Leyen. Le dichiarazioni del 29 aprile della vicepresidente della Commissione Ue, Vera Jourova, fanno eco in maniera sinistra: “Il 1 gennaio 2021 è una data molto ambiziosa per far partire il Recovery Instrument, nel frattempo bisogna prendere il massimo dagli attuali strumenti a breve termine, che usano ancora il vecchio bilancio”. Di fronte all’evidenza del fatto che i Paesi più colpiti avranno bisogno di ingenti risorse economiche ora, per far fronte ad una disoccupazione che esplode ed alla perdita di reddito sperimentata da milioni di lavoratori, la risposta è: nessun problema, dal 1° giugno si può fare ricorso al MES.

– Quale che sia la portata finale dell’intervento nel settennato 2021-2027, c’è un grande protagonista che spicca per la sua totale assenza dal dibattito di questi giorni: la condizionalità alla quale i prestiti e i sussidi dello Strumento per la Ripresa saranno legati. La ragione di questa assenza, purtroppo, non è che prestiti e sussidi saranno svincolati dalle usuali condizioni capestro che sono parte costitutiva dei Trattati europei. La ragione è che, nel dibattito, la subordinazione di prestiti e aiuti al rispetto di parametri di finanza pubblica improntati all’austerità è presentata come un fatto naturale, che non ha bisogno di essere specificato. Non ci sono pranzi gratis nell’Unione Europea, come impariamo quotidianamente sulla nostra pelle.

Niente di nuovo all’orizzonte, purtroppo, con la prospettiva di continuare a vivere in un eterno presente che alterna periodi di crisi feroce a brevi riprese che beneficiano solamente i privilegiati. Lavoratrici e lavoratori e chi un lavoro non ce l’ha resistono a fatica. Austerità e sfruttamento, in compenso, stanno sempre benissimo.

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