Il nome Intu non dice niente in Italia se non a qualche turista appassionato di centri commerciali in Gran Bretagna. Intu è, o meglio era, il gigante dei centri commerciali britannici,
ne aveva nove nella classifica dei venti più grandi in UK, da pochi
giorni è in amministrazione controllata, per gestire la bancarotta
secondo le leggi del Regno Unito, crollato finanziariamente, silurato
dai costi insostenibili dovuti alla crisi covid.
Naturalmente Intu, dai tempi del picco commerciale di 10 anni fa
quando la vendita online era poco più di una economia di nicchia, era in difficoltà economiche da tempo.
Oggi lascia sul campo 132.000 posti di lavoro, sia direttamente che nei
negozi che ospitava nei centri commerciali, e un debito di quasi 5
miliardi di sterline. La crisi è finanziaria, il titolo
è passato da essere appetibile al livello carta straccia, causata a sua
volta sia dall’alto costo dei mutui accesi, sia dal modello di business legato all’acquisto in presenza eroso, sempre di più, dall’acquisto online.
Il covid
e la quarantena di massa hanno dato il colpo di grazia a un modello già
in grande difficoltà nonostante la feroce politica di efficentazione
di Intu, sia nella catena logistica sia nei confronti dei redditi dei
dipendenti. Questa vicenda può annunciare il disastro del modello di business dei mall americani
(secondo alcuni, previsioni fatte in tempi non sospetti, di
potenzialità pari alla crisi subprime). Ma, ed è quello che ci riguarda,
annuncia la ristrutturazione del retail italiano (dai grandi centri
commerciali al commercio di prossimità) che già si intravedeva nel 2019
quando il Sole 24 ore parlava di “apocalisse all’italiana”.
Già oggi, come vediamo da questo filmato i robot vengono utilizzati, in quanto risposta alla crisi, come strumento di prevenzione di epidemie, elemento di spettacolo ma integrato nella logistica del centro commerciale. In Italia quale evoluzione si prevede di fronte alla crisi del retail tradizionale già forte prima della pandemia?
Qualsiasi direzione prenda, prima di tutto, sarà una ristrutturazione che riguarda tutte le dimensioni del retail (dai grandi centri commerciali al negozio di prossimità), differenziata nel ruolo delle componenti umane e non umane
(con investimento tecnologico dove possibile e compressione del costo
del lavoro dove la tecnologia non arriva), nella quale la vendita
online o farà la parte del leone o quella del necessario complemento
all’offerta tradizionale, dove si potrà sperimentare consistenza o meno delle ipotesi di scenario. C’è poi l’alternativa di fronte alla quale si trovano i territori, e l’urbanistica, grazie alla contrazione del retail tradizionale: luogo di una nuova economia circolare oppure area di manovra di una nuova logistica?
Di sicuro il futuro è già adesso.
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